- Per ora non possiamo fare nulla. - La preoccupazione di Zhang Hua scompare dietro alla maschera da cerimonia. - E per concludere degnamente la serata, vorrei sentire Tangi cantare. E' passato così tanto tempo dall'ultima volta.
La claustrofobia si dissolve. Tiro due profondi respiri. - Ne sarà felice.
L'orchestra inizia a suonare e il brusio delle voci rallenta. Tangi è unica, impaziente, capace di spingerti sull'orlo di un abisso.Vedo gli occhi degli uomini presenti appannarsi, la loro pelle tingersi in silenzio. So come ci si sente a innamorarsi di lei, dei capelli che luccicano, delle dita affusolate che disegnano movimenti improbabili.
Nessuno sa spiegare perché sia venuta così invece che come tutti gli altri costrutti, quale assurdo gioco del caso si sia impadronito della sua generazione confondendo l'alchimia prestabilita delle sue molecole.
Tangi sa catturare le emozioni altrui, le fissa nell'aria, assorbendole; la sua voce scioglie i sensi, muta il corso degli eventi e rende semplice ogni verità. Mentre il respiro di tutti si spezza in desiderio, ella recepisce la passione di cui è oggetto, ne gode; gli occhi viola sbiadiscono, la sua pelle reagisce come è abituata a fare, diviene un'orgia di vivide fluorescenze ocra.
Non ho mai perso tempo a chiedermi se il suo amore è solo per me.
Oggi i fantasmi sono scesi su di noi, materializzati intorno alle nostre mura. C'è un senso d'angoscia che scivola baldanzoso per le strade. A Shangrila crediamo molto nei simboli e nei significati che sono capaci di narrare. Ci hanno insegnato le lacrime, nel tempo.
Oggi, sui battenti esterni della nostra porta, qualcuno ha crocefisso i due angeli di Ariel.
Il sogno è una tale unità d'umore, d'atmosfera, mentre combatto contro la vita che pretende di riportarmi a sé. Il volto di Hadj spunta dietro a un velo buio tirato su troppo in fretta. Niente parole, basta un cenno.
Lampi di colore incidono l'umidità della notte; sta tornando l'inverno e una brezza insistente taglia la faccia. Hadj mi guida sicuro oltre la porta. Fuori, addossata alle nostre mura, è cresciuta un'altra città fatta di capanne, radi fuochi e lamenti; tutti aspettano che accada qualcosa, rinchiusi nelle loro escrescenze informi che degradano nel cuore di Vienna.
Camminiamo a testa bassa, inseguendo le strade che hanno tutto l'aspetto di una massa liquida e irregolare, col Danubio che striscia lontano, in silenzio. Le tonache nere si contano in numero maggiore delle divise della polizia. Non ci resta che incassare ancora di più la testa sotto i cappucci.
La vecchia casa aveva un giardino, entriamo da lì. Da una finestra bassa che getta uno sguardo nel seminterrato arriva il debole bagliore di alcune lampade; il razionamento non permette di più. Hadj si piega sulle ginocchia, osserva per alcuni istanti attraverso il vetro poi mi invita con un cenno della mano.
Tangi sta ridendo, come da molto tempo non le vedo fare; tiene una bambina seduta accanto a sé, la accarezza, la coccola senza pause, circondata da altre presenze nella stanza, figure che si muovono oltre il cerchio di luce. Una donna si avvicina a Tangi e prende in braccio la bambina, i suoi movimenti sono inequivocabili, come il colorito dell'epidermide: è un costrutto femmina, uno dei miei, come gli altri che ha intorno. Anche la bambina.
Hadj cerca di interpretare la mia espressione nell'oscurità.
- Resta qui finché non esce - dico. - Poi portala da me.
E' così breve il tragitto del ritorno, col cuore che martella nel petto, il calore che fonde ogni pensiero e i passi che pulsano sui marciapiedi sudici di questa città senza fascino, repellente come non mai. Attraverso le mura di Shangrila e non noto differenze sotto alle luci ostentate, le risa, la gente che si abbraccia. Tutto è nausea e mi ripugna vederli succhiare sangue dalla nostra terra, un sangue che non c'è.
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