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E' fresca la montagna oggi, appena trenta gradi Celsius, e siamo già in aprile avanzato. Una giornata magnifica, pregna di fragrante leggerezza, una giornata d'altri tempi. Tempi diversi.

Jula si agita sullo sgabello di legno, e tormenta con fastidio i corti capelli arruffati, poi mette fuori una punta di lingua e fa schioccare le labbra in un'espressione schifata. - Bleah!... Ancora lezioni. Non ne abbiamo voglia, nonno. Non oggi! - Allunga il braccio in un largo movimento sinuoso, prima assecondando l'orizzonte frastagliato disegnato da boschi e altopiani, e poi scendendo ad accarezzare i prati declinanti che si estendono appena oltre il recinto. - Guardati intorno, guarda come si staglia limpido il profilo della Pietra. Non lo senti, nonno? Non lo senti l'odore del fieno bruciato? E il letame? In una giornata così fresca basterebbe smuovere lo strato secco con il bastone per diffonderne l'aroma. - Mi allunga uno sguardo significativo che chiarisce le sue intenzioni segrete e, insieme, supplica la mia complicità.

Siamo gemelli, io e mia sorella Jula, due gocce d'acqua scurite dal sole, e così ci è sufficiente, per comunicare, incrociare lo sguardo e trasmettere intenzioni. E oggi, l'ho capito, è proprio questo che vorrebbe fare: abbandonare la noiosa sicurezza assicurata dal recinto di tronchi che protegge il cortile, la baracca e le stalle, e scendere a valle; avvicinarsi il più possibile alla nube pesante, l'impasto elettromagnetico che inguaina, in pianura, la megalopoli aziendale, e poi mettersi a smuovere i mucchi di sterco secco. L'abbiamo fatto altre volte, e con effetti sorprendenti: l'odore del letame attira la selvaggina luminosa di piccola taglia che vive ai margini della nube, convincendola, talvolta, ad abbandonare lo spesso lenzuolo elettrostatico e a scalare le alture. Gli animali luminosi non si possono toccare, naturalmente, e tantomeno mangiare: la carica assorbita li ha trasformati in una sorta di letali sicari elettrici, e le loro carni sono malate. A me e Jula, tuttavia, piace vederli correre lungo i prati o fra la boscaglia, chiusi nel tenue alone diafano che li avvolge come un bozzolo mistico.

Eppure quel divertimento oggi non mi attira, c'è un'altra idea che mi frulla nel cervello.

- Potremmo, in alternativa, fare un'escursione nei dintorni dell'Alveare, oppure raggiungere la cima della Pietra - propongo, sommando enfasi esagerata all'entusiasmo genuino, nella speranza di riuscire a stimolare l'interesse di Jula e di convertirla al mio progetto. - Alonzo il lepraio giura che, proprio in queste notti, il Prete Sanpazzo bivacca nei prati sulla sommità di Bismantova, e che di giorno scende lungo le pendici e vagabonda fra le rovine del Convento in cerca di non si sa che cosa... e afferma che il suo alone luminoso è visibile a più di mezzo chilometro di distanza. Il vecchio Alonzo sostiene...

- Ad Alonzo dovrebbero riempire la bocca di sale e scarafaggi, e poi cucirgliela - sbraita nonno Fem, carezzandosi le rughe abissali che gli devastano le guance. Si fa pensieroso, aspira una boccata corposa dalla pipa di canna, e accarezza con amorevole delicatezza il suo prezioso cilindro scudo posato sul tavolino sgangherato. Infine ci scruta con occhi truci. - Alla malora, birbe strafottenti! Non c'è più niente da cercare sulla Pietra Bismanta: dopo la strage dei monaci benedettini a opera dei nomenclati della NGA, nessuno ci mette più piede su quella cima. E poi ve l'ho già detto altre volte: state alla larga da quella costruzione, l'Alveare non è posto per scampagnate, e non è consigliabile intrattenersi nei suoi dintorni... In quanto a quella spugna di energia, quel Prete Sanpazzo, badate bene! non voglio che lo avviciniate, per nessun motivo.