- No, Kong, tu guardi soltanto con gli occhi, e non interroghi le sensazioni - interviene Ilario, riavvicinandosi coraggiosamente al compagno. - Guardala bene quella costruzione: è inquietante, orribile, sbagliata. Quasi che quelli che la edificarono non avessero una conoscenza precisa delle esigenze umane. Osserva le finestre: sono troppo piccole, troppo piccole e troppo quadrate. E troppo numerose. E le entrate? Basse e spropositatamente larghe. Non a misura d'uomo, comunque. L'Alveare è solo un'idea vaga d'edificio, uno scheletro appena abbozzato, la copia di un progetto alieno alla mente dello stesso progettista. - Riprende a tamponarsi l'orecchio con il fazzoletto sudicio. - Hai torto, Kong, non c'è solo la nostra fantasia dietro quelle aperture buie, c'è ben altro. E non riuscirai a convincermi a metterci piede. Nemmeno con le cattive.
Kong fissa gli occhi di Ilario, e la determinazione che vi legge gli suggerisce di non sprecare altro fiato. Cerca allora lo sguardo di Sannino, ma non lo trova: l'uomo pallido si è allontanato ancora di qualche passo, e ciondola la testa in avanti, come chi ha perso qualcosa d'importante e deve assolutamente ritrovarla.
- D'accordo, ho capito - brontola, con una scrollata di spalle che ingoia per metà la testa microcefala. Si piega sugli zaini, e dal suo raccatta una corta spranga d'acciaio. - Mi arrangio da solo: vado a pizzicarlo io il vostro grande stregone, e ve lo porto fuori prima che possa recitare una sola delle sue preghiere. - Brandisce la spranga e la mostra ai due compagni, digrignando di nuovo i denti da squalo. - Voglio guardarci dentro in quella sua sacca, e se qualche lumacone bavoso proverà a impedirmelo ce ne sarà anche per lui, potete giurarci.
Ilario allunga a Sannino un cenno d'intesa. - Dagliela, là dentro potrà servire.
L'altro raggiunge a sua volta gli zaini, e recuperata una torcia elettrica la porge a Kong. - Usala con parsimonia, amico - suggerisce. - La carica della batteria non durerà ancora a lungo.
* * *
Respira piano, Kong, mentre struscia la schiena lungo le pareti procedendo verso le stanze più interne, respira con un angolo della bocca ed evitando di usare il naso, per non sentire l'odore pungente di muschio e muffe. E tuttavia non è il sapore acre d'umidità a dargli fastidio, non tanto quello quanto l'agitazione ingiustificata che gli ruba lucidità. In qualche modo, adesso se ne rende conto, i vaneggiamenti dei suoi due compari sono riusciti a turbarlo, a rubare un po' della sicurezza che aveva ostentato all'esterno. Paura?, s'interroga, il grande Kong ha paura del buio e dei mostri che lo popolano? Come un moccioso?No, non è questo, non è paura!, pensa, è soltanto che i pettegolezzi superstiziosi di quei due balordi mi hanno innervosito. Senza staccare la schiena dalla parete, volta indietro la testa, per valutare il cammino percorso: una striscia di luce proveniente dall'esterno riesce ancora a raggiungere il vano che lo ospita e ad allungarsi fino a sfiorargli i piedi come la punta inconsistente di una spada mistica; ma la pianta irregolare dell'ambiente, con aperture e passaggi sfalsati, nasconde alla vista l'entrata, e lui non è più in grado di ricordare con precisione il numero di stanze già attraversate. Nota, però, che la costruzione è in realtà più profonda di quanto dal di fuori si potesse valutare, e attribuisce la responsabilità dell'inganno ottico alla vegetazione che con il tempo la sta fagocitando.
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