Uno dei film più terrorizzanti

Uno dei film più terrorizzanti che vidi in questa maniera, e che suppongo mi abbia ispirato uno sprint particolarmente vivace, fu Danza macabra di Antonio Margheriti, ovvero Anthony M. Dawson. Un allucinante bianco e nero del 1964, con una magione infestata che nella notte di Ognissanti (se ben ricordo; non sono mai più riuscito a rivederlo) si riempie di "presenze" morte e avide di nuova linfa vitale. Un capolavoro, o così mi parve. Lo stesso Margheriti ne girò una versione a colori nel 1970, Nella stretta morsa del ragno, che però mi piacque meno, per quanto lui mi abbia raccontato di esserne felicissimo: meno pathos, meno tensione. Non saprei dire. O forse, solo la dolce patina del ricordo.

Ora, nell'anno di grazia 2000, in quel di Trieste, Antonio Margheriti l'ho conosciuto e frequentato per tre intensissimi giorni. Eravamo entrambi ospiti del festival "Science+Fiction", che gli dedicò un'eccellente retrospettiva. Con noi, ahimè, oltre agli organizzatori e a parecchi critici paludati c'era anche lo scellerato Vanni Mongini, forse perché il Fato voleva dimostrarmi che l'orrore non sta solo al cinema, ma anche nella vita reale... Questo episodio, la storia della bicicletta e del terrore che mi ispirò il suo film, l'ho raccontato ad Antonio un giorno che camminavamo assieme; lui si è fermato, mi ha guardato, e mi ha detto: "Ah! T'ho fatto caga' sotto, eh?" Io ho annuito. E lui ha aggiunto: "Però te sei divertito." Come avrei potuto negare?

Aveva settant'anni, ma sprizzava una vitalità e una freschezza intellettuale che gli invidiai. Ed era di una simpatia e di una modestia eccezionali: ho cominciato col chiamarlo, come mi pareva giusto, "Maestro", e ho finito col dargli del tu, tanto era aperto, disponibile, e felicemente incredulo dell'ammirazione che pubblico e critici presenti a Trieste gli dimostravano. Definiva molte delle sue opere "film del droghiere", nel senso che li aveva girati soprattutto per far quadrare i conti di casa e negava loro ogni valore; però un giorno, ridendo, mi confidò che sminuirsi da sé è il modo migliore per ottenere lodi... "Si chiama fishing for compliments", mi ha detto. Che amabile genio della vezzosa ritrosia.

Si è presentato agli spettatori triestini, sul palco del cinema, dopo la proiezione di I criminali della galassia, un film del 1965 che onestamente non considero tra i suoi migliori (nel genere fantascienza mi paiono molto meglio, ad esempio, Space Men e Il pianeta degli uomini spenti). Come prima cosa, dopo un applauso fragoroso, ha chiesto scusa per la pochezza dell'opera, poi si è messo a chiacchierare a ruota libera, arte nella quale è maestro. E quando qualcuno gli ha chiesto: "Maestro, come è riuscito a realizzare tanti anni fa quel bellissimo modellino di missile che decolla all'inizio del film?", lui ha risposto: "Ah, il missiletto della Upim. Lo abbiamo comperato alla Upim. Tremila lire. La prima spesa di produzione. Oggi alla Upim non ne vendono più di missili così. Solo carri armati per i film di guerra." Trovatemi un altro regista che abbia il coraggio di fare ammissioni simili.

Aveva conosciuto tutte le persone che contano non solo del cinema italiano ma anche di Hollywood, e ne parlava con una naturalezza da mettere i brividi: "A Vitto', ti ho raccontato di quella volta che sono uscito a cena con Kirk Douglas?" Abilissimo narratore di aneddoti, divertente fino alle lacrime, in quei giorni triestini ha tenuto banco alle tavolate sociali del festival, diventando la nostra tenera mascotte settantenne. Camminava lento, trascinando un poco una gamba, e non fumava e non beveva ormai da anni per numerose traversie di salute; ma, come mi disse una sera sghignazzando, quando cercai inutilmente di versargli del vino: "Astemio io? E' che non posso più bere, ma se tu potessi vedere tutto l'alcol che ho mandato giù in vita mia, non ci crederesti."