Per il primo quarto è un lunghissimo episodio di X-Files, poi si trasforma in un Independence Day dei poveri, ambientato tra camera da letto e cucina. Questa in estrema sintesi la struttura portante di Signs, terzo film diretto da M. Night Shyamalan, ossessivo autore de Il sesto senso e Unbreakable che dimostra di essere un regista migliore dello sceneggiatore e dell'attore che vorrebbe diventare. Il titolo del film, infatti, non si riferisce - ahimè - soltanto ai cerchi nel grano da cui muove la storia, ma anche a quelli meno percettibili del destino e della predestinazione che costituiscono la trama della nostra esistenza. Il sottotesto del film, quello che emerge, è, infatti, un messaggio tutt'altro che parascientifico o fantascientifico. Anzi, Signs è piuttosto un film sull'importanza di avere una fede, perché nel momento di sconforto, ecco che la fede ti può sostenere e farti comprendere come sopravvivere all'arcigna realtà delle cose.
Cinematograficamente abbastanza ineccepibile (a parte il ruolo cameo dello stesso regista, davvero poco dotato come attore) Signs trascura sin da subito il mistero affascinante dei cerchi nel grano, trasformandolo in un alibi per un film di fantascienza "interna" sì, ma anche estremamente violento nella sua interpretazione dei contatti con entità extraterrestri. Lasciando molto di non spiegato e - ancora di più - affidandosi troppo a soluzioni narrative deludenti (l'apparente fine del mondo raccontata attraverso un televisore...) Shyamalan insiste sistematicamente sui momenti cinematografici che gli sono più cari. E fa bene a farlo, perché la tensione presente nel film, lo stile visivo riflette una visione del mondo cupa e agonizzante che trasformano ogni sua pellicola in un paniere di grazia stilistica e cinematografica. Purtroppo, però, lo sceneggiatore non è all'altezza del regista. Gli errori presenti ne Il sesto senso, le incertezze di Unbreakable e il moralismo eccessivo di Signs azzoppano un autore che avrebbe tutte le possibilità per diventare un nuovo Alfred Hitchcock.
Discorso completamente diverso va fatto, invece, per la recitazione degli attori: Mel Gibson e Joaquin Phoenix trovano un affiatamento notevole, reso ancora più interessante dai due bambini presenti nella storia che diventano dei perfetti comprimari. Anche qui il regista mostra il suo talento nell'ottenere il meglio da attori non necessariamente portati all'introspezione che - nelle sue mani - diventano strumenti duttili e sofisticati nell'esprimere al meglio emozioni contrastanti se non addirittura laceranti.
Peccato che Signs abbia scelto questa strada, quindi? Difficile dirlo. Più passa il tempo, più viene il sospetto che Shyamalan faccia esattamente i film che vuole fare. Una grande ricchezza per qualsiasi regista. Soprattutto se giovane e con un grande futuro. E' quindi più probabile che si tratti di una visione del mondo personalistica e difficilmente modificabile. Da amare, oppure, da rifiutare.
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