Erano gli ultimi giorni, presto la DEUS avrebbe scelto il vincitore. Eravamo tutti distrutti dalla stanchezza e i particolari finali venivano aggiunti a fatica dopo pause sempre più lunghe. Gli occhi non reagivano più al sollievo dei colliri: le mie palpebre sembravano carta vetrata, e sanguinavo a ogni movimento delle pupille. Errori su errori. Yoko doveva ancora finire i fiumi e non riusciva a costruire i depuratori. Spiros a malincuore dovette rinunciare a Diana la cacciatrice. Li sentivo litigare, mentre la cabina di Bill era silenziosa: non lavorava più?

Ordesmond era praticamente finito, e feci un ultimo giro di controllo. Le forme più evolute che avevo creato riempivano lo spazio con voli gioiosi, disegni sempre nuovi. Entusiasmante. Ma poi mi accorsi che una volava male. Era disarmonica, e finì col cadere a terra. Da lì tentò di rispiccare il volo varie volte, ma riuscì solo a zoppicare penosamente.

Quando la riconobbi un lampo di luce e terrore mi attraversò la mente: era il triottolo in cui qualche giorno prima avevo trasformato Bill, e stava regredendo.

Fu come se all'improvviso mi si aprisse una porta, e questa porta conducesse ad altre porte che non avevo mai varcato. Perché Bill non mi aveva mai mostrato il suo mondo? Perché Il Virsus non gli aveva fatto effetto? Che cosa mi nascondeva?

Uscii da Ordesmond, e mi precipitai nella stanza di Bill che dormiva. Gli strappai la benda e con le dita gli allontanai le palpebre. Con uno sforzo inaudito misi a fuoco i suoi occhi.

Erano occhi come i miei da bambino, due globi di un azzurro trasparente galleggiavano nelle orbite candide, ombreggiati da ciglia asciutte e folte. Solo chi non aveva mai lavorato ai mondi poteva avere simili pupille.

Quindi Bill mi aveva sempre mentito. Mi si affollarono nella mente mille risposte e domande insieme, e ognuna era un incubo, un gemito di dolore. Ci aveva ingannati tutti, ma a che scopo? Il Torneo era dunque soltanto una finzione? Non mi aveva permesso di visitare il suo mondo: non partecipava oppure aveva già vinto?

Gli strinsi il collo: lui sibilò la password.

Arrancai verso le cabine. Il dolore agli occhi era così intenso che sembrava danneggiare anche gli altri sensi. Persi l'equilibrio e cominciai a strisciare, mentre le voci irate di Yoko e Spiros che ignari ancora mercanteggiavano favori mi guidavano attraverso le profondità del mio incubo.

Entrai nel computer di Bill.

All'inizio non volevo crederci, quindi ho sgranato gli occhi come davanti a un'apparizione. Poi ho esplorato per ore il suo mondo, ho corso a perdifiato per i suoi giardini, per le gigantesche valli, ho scalato i monoliti e scrutato l'orizzonte, ho saturato ogni alveolo polmonare dell'aria vorticosa.

Ho guardato troppo a lungo: quando sono uscito (ma sono uscito poi?) lo sforzo mi aveva reso completamente cieco. Ma non ha più nessuna importanza.

Sono scappato dalla Casa Giardino. No, niente più Torneo, niente più vita. Tranne quella coi Kiutcke nelle loro gallerie sotterranee, dove la gravità è così forte che puoi solo rotolare. Il buio così totale che la cecità è un dono. Ora anche io emetto il loro rantolo, anche io fuggo dagli ultimi cacciatori mimetizzandomi nelle foreste di stalagmiti. E bisbiglio con Matiasevic le meraviglie dei nostri mondi che non saranno mai realizzati. Lui mi racconta di paesaggi sommersi, di vie scavate tra i coralli che portano a luccicanti piazze subacquee, dove le correnti animano una pioggia di alghe dorate. E io gli parlo delle straordinarie metamorfosi di Ordesmond, dove nulla è e tutto diviene, e ognuno, libero dalla tirannia del corpo, continua a rinascere sotto sempre nuove forme.

Non salirò mai più in superficie. L'ho deciso appena sono entrato nel computer di Bill, appena ho gettato il mio ultimo sguardo sul mondo vincitore del Torneo, sulla perfetta copia della realtà.