2) Mirko Tavosanis (critico, esperto del settore).
Nella fantascienza italiana c'è stata in effetti una continuità/comunità: scrittori e curatori si conoscevano tutti (magari in modo polemico), ma erano consapevoli della situazione. E questo fin dalla fine degli anni Cinquanta.
La continuità c'è stata anche cronologicamente (da Sandrelli e Aldani in poi, passando per figure ancora attive come Malaguti). Tutto questo però non ha raggiunto il grosso dei lettori, e non ci sono state scuole italiane di nessun tipo.
La fantascienza italiana si è quindi quasi sempre caratterizzata... in negativo, cioè come rifiuto della fantascienza americana. In positivo non è mai stato indicato nulla - alla meglio, il "discorso sull'uomo", che di per sé sarebbe anche andato bene, ma nella pratica era quasi sempre una scusa per l'incapacità a gestire qualunque cosa avesse un rapporto con il mondo moderno.
Eppure qualcosa di originale c'era stato, alle origini: la fantarcheologia!
Che non era un gran che, d'accordo, ma mostrava un taglio originale (collegato alle attività para-fantascientifiche di autori tipo Peter Kolosimo, al fumetto ecc.). Era sì ispirata a modelli d'oltreoceano, ma aveva molti tratti indigeni. E non è probabilmente un caso il fatto che l'unico autore popolare della fantascienza di oggi, Evangelisti, ritorni a proporre ai lettori i "misteri del passato".
3) Francesco Lato (autore di saggi; lettore attento e di lunga militanza).
Penso che proprio la ricerca, organizzata o spontanea, di una "via italiana alla fs", abbia finito paradossalmente per penalizzare la formazione di un nucleo consistente di autori nostrani. Mi spiego: l'imitazione dei modelli non è di per sé un fatto negativo, anzi nel corso della storia è stato anche inquadrata come una stilistica autonoma (per esempio, i "manieristi" in pittura).
Ora, per la fs fin dall'inizio si è posto l'accento sul fatto che gli italiani potessero scriverla, ma non alla maniera degli americani. Chissà come sarebbero andate le cose se gli italiani avessero scritto di più e per il pubblico di massa. Di sicuro ci saremmo sorbiti tante ciofeche (ma perché', con gli americani no?) tuttavia alla fine i più dotati si sarebbero forse imposti all'attenzione e al mercato.
Esattamente quello che è successo in Francia.
Di mio, aggiungo che qualcosa di analogo è successo anche in Germania, Spagna e in Sudamerica: e certamente quelle francese tedesca e di lingua spagnola (anche sudamericana) sono oggi fantascienze ben vive, con autori di grande interesse (un nome solo, lodato a suo tempo da Borges: Carlos Gardini). Fantascienze che hanno trovato spazio grazie a un'editoria e un pubblico che se ne infischiava di tante questioni di lana caprina che hanno afflitto la nostra fantascienza.
Oggi poi c'è l'emergere dei nuovi mezzi di comunicazione (rete, cellulari, posta elettronica), nuove forme espressive (spot, videogames), supporti interattivi (ipertesti, CD-rom, e-book), che possono modificare - anzi stanno già modificando - il nostro modo di rapportarci alla lettura, quindi la scrittura medesima. Una cosa forse si può prevedere, cioè che in un paio di decenni i problemi che illustrati si saranno risolti da soli...
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