Quanto alle tematiche, poi, occorre notare che se si accettava l'idea di un ruolo subalterno della fanta-invenzione tecnologica, inevitabilmente si imboccavano le strade di una science fiction al confine con il fantastico, dalle coloriture di volta in volta simboliche, allegoriche, o esplicitamente ammonitorie. Si perveniva insomma a una narrativa a sfondo morale, in veste drammatica o satirica a seconda dei casi, tendente a esaltare valori "umani" contro l'invadenza della tecnologia, il pericolo di una guerra atomica, gli eccessi della mercificazione, il rifiuto delle "diversità", e così via. Non per nulla nel suo famoso saggio La fantascienza (1962), Lino Aldani (grande scrittore di racconti ma anche eccellente saggista) esprimeva un concetto rimasto per un quarantennio il "tormentone" di estimatori e detrattori della fantascienza italiana:
Si avverte insomma nelle narrazioni nostrane l'ambizione di andare oltre quella che può essere la trovata tecnologica o l'ingegnosità delle situazioni, per tendere, più o meno consapevolmente, alla rappresentazione dell'uomo, l'unico soggetto che possa essere letterariamente raccontato" (pag. 141).
I veri referenti diventavano non più Asimov o Heinlein ma Kafka, Borges, Swift, Brecht, Orwell, Huxley, Joyce, addirittura Cesare Pavese (sulla rivista Robot, a fine anni Settanta, ci fu una breve polemica circa un velleitario "pavesismo" di alcuni nostri scrittori, con riferimento alle ambientazioni e ai personaggi); e per esempio nel racconto della Musa non è difficile trovare tracce dell'école du regard francese degli anni '50 (ce lo suggeriscono quelle descrizioni insistite e impassibili, quasi geometriche, di spazi, corpi, gesti, finalizzate tuttavia nel racconto della Musa a una precisa conseguenza: il progressivo l'emergere di una "memoria ancestrale" nella protagonista).
Va anche detto che anche alcuni tra i nostri più noti autori di narrativa "colta" (il cosiddetto mainstream) avevano talora affrontato la narrativa fantastica e di fantascienza, piegandola alle loro esigenze, con esiti spesso ragguardevoli: Corrado Alvaro (di cui rammento il notevole romanzo distopico L'uomo è forte, scritto nel 1938, sospetto al fascismo e vietato nella Germania nazista), Tommaso Landolfi, Gianni Arpino (La babbuina e altre storie), Guido Piovene (Le stelle fredde), Primo Levi (Storie naturali), Umberto Eco, Ennio Flaiano (Un marziano a Roma), Luce d'Eramo (Partiranno)... La loro, comunque, restava più una letteratura filosofica o allegorica, con prestiti fantascientifici talora evanescenti, scritta in un linguaggio differente e insomma altra cosa dalla fantascienza "popolare" dei periodici da edicola.
Ma a parte le occasionali incursioni di questi ultimi autori, quale fu l'esito della ricerca d'una "via italiana", additata dai propugnatori come più idonea alla eredità culturale del Vecchio Continente?
Fu un fallimento. Una parte dei lettori (me incluso) seguiva con attenzione le sperimentazioni dei vari Cremaschi, Curtoni, Musa, Viano, tuttavia si sarebbe detto che i più preferissero una fantascienza ortodossa, con l'aspetto tecnologico e il background scientifico in maggiore evidenza, comunque più aderente alle origini di letteratura popolare.
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