Un fiore italiano tra frutta e ortaggi spagnoli: Lucia nell'incredibile sinfonia di colori del mercato di Barcellona.
Un fiore italiano tra frutta e ortaggi spagnoli: Lucia nell'incredibile sinfonia di colori del mercato di Barcellona.
Barcellona è aperta, accogliente, festosa. Un clima notevolmente migliore di quello di Piacenza (okay, lo ammetterò, basta molto poco): fa caldo sì, ma con un'umidità assai inferiore, e se riesci a stare all'ombra te la cavi benissimo, e poi spesso e volentieri c'è una deliziosa brezza marina a carezzare il pellame umano. Appena arrivi in centro, sulla rambla e dintorni, ti trovi in mezzo a un casino umano vario & turbinoso & maliardo. Ci sono le statue viventi, coperte da palandrane e da vernici applicate sul corpo, che mi venisse un accidenti se riesco a capire come fanno a stare immobili sotto il sole per ore. Be', ogni tanto si muovono. Poco, però. Eroi delle monetine raccolte nelle loro ciotole, nei cappelli. C'è un'attività alimentare ininterrotta, a catena di montaggio, che in Italia nemmeno ci sogniamo: in pratica, da metà mattina alle tre di notte, e forse anche dopo, qua e là trovi qualcuno che sta mangiando e bevendo, e il numero di ristoranti, trattorie, locande, pizzerie e tutto quello che potete immaginare è semplicemente sconcertante. Pensavo che l'Italia fosse un paese dedito ai piaceri della tavola, ma a confronto degli spagnoli siamo dilettanti. Non puoi fare tre passi senza imbatterti in un menù scritto su una lavagnetta esposta al pubblico sul marciapiede. Così, tanto per stuzzicare l'appetito. Non so com'è, ma noi tre avevamo sempre fame. E sete. Potenza della suggestione digestiva.

Valerio riappare nel tardo pomeriggio del 29 luglio incrostato di ghiaccioli. Pare che nella sua camera singola l'aria condizionata tenda ad andare a paletta. Lui la spegne e non ci pensa più. Nella nostra matrimoniale, il condizionatore è più mite, e lo lasciamo acceso, però in compenso dopo qualche giorno troviamo un'acqua un po' troppo corrente: piove in corridoio, sopra la zona cucina, e l'acqua cola lemme da un piccolo lampadario al neon. Orpo, c'è da restare fulminati. Nel mio impeccabile spagnolo, segnalo l'accidente a una delle gentili signore addette alla manutenzione delle camere. No problem, mi risponde, è il condizionatore che perde. Lo ripareremo. Per l'intanto, basta spegnerlo. Spengo, ma siccome qualche ora più tardi di riparazioni non c'è traccia, riaccendo, e la pioggia riprende. E chi se ne frega? Siamo andati avanti così, con leggiadre pozzangherine in corridoio, sino alla fine. Se loro non pensano ad aggiustare, noi dobbiamo surriscaldarci? Eh no. D'altronde, perde un poco anche il bidet, per cui si viene a creare una bella simmetria d'acqua sui pavimenti dell'hotel. Meno umidità nell'aria, più umidità per terra. Mi pare un equo compromesso.

In compenso, scopro in fretta che Barcellona è il paradiso degli alcolisti e dei produttori industriali di cacca: una birra media al banco costa 90 centesimi di euro, e al supermarket sotto l'hotel ti vendono una confezione di carta igienica da quattro rotoli per 40 centesimi, e un vinello bianco da tavola per 60. Wow! Riempio il frigorifero di birra e vino; la carta igienica la lascio perdere, perché è compresa nel prezzo della camera. Valerio affitta per mezz'ora una gru da traslochi e si fa depositare in stanza quei cento o duecento cartoni di birra. Che uomo. Che stomaco. Con tutto che è alto e magro. Be', un po' di pancetta, a dire il vero...