Rapporti difficili
Ho accennato, all'inizio, al deteriorarsi dei nostri rapporti, dopo un decennio di amicizia e anni di stretta collaborazione e frequentazione. La colpa è stata mia. Quando, nel 1977, l'Editrice Nord pubblicò Le frontiere dell'ignoto, il mio saggio sulla fantascienza italiana che era l'ampliamento della mia tesi di laurea, Luigi scoprì, temo all'improvviso, che lo consideravo uno scrittore di mediocri risorse e un reazionario. Nelle pagine a lui dedicate, dopo avere cercato di salvare capra e cavoli con formule piuttosto goffe, affondavo la lama e attaccavo pesantemente.
Che dire? Non penso che i miei commenti sulle sue idee politiche fossero sbagliati, e non mi pare che lui abbia mai cercato di nascondere, in pubblico o in privato, le sue propensioni. Lo avrà semmai sorpreso constatare quali fossero le mie convinzioni, visto che una decina di anni prima andavamo d'amore e d'accordo... Be', non so se sia capitato anche a qualcuno di voi, ma al liceo io ero ideologicamente un animale amorfo, forgiato come argilla dalle parole dei pedagoghi più abili e partigiani, mentre all'università ho cominciato ad acquistare una dimensione mia che, guarda caso, si è rivolta in direzione opposta rispetto alla destra. Molto semplice, mi sembra. Anche se talora mi sono sentito rivoltare contro come un boomerang le recensioni a base di lodi sperticate a certi romanzi di Naviglio (e non solo) apparse sulle fanzines: be', okay, se vogliamo imputare a qualcuno quello che ha scritto a sedici o diciassette anni, per di più sull'onda di un entusiasmo che non sarà difficile comprendere, perché non andiamo a scavare anche nei temi delle medie e del liceo? Ci sarà molto da scoprire.
Il vero punto, il vero terribile punto, è che non ho avuto il coraggio (o la voglia, o l'interesse, o che ne so) di parlare con Luigi prima che quel mio libro uscisse. Di spiegargli, di cercare di fargli capire, ammesso che lui ci tenesse. Come sono riuscito a fare, in tempi relativamente recenti, con alcuni amici che erano diventati nemici proprio per questioni di ideologia politica. Con lui, invece, nisba. Un timido tentativo lo feci una ventina di anni fa, proponendogli un incontro faccia a faccia per chiarirci, ma lui lasciò cadere l'invito e io non insistetti. Altre erano le priorità che si agitavano nella mia testa. L'ultima volta che ci siamo visti è stato nel 1980, sempre a Trieste, sempre al festival. Ci trattammo a vicenda come compìti estranei che non hanno niente da dirsi, anche se io mi sentivo rodere dentro da un passato importante, e forse accadeva anche a lui; e il saluto che mi diede a fine festival, mai dimenticato, fu un terribile: "Be', arrivederci, Curtoni." Quando qualcuno che ha condiviso sogni con te ti chiama per cognome, siamo al fondo del barile.
Tutto questo significa che io abbia cambiato idea su ciò che Luigi Naviglio scriveva e su come lo scriveva? No. Significa solo che ho trattato male un amico, una persona che per di più mi ha offerto non poche occasioni concrete, e non ne vado per nulla fiero. La sua visione politica del mondo era agli antipodi della mia, e mi metteva anche un po' paura; il suo modo di scrivere, in romanzi come Un carro nel cielo, I pionieri di Exlan o Era oscura, poteva andare benissimo per i canoni di Cosmo Ponzoni, ma non corrisponde ai miei gusti, non incarna ciò che cerco in un buon libro, sia fantascienza o no. Anche se suppongo possa piacere, e a quanto mi risulta varie persone lo hanno sempre considerato un buon autore d'intrattenimento.
Avrei solo dovuto parlare con lui. Dubito che questo avrebbe cambiato il risultato finale, la realtà della situazione essendo ciò che era, ma almeno non mi sarei nascosto nel silenzio. Come invece ho fatto. Cenere, cenere sul mio capo tricoleso.
E ciao, Luigi. Cosa mi diresti adesso?
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