Altair aveva adottato una tattica temporeggiatrice e aveva armato vascelli da corsa, ma alla Bellerofonte non era giunta notizia dei nuovi sviluppi. Non ci si aspettava di veder comparire all'improvviso un'astronave: ma era apparsa, e aveva preso a sparare senza perdere tempo nelle formalità.

Quando ciò avvenne Smith si trovava di guardia alla sala comando. Era solo, e naturalmente stava giocando col computer. La partita doveva essere cominciata il giorno prima, poi Smith aveva sospeso e si era ritirato nella cuccetta per riflettere (sosteneva che fosse perfettamente lecito, per bilanciare la velocità di analisi di un elaboratore). Cordmaker ricordava bene l'inizio, perché Smith glielo aveva mostrato.

Come era suo costume, Smith apriva sempre di re per provocare un gioco aperto e violento, nel quale la fantasia umana potesse avere la meglio sulle capacità analitiche di un computer (o di un gropi). Il calcolatore della Bellerofonte, un perfezionatissimo HAL 10000, era stato programmato con la consapevolezza del proprio limite, perciò rifiutava questo tipo di gioco e si rifugiava in una tattica semichiusa.

Quella volta HAL rispose con una "difesa siciliana", che è più bella e più solida di altri giochi semichiusi (Pirc, Caro-Kann, "francese" o Kasparov) ma che offre la possibilità al Bianco di rientrare in un gioco più aperto e battagliero. Smith non si lasciò sfuggire questa possibilità: sacrificò un pedone (ciò che in gergo tecnico si chiama "gambetto") per ottenere in cambio un gioco d'attacco, con i suoi pezzi tutti ben piazzati per scatenare un'offensiva. HAL pescò dalla sua memoria una variante complicata ma rinunciataria, simile alla cosiddetta "variante del dragone", ma Smith giocò correttamente, sì che a metà partita erano stati seguiti alla perfezione i consigli dei manuali.

Fui io a questo punto ad interrompere Cordmaker. Da scacchista, restavo ammirato dalla bravura di Smith, perché non è facile ricordare l'esatta sequenza di mosse di un gambetto Morra-Matulovic in cui il Nero adotti il fianchetto di re. E' probabile che se Smith avesse accettato di giocare con me, mi avrebbe stracciato in poche mosse, ma questo non faceva che far aumentare il mio desiderio di misurarmi con lui. So cosa state per dirmi: che non mi era chiaro se Smith mi interessasse più come uomo o come scacchista. E' vero, non lo sapevo; forse, semplicemente, non si può scindere la personalità in questo modo. Né la mia né quella di Smith.

Nuovamente levai guardai verso il suo tavolino. Non c'era. Non c'era più nessuno nel bar tranne me, Cordmaker e Betty, che stava già rimettendo in ordine. Il racconto che avevo ascoltato mi aveva completamente tratto fuori dal mondo; ero sulla Bellerofonte accanto a Smith che giocava a scacchi inserendo schede perforate nel terminale di un ordinatore elettronico, mentre il cielo intorno era scuro e sul chiarore lontano della galassia M31 si disegnava la sagoma di un'astronave nemica.

Fissai il tavolino vuoto di Smith, la bottiglia di vurguzz vacante, e mi chiesi se lo avrei mai rivisto. Forse era forse un presentimento, nulla vietava che potessi rivederlo l'indomani sera come ogni sera nella settimana precedente.

Betty aveva già spento l'insegna e abbassata la saracinesca. Mi guardò con fare interrogativo, ma io le feci cenno di portarci ancora da bere. Saremmo usciti dalla porticina laterale, come mi succedeva quando facevo particolarmente tardi. La conoscevo ormai da vent'anni ed ero uno dei suoi pochissimi amici.

* * *

Invece di continuare a parlare, Cordmaker mi porse il pezzo di fibroplast. C'erano le mosse della partita, in notazione alfanumerica. Sì, ora riuscivo anche io a raffigurarmi la posizione; fino alla decima mossa era tutta prevista dalla teoria di gioco: a quel punto Smith aveva sospeso per studiare meglio l'attacco. La posizione di HAL appariva solida, e solo un'esatta successione di mosse avrebbe potuto sconvolgergli la difesa.