Improvvisamente, il volto di quell'uomo si rasserenò, come se gli fosse apparso un arcangelo ad annunziargli il lieto evento. Si rilassò contro lo schienale, provocando un cigolio di protesta da parte della sedia, e mi sorrise. Era il sorriso agghiacciante di un genocida di fronte a una fossa comune. - Premi il grilletto, - disse semplicemente, intrecciando le mani dietro la testa.
- Cosa?, - domandai completamente sbigottito.
- Avanti, premi quel fottuto grilletto. E poi vedi di lasciarmi parlare senza più rompermi le palle..
Era entrato nel mio ufficio da non più di tre minuti, ma era già finito in cima alla mia personale classifica delle Persone-detestabili-che-devo-eliminare. Ero arcistufo dei suoi enigmi. E poi era stato lui a stuzzicarmi.
Con un gesto che ormai mi era abituale, afferrai la pistola, la puntai contro quel muso suino - che si trovava a meno di due metri da me - e feci fuoco.
Non avevo minimamente pensato al sangue e alla materia cerebrale che si sarebbero sparse sulla tappezzeria e, forse, sulla parete, ma non avevo nemmeno immaginato che potesse succedere ciò che accadde. Cioè niente.
L'uomo era ancora là, seduto sulla sedia, col suo ghigno da assassino e la sua mole da orso pasciuto.
Mi sollevai di scatto, facendo ribaltare la mia comoda poltrona in pelle, e scaricai tutti i colpi sull'imponente figura che mi stava davanti. Un fumo azzurrognolo mi offuscò momentaneamente la vista, e un intenso odore di cordite mi pizzicò le narici. Ma il bastardo era ancora vivo, fiero come una sequoia in mezzo a un esercito di bonsai, e con un sorriso tanto storto e sottile da apparire come la cicatrice liscia provocata da una lama.
Portai la pistola all'altezza degli occhi e la contemplai con lo stesso disgusto con cui si può guardare la propria donna quando si scopre che ti ha tradito con tutti gli esseri viventi dell'isolato, cani inclusi.
- Posso parlare, adesso? - chiese educatamente lo straniero invitandomi, con un ampio gesto della mano, ad accomodarmi sulla poltrona.
Con riluttanza, sistemai la poltrona e mi sedetti, gettando a terra la calibro 38, ormai più inutile di un apriscatole nelle mani di un bradipo. - Era caricata a salve, non è vero? - chiesi, cercando di convincere me stesso più che il mio interlocutore. - In qualche modo sei riuscito a sostituire le pallottole. E' per questo che sapevi dove la tengo..
- Niente affatto - mi rispose, mostrando una chiostra di denti ingiallita dalle sigarette o da una pessima igiene orale. - Le pallottole sono vere, almeno nel tuo mondo, ma su di me non hanno alcun effetto..
- Chi cavolo sei? - domandai stancamente. Mi faceva male la testa, come se la superficie del mio cervello fosse stata trafitta da migliaia di spilli.
- Te l'ho già detto. Io sono il tuo Creatore...
- Ma cosa cazzo significa? - piagnucolai prendendo la testa tra le mani. Non volevo perdere il controllo, ma avevo l'impressione di essere scivolato in un incubo dal finale terrificante.
- Tu non sei Jack Warden, investigatore privato. Il tuo vero nome è George Snow, e sei un attore, - disse trascinando la sedia verso la scrivania.
- Davvero? E tu chi sei, Orson Welles fresco di rasatura e di ritorno dall'oltretomba? - risposi con sarcasmo.
- No, ovviamente, - dichiarò con candore. - Io mi chiamo Leslie Donaldson e sono uno sceneggiatore televisivo. Cinque anni fa ho ideato una nuova serie di telefilm incentrata sulle vicissitudini di un investigatore privato...
- Il sottoscritto, suppongo.
- Appunto, - confermò Donaldson, o come diavolo si chiamava. - Jack Warden. Investigatore privato. Un uomo tutto d'un pezzo, un misantropo dai modi duri, rude con le donne e spietato con i nemici. Abbiamo scelto te perché mi somigli come un gemello... be'... vent'anni e venti chili fa, - aggiunse.
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