Perché L'impero del sole e, in una certa misura, anche il successivo La gentilezza delle donne, romanzi pseudo-autobiografici in cui gli avvenimenti reali vengono deformati fantasticamente, sono l'applicazione ai fatti della vita di Ballard della strategia di Traven/Travis/Trabert com'è esposta da Webster, altro personaggio della Mostra delle atrocità. Come Traven "vuole uccidere di nuovo Kennedy, ma questa volta in modo che abbia senso" (p. 71), così anche Ballard rivive gli anni di Lunghua, e poi il suo ritorno in Inghilterra, dal 1946 al 1988, "in modo che abbiano senso". Al fondo della scrittura ballardiana, insomma, e a dispetto della sua forma distaccata, quasi clinica, c'è una forte ispirazione cognitiva ed etica, un tentativo disperato di capire la complessità del mondo che ci circonda. Non che questo tentativo non ci fosse nei romanzi e dei racconti della metà degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta, ma con La mostra delle atrocità Ballard si mostra più consapevole delle proprie strategie narrative e delle molle segrete della propria scrittura. Nella seconda metà degli anni Sessanta la redazione dei "condensed novels", dei "romanzi condensati" che andranno poi a costituire nel 1970 appunto La mostra delle atrocità, ha proprio questo significato. Le peregrinazioni nel paesaggio mediatico dei vari "sé" di Traven coi suoi molti nomi, la riproposizione della prosa scientifica (medica, sociologica, psicologica), le narrazioni paradossali (L'assassinio di Kennedy considerato come una gara automobilistica, Storia segreta della terza guerra mondiale), sono l'arma con cui Ballard vuole contrastare "il matrimonio tra ragione e incubo che ha dominato il XX secolo", come dirà nell'introduzione all'edizione francese di Crash. Qui, nella Mostra, egli afferma a un certo punto che "la scienza è l'ultimo stadio della pornografia, un'attività analitica il cui scopo principale è quello di isolare gli oggetti o gli eventi dal loro contesto spaziale e temporale" (p. 69). La "mitologia del futuro prossimo" che Ballard vuole creare va esattamente nel senso contrario. Ma non nel modo nostalgico e "reazionario" di un autore come Bradbury (che Ballard stima ma da cui si sente, a ragione, lontanissimo). Niente vagheggiamento di un passato preindustriale o di un mondo "pulito". Le utopie classiche gli sono estranee, anche quelle apparentemente più ragionevoli e fondate, come quella ambientalista dei verdi (ampiamente satireggiata nel suo ultimo romanzo, Rushing to Paradise). E' sempre con un sofferto "amor fati", è tramite l'attraversamento dell'inferno che i suoi personaggi attingono quel poco di ambigua salvezza a cui possono arrivare. Sono la malattia mentale, il disturbo, la "morte degli affetti", la chiave per comprendere se stessi e il mondo. Così in questo libro fa Traven, come aveva fatto Kerans in Deserto d'acqua e Sanders in Foresta di cristallo, come farà il piccolo Jim nell'Impero del sole e il Ballard adulto nella Gentilezza delle donne. "All'alba Trabert si trovò a guidare lungo un'autostrada che penetrava nella città deserta: terreni a pascolo e stazioni di servizio, e in alto un intrico di fili, come un'algebra del cielo ormai dimenticata. Quando apparvero gli elicotteri fermò la macchina e proseguì a piedi. Dietro di sé sentiva l'urlo lamentoso delle sirene delle auto della polizia, icone neuroniche sulle autostrade spinali." (pp. 93/94).
La morbida geometria di James G. Ballard
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