Queste erano le mie riflessioni di qualche anno fa sul tema (sviluppate tra l'altro già in un vecchio Pensiero Stocastico).
Poi, qualche tempo dopo, mi capitò tra le mani un brillantissimo libro, Elogio dell'imbecille, di Pino Aprile. A dispetto del titolo sempliciotto, si tratta di uno dei pochi libri di matrice italiana dell'ultimo decennio che in me abbiano lasciato una traccia degna di menzione. Si tratta di un'opera brillante ed ispirata, suggellata qua e là da autentici colpi di genio.
Il tema, assai credibile, è che l'intelligenza dell'individuo umano non giovi da tempo più neanche alla specie. E che quindi ci sia da migliaia di anni in atto una forte pressione selettiva da parte della specie per ridurre l'intelligenza degli individui umani, una tendenza che avrebbe ultimamente accelerato, di pari passo con l'esplosione demografica del genere umano. Sebbene Pino Aprile sviluppi la tesi un po' troppo a senso unico, la sua analisi di fondo è nei suoi tratti fondamentali perfettamente logica e plausibile. Sulla base delle considerazioni di Aprile, ho quindi aggiustato il tiro delle mie riflessioni.
La specie dell'essere umano sviluppò la sua tipica intelligenza tanti anni fa (dicesi milioni). Uscito dalle foreste a causa di pressioni ambientali a noi ignote (probabilmente un problema di sfratto), il primate che poi sarebbe divenuto l'essere umano si trovò nella savana africana alle prese con un problemuccio: i mammiferi in circolazione erano tutti o erbivori o carnivori, ed entrambe le categorie avevano avuto milioni e milioni di anni per specializzarsi nei loro ruoli. Il proto-uomo era invece uno scimmione perdigiorno, abituato per vivere a raccattare frutti e insetti che la foresta offre in abbondanza, e grattarsi la pancia nel resto del tempo. In confronto alle dure leggi della savana, la foresta era un posto da fighetti. Il proto-uomo, abituato ai quartieri alti dell'ecosistema, non era fatto per sopravvivere nel Bronx dell'epoca - le vaste praterie senza frutti né nascondigli, ed un sacco di bestie cattive pronte a reclutarti a forza per la loro cena, in veste di pietanza. Per sopravvivere, il proto-uomo non aveva che due scelte: o imparava a brucare meglio degli erbivori, o imparava a cacciare meglio dei carnivori. Brucare meglio degli erbivori avrebbe potuto essere una valida scelta, ma il proto-uomo decise invece di provare a cacciare meglio dei carnivori. Molti vegetariani, oggi, tentano di sovvertire questa antica scelta, e solo il tempo dirà se ci riusciranno. All'epoca, tuttavia, brucare meglio degli erbivori non sembrò una valida opzione. Anche perché per fare l'erbivoro in una prateria africana non basta imparare a brucare e a metabolizzare l'erba. Bisogna anche imparare a difendersi dai predatori carnivori. Bisogna imparare a correre a 70 e più chilometri all'ora per sfuggire agli agguati, bisogna adunarsi in foltissimi branchi di modo da concedere non più di una minoranza della popolazione alla fame dei predatori. E poi bisogna farsi crescere anche le corna per difendersi dai carnivori. Forse fu proprio la faccenda delle corna a dissuadere il proto-uomo, oppure fu un problema di palato (avete mai provato a mangiare erba tutti i giorni? Non parlo di lattuga e rucola - erba, erba secca di prato, fieno!). Fatto sta che il proto-uomo scelse la via di cacciare meglio dei carnivori. E qui si trovò di fronte ad un problema non da poco. Al confronto di qualsiasi altro carnivoro, il proto-uomo era del tutto disarmato: niente denti taglienti, niente artigli affilati, un senso dell'olfatto ridicolo, una massa muscolare utile forse per qualche elegante volteggio tra gli alberi, ma del tutto inadeguata a predare animali più grossi dei conigli. Insomma, una situazione pressoché senza speranza, considerando i milioni e milioni di anni che gli altri animali della savana avevano invece avuto a disposizione per assumere le forme e gli istinti più appropriati. E allora il proto-uomo per non estinguersi scelse di sviluppare a dismisura l'unico organo che già aveva in abbondanza rispetto agli animali suoi concorrenti: il cervello. L'accresciuta massa cerebrale permise al proto-uomo di bruciare le tappe del proprio adattamento all'ecosistema. Gli permise di sviluppare rapidamente strategie di caccia di branco. E soprattutto gli permise di creare utensili (lance, coltelli, ecc.) che potessero supplire alle sue mancanti armi naturali (denti, artigli, muscoli, ecc.). A questo e solo a questo doveva servire il cervello. Il fatto è che se ti compri un'automobile per fare il rappresentante di commercio, poi la usi anche per andare in vacanza. L'essere umano dell'antichità si ritrovò nel cranio uno strumento con il quale si poteva fare molto di più che costruire lance e coltelli. Beh, quello che poi l'essere umano ha fatto con il proprio cervello lo sappiamo tutti, e da un punto di vista estetico si tratta certamente di un'opera straordinaria. Tuttavia, il successo evolutivo dell'essere umano ha condotto alla sua proliferazione esponenziale, e la sua proliferazione esponenziale ha mutato alcuni equilibri fondamentali.
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