Pasto nudo pare che come titolo sia il suggerimento dato all’autore da Jack Kerouac, con una locuzione che vorrebbe significare il boccone sospeso sulla punta della forchetta, l’istante prima di venire fagocitato. E questo è solo uno dei tanti aneddoti di vita fioriti attorno a questo capolavoro segreto del Novecento, un autentico manuale esoterico in grado di evocare le perversioni e i deliri più puri che si ricordino in letteratura, mettendo a nudo un disagio esistenziale con pochi paragoni.
È un’autentica impresa raccogliere in una manciata di parole la trama di questo romanzo frammentario, un libro che forse non è nemmeno provvisto di una storia ma che a ogni nuova pagina conduce il lettore un gradino più in basso lungo la scala che scende all’Inferno. Un inferno fatto di dolore, solitudine, alienazione e, soprattutto, dipendenza. Tutti elementi che hanno contributo alla legenda di questo testo, facendone una sorta di bibbia di riferimento per tutte le controculture e le avanguardie artistiche che sono seguite alla data della sua pubblicazione. La(e) storia(e) si districa(no tutte) intorno a una città fantastica e terribile, l’Interzona, in cui si riflette come in uno specchio deformante da luna park la Tangeri degli anni ’50. È in questa città sospesa fuori dal tempo che agiscono i protagonisti, tutti emarginati di un’umanità abietta, a vario titolo inseriti nel sottobosco criminale delle sue strade e inquadrati in una cospirazione di più ampio respiro, che coinvolge gli ambienti della politica, della medicina e del terrorismo internazionali.
Tra autobiografia e delirio, William S. Burroughs guida il lettore in un giro turistico nei più tetri gironi del suo inferno interiore. Torbidi frammenti di vita e lucide disamine scientifiche di tutti i tipi di droga in commercio all’epoca si mescolano nella partitura del romanzo, che è disarmonica, caotica, a tratti confusa ma efficace e insuperabile nel fornire uno spaccato quanto mai fedele di un’esperienza devastante e micidiale come la tossicodipendenza. Una struttura che sembra essere il risultato di un’esplosione neurale e nasce dalla convergenza di finalità artistiche ed esigenze teoretiche. Se da una parte, infatti, il libro è un resoconto delle peripezie dei suoi protagonisti, tutte vissute per ovvie ragioni al di sotto della soglia della coscienza, dall’altra la sua struttura riflette le ossessioni di Burroughs per il controllo, la sua paranoia innata, il suo profondo senso di repulsione verso ogni forma di condizionamento che può venire dal sistema (inteso come società, stato, complesso di valori religiosi, culturali e politici). “Il controllo dei mass media dipende dallo stabilire delle linee di associazione” diceva Burroughs. “Quando le linee sono tagliate, le connessioni associative sono interrotte”.
È così che la mente si frammenta per sottrarsi al controllo. E la tecnica letteraria usata in questo romanzo, teorizzata dallo stesso Burroughs con la collaborazione di Brion Gysin, non a caso porta il nome di cut-up & fold in, che potrebbe essere semplificata con l’italiano “taglia e cuci”: distruggere le associazioni convenzionali per crearne di nuove mette il lettore in condizioni operative ideali, lo trasforma da bovino, passivo consumatore di idee altrui, in artefice del suo stesso sapere. Attraverso la sottrazione dell’oggetto letterario dalle ambizioni di controllo del resto del mondo si realizza la vera libertà, e l’opera di Burroughs, come del resto la sua vita, dissoluta, dissipata, tormentata, lontana da ogni senso della misura, si configura proprio come un solenne inno all’indipendenza dell’individuo.
Pasto nudo rappresenta un primo tentativo di Burroughs di raggiungere una sorta di redenzione spirituale attraverso la scrittura, come ben comprese Jack Kerouac. Nel 1957 fu lui stesso ad avviare con l’autore, tormentato ed oppresso dai suoi eccessi, la laboriosa opera di composizione del testo dai suoi appunti confusi e frammentari, un’impresa titanica nella quale gli succedettero altre due figure di primo piano tra i beatnik, Peter Orlovsky e Allen Ginsberg. Quando il libro fu ultimato, malgrado l’influente intercessione di Ginsberg ricevette il rifiuto di tutti gli editori ai quali venne proposto, tra i quali lo stesso Lawrence Ferlinghetti, poeta e primo editore della Beat Generation, che lo giudicò disgustoso. Dopo la pubblicazione per la Olympia di Parigi, una casa editrice provvista di una collana di libri pornografici a basso costo, cominciarono le censure e i processi. Pasto nudo fu uno degli ultimi libri processati in America per un’accusa di oscenità. Oggi è additato come capolavoro di un autore che ha saputo imporsi come teorico libero e spietato, tra i pochi che siano stati in grado di comprendere il significato del potere democratico dell’informazione.
William Seward Burroughs nacque a Saint Louis nel 1914 e morì a Lawrence, Kansas, nel 1997. Di famiglia agiata, si laureò in antropologia a Harvard. Dopo essersi arruolato nell’esercito durate la Seconda Guerra Mondiale, fu congedato per volere della madre. Tentò vari mestieri, prima di entrare in contatto con Kerouac e Ginsberg ed essere trascinato nella spirale della tossicodipendenza. Proprio per tirare un po’ di fiato dal controllo asfissiante delle autorità, si trasferì in Messico dove per un tragico incidente uccise la moglie Joan con un colpo di rivoltella. La vita errabonda lo condusse negli anni Cinquanta in Europa, e poi a Tangeri. Tra i suoi libri fondamentali, Adelphi ha pubblicato La macchina morbida e La febbre del ragno rosso, Sugarco invece Ragazzi selvaggi, Strade morte, Nova Express e Terre Occidentali.
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