racconto di
Massimo Pietroselli
Butterfly olografica
Massimo Pietroselli ha vinto un premio Urania con il romanzo "Miraggi di silicio", uscito il primo ottobre 1995. Da allora non ho letto più niente di lui, fino a quando ci ha mandato questo racconto per una possibile pubblicazione su Delos, che si conferma sempre di più come uno dei pochi spazi professionali in cui anche autori di un certo rilievo possono trovare spazio. Questo Butterfly olografica forse non è il più originale dei racconti, ma Massimo sa scrivere bene e imbastisce una classica storia di sf che diverte. Che cosa chiedere di più a un autore di fantascienza? (Franco Forte)
La prima lettera del Nome è stata pronunciata.Jorge Luis Borges, La morte e la bussola
Le vicende relative allo strano caso del signor Issakar Marx sono state raccontate, nel corso di questi ultimi tempi, in una varietà di circostanze e in ogni salotto telematico, e ogni volta impalpabilmente modificate dalla foga del narratore o dal pressappochismo del giornalista di turno. A sua volta, la storia è stata ripresa dalla popolazione dei diversi mondi della Confraternita, adattata di volta in volta all'uditorio e alle capacità espressive di chi raccontava, nonchè commentata fino a diventare una leggenda, di cui si va smarrendo ogni riferimento alla realtà.
Proprio per evitare che, tra qualche tempo, possa capitare di udire in un elegante salotto l'esclamazione: "Ancora Issakar Marx! Basta con questa favola!", oppure in una scuola materna: "Se non fai il bravo, finirai come Issakar Marx!", insomma per evitare che la gente creda che quello che è capitato al pilota esploratore Issakar Marx sia soltanto una delle tante leggende di quest'era di viaggi volti a cooptare nuovi mondi nella Confraternita, ho deciso di riportare i fatti, i semplici fatti, come li ho ascoltati dalla bocca stessa, ormai orrendamente contorta come il suo corpo agonizzante, del famoso comandante della InfernoXXVI - Issakar Marx, per l'appunto.
Arrivai al castello soltanto al tramonto, dopo un'intera giornata trascorsa a cavalcare attraverso le foreste pietrificate di Klin, con la mente tesa a evitare i rami letali degli alberi grigio-ferro, costellati da carcasse di volatili impalati che mi ricordavano le strategie di sopravvivenza di quella straordinaria forma di vita - o di non morte, come oscuramente sostengono gli esobiologi. Quando finalmente scesi da cavallo, sollevando nubi di polvere secolare che restarono sospese a lungo nell'aria perennemente secca del pianeta, sentii sulle mie spalle tutto il peso di quell'estenuante giornata, e una luce accesa che trapelava da una delle finestrelle del castello mi riscaldò l'animo. Un improvviso frullo d'ali dietro di me, un grido acuto; mi voltai; un altro uccello era rimasto intrappolato tra le acuminate spine di un ramo di un albero gigantesco; si dibatteva agitando le ali, con il solo effetto di accelerare la sua morte e di lasciare presto il suo sangue caldo all'albero di pietra vivente...guardai di nuovo alla finestra, ma niente poteva adesso scacciare dalle ossa quel nuovo, improvviso senso di freddo desolante. "Chi abita a Klin", diceva un detto della Confraternita, "prima o poi regala la sua anima alla pietra delle foreste". Solo adesso ne capivo il senso.
Mi misi a tracolla la mia vecchia bisaccia. Quello che conteneva, sembrava bruciarmi la spalla, quasi fosse materiale radioattivo. Ma sapevo che era solo suggestione. Tuttavia, non vedevo l'ora di consegnare quel dannato pacchetto e farla finita con quella storia.
Salii la breve scalinata coperta di polvere, il pesante portone si aprì da sè. Percorsi corridoi accompagnato solo dall'eco dei miei passi e dalle laconiche istruzioni di qualcuno degli strani esseri che su Klin vengono addestrati a fungere da grotteschi maggiordomi, attraversai stanze arredate col gusto eccentrico che si acquista solo dopo aver viaggiato per tutti i mondi della Confraternita...
...e poi vidi Issakar Marx.
Me lo trovai davanti all'improvviso, all'estremo opposto di un lungo corridoio, poggiato con noncuranza contro una colonna ritorta. Era alto, vestito di una lunga tunica nera bordata di rosso, gli occhi sorridenti. Per un momento, rimasi di stucco: non era cambiato per nulla. Ma poi, avanzato di qualche passo, capii. Ormai di fronte a lui, allungai deciso una mano, che traversò il suo petto come se avesse forato un velo di nebbia. Issakar sorrise.
-- Amico mio! -- disse con la sua voce tonante, che era rimbombata allegra o perentoria nei saloon di mille pianeti e che ben ricordavo. -- Ti aspettavo da tempo.
-- Issakar! Non riesco a crederci, dopo tanto tempo! Ma perché questa pagliacciata?
-- Alludi all'ologramma? Una rielaborazione grafica, proiettata in questo punto dall'elaboratore del castello -- spiegò. Anche la sua supponenza, ricordavo bene.
-- E' davvero perfetto. Ci sono cascato, per un momento. Forse perchè, tra queste pareti secolari, sembra così fuori luogo. Ma perchè?
-- Mi vedrai, amico mio. Mi vedrai in carne e ossa, ma solo dopo che ti avrò raccontato la mia storia. Questa preparazione è necessaria. Vieni, seguimi. Ti condurrò attraverso il mio castello...fino a quello che rimane di me. Ma tu come va? -- E, un'ottava sotto: -- Ho saputo di tua moglie.
Abbassai gli occhi. Non ero ancora pronto ad affrontare quel dolore troppo recente.
-- Mi dispiace -- aggiunse lui. Ho sentito che era molto bella
Lo portai verso altri argomenti. Ma perchè quel messaggio così angosciato? Per un momento ho creduto...
-- ... Che stessi per morire? E' così, infatti. Ti ho chiamato al mio capezzale per l'ultimo saluto. E hai ragione di essere stupito: sono molto più vecchio di così, infatti...e molto malato. -- Mi fissò negli occhi, spaventato. Naturalmente, hai fatto quello che ti avevo chiesto nel messaggio
Annuii. Ma sì! L'ho qui, nella bisaccia. Anche se non capisco
-- Capirai.
Così, ci incamminammo, io e quel simulacro di Issakar. Solo i miei passi risuonavano sul marmo dei corridoi, solo il mio corpo proiettava ombra. E il celebre pilota mi raccontò la sua storia.
-- Avvenne su un pianeta di transito, dove ero stato costretto a fermarmi per gravi avarie all'InfernoXXVI. Shandrak, è il nome con cui è noto nella Confraternita...
-- Lo so. Dimentichi che mi hai mandato fin laggiù, a prenderti
Ma i sensori sparsi per il palazzo, che comandavano l'ologramma di Issakar, non mi sentirono. -- Shandrak era stato terraformato in accordo a tutte le leggi della Confraternita, vale a dire violando il meno possibile le caratteristiche intrinseche della vita autoctona. L'operazione implicò comunque l'estinzione di migliaia di forme di vita incompatibili con il nostro habitat, e la mutazione di migliaia di altre. Di giorno si moriva di caldo, di notte di freddo, e il cielo era sempre di un polveroso color ruggine
Improvvisamente il suo viso si indurì, e notò, con profonda tristezza: -- E' vergognoso ridurre così un pianeta. Meglio terraformarlo del tutto, allora, radendo al suolo quello che era stato prima. Ma così! E' come prendere una tigre, strapparle le zanne e gli artigli e metterla in salotto a fare le fusa! A ogni modo...
"Una delle più tipiche forme di vita di quel pianeta, che a costo di diverse mutazioni era riuscita a sopravvivere, era quella delle farfalle.
"Ti annoio forse, amico mio? Dimenticavo ancora che sei stato su Shandrak. Conosci dunque la loro bellezza ma forse non il loro pericolo.
"Milioni di insetti dalle ali variopinte, che si muovono di concerto contro il sole calante, come un caleidoscopio in forma di nuvola...fragili e preziosi ricami elaborati da una Natura diversa dalla nostra che si poggiano fiduciosi sul palmo della tua mano...disegni portati dal vento...
"Sei stato su quel pianeta, amico mio! Ebbene, dimmi: non era come...come camminare all'interno di un mosaico bizantino? -- Sospirò. -- Ma non posso perdermi nei ricordi di quei tempi, adesso. Non c'è più tempo, per i ricordi. Dunque, ero su quel pianeta da qualche giorno, quando conobbi una ragazza. Si chiamava Crystabel. Era figlia di una coppia anziana di pionieri di Shandrak, e come tutti i pionieri era cresciuta con idee strane sui sentimenti, vecchie di qualche secolo. Faticavo a restare serio quando mi diceva che io sarei stato il solo amore della sua vita, e ancor di più quando le rispondevo con false promesse, quando le giuravo che non sarei più partito e sarei rimasto su quel pianeta dal cielo color ruggine e dai turbini di farfalle che ti volteggiavano intorno come se volessero ballare con te...solo molto tempo dopo ho capito il mio errore.
"Un giorno stavamo guardando il cielo, sdraiati contro un morbido tappeto erboso. Pensavo alla mia InfernoXXVI, che ormai era quasi pronta, e a quando avrei ripreso la via dei wormholes. Crystabel, immagino, fantasticava della nostra futura vita insieme. Sciami di farfalle volteggiavano tutto intorno. D'un tratto, una di queste si poggiò su un filo d'erba, restando così, immobile in quell'equilibrio precario. Cominciai a fissarla, affascinato dal puzzle disegnato sulle sue ali.
"Poi, notai qualcosa di strano.
"Dapprima non capii cos'era: semplicemente, c'era qualcosa di anormale, di particolare. Mi avvicinai lentamente alla farfalla, badando a non fare mosse che potessero intimorirla. Ma lei rimase immobile, le ali che sembravano quasi offrirsi al mio sguardo.
"E così segnai la mia fine. O meglio, l'inizio della mia fine.
"Infatti, all'improvviso i miei occhi percepirono un ordine, dietro il disegno apparentemente astratto delle ali, e quando me ne accorsi, mi sembrò addirittura assurdo che non me ne fossi reso conto subito, per quanto era evidente, chiaro e preciso...
-- E cos'era? -- chiesi, interrompendo per la prima volta quel lungo monologo.
-- Una lettera. La lettera M.
Issakar cercò la sorpresa nei miei occhi, ma non la trovò. Avevo sentito parlare della strana leggenda, o meglio della superstizione, che circolava sulle farfalle di Shandrak. Per questo, quando Issakar mi parlò della lettera M, non gli obiettai che si trattava solo di una coincidenza, come chiunque avrebbe fatto. In fondo (un altro avrebbe potuto dirgli), quante diverse forme gli uomini avevano scorto nella disposizione delle stelle? Il cervello è una macchina che produce somiglianze, significati. Cosa c'era di così strano in una lettera disegnata sull'ala di una farfalla? Ecco quello che avrei potuto dire, se non avessi saputo.
Ma conoscevo la superstizione. Tacqui, per far continuare Issakar. E tuttavia, notai nel suo atteggiamento che quella mia mancanza di sorpresa lo aveva dispiaciuto, o forse irritato.
-- Crystabel si accorse che stavo fissando la farfalla, e anche lei notò la lettera M disegnata sull'ala. Allora mi prese per le guance e mi distolse a forza lo sguardo; vidi dipinta nei suoi occhi una paura incomprensibile. Gli occhi pieni di lacrime, mi spiegò che quella strana forma di vita, le farfalle appunto, è in grado di presagire,o forse di provocare, la morte di esseri umani...
Mentre parlava, fissai negli occhi la proiezione di fronte a me, ma non riuscii a leggervi nulla.
-- Crystabel mi raccontò di molte persone... -- stava continuando Issakar -- ... persone che, nel corso del tempo, videro per caso farfalle che portavano disegnate sulle ali le lettere del proprio nome...come se quegli esseri li chiamassero verso il loro destino, lettera dopo lettera, e ci mettessero mesi, persino anni per comporre il nome. Ma tutti, poco dopo aver visto l'ultima lettera del proprio nome tremolare sull'ala di uno di quegli animali, tutti morivano. Naturalmente per le cause più disparate, incidenti, malattie, omicidi...uno addirittura si suicidò, avendo già intuito che quella sillabazione era una condanna...ad ogni modo, tutti morirono dopo che il nome fu compilato per intero dalle farfalle sulle loro ali. Ti sembra incredibile? Anch'io risi al racconto agitato e frammentario di Crystabel. Ero giovane, potevo avere tutto: figurarsi se mi preoccupavo di quella che sembrava una M ricamata sull'ala di una farfalla!
No, non mi sembrava affatto incredibile. Quell'oggetto che portavo nella bisaccia diveniva sempre più pesante e minaccioso.
Continuammo a parlare, percorrendo nel frattempo senza una meta particolare (almeno così mi parve: in realtà, non era affatto così!) le diverse ali del castello ormai immerso nella notte: d'un tratto, girammo a destra e, in fondo all'ennesimo, lungo corridoio dalle volte stranamente affrescate, intravidi una figura. Dapprima non la riconobbi, avvolta com'era nella penombra: ma poi, avvicinandomi, distinsi il volto di Issakar Mark. Allora mi voltai indietro: l'Issakar che mi aveva accolto era scomparso. Quella che avevo davanti era un'altra rielaborazione grafica, e stavolta il mio amico mi mostrava un volto più vecchio e stanco. Dagli occhi trapelava ancora il vigore del famoso pilota, ma la pelle sembrava più fragile, opaca, segnata da sottili rughe. Anche il fisico era diverso, meno muscoloso e più curvo. Qual era lo scopo di quei diversi anfitrioni, separati tra loro da almeno quindici anni? E dove mi stavano conducendo, quegli ectoplasmi del mio amico? Il fatto che sospettassi la risposta, non mi rendeva meno ansioso.
-- Non devi aver fretta di sapere, amico mio -- mi rispose Issakar, stranamente allusivo, la voce più flebile e il tono meno sicuro. Il simulacro che avevo davanti aveva perso molte delle certezze del suo predecessore. Riprendemmo quell'assurdo pellegrinaggio per i labirinti del castello, e dovetti adattare il mio passo a quello del mio accompagnatore, più pausato e incerto.
-- Com'era deliziosamente sciocca Crystabel! -- riprese a raccontare. -- Tornato a casa, quella sera, vidi uno di quegli animaletti che svolazzava intorno alla lampada, proiettando ombre rapide sulla parete. Lo schiacciai: sull'ala ancora tremolante distinsi una A.
-- La seconda lettera! -- non potei fare a meno di esclamare.
-- Ricordo che restai immobile per un attimo a fissare quella lettera, che immediatamente si era resa evidente ai miei occhi, balzando come per incanto fuori dal groviglio di colori dipinto sulle ali di quella farfalla. La coincidenza era davvero strana, e ti confesso che provai una strana sensazione corrermi per le ossa. Poi ripensai a quello che mi aveva detto Crystabel, al popolo delle farfalle che sillaba la morte delle persone poco a poco, questo popolo misterioso su un pianeta remoto che, chissà come, avverte in anticipo del destino altrui... -- Fece una pausa e poi, dopo una risata amara: -- Ci dormii sopra, e sognai di quando il mio InfernoXXVI sarebbe stato finalmente riparato e avrei potuto lasciare quel pianeta di sempliciotti.
Nonostante tutto, non potei fare a meno di deplorare l'atteggiamento del mio amico. D'altronde, si era sempre ritenuto superiore a tutto e tutti. Sembrava che nemmeno la vecchiaia avanzata, e la profezia che incombeva su di lui, lo avessero ammorbidito.
-- Passarono i giorni, a volte dolci, più spesso rovinati dall'ostinazione di Crystabel su certi argomenti come matrimonio, amore, unione eccetera. Diventava sempre più appiccicosa, anche se devo riconoscere che, spesso, le sue attenzioni per me erano commoventi, e allora dalle labbra mi uscivano delle parole affettuose...che non pensavo avrei saputo dire.
Quelle parole, che non sembravano in tono con la personalità di Issakar, mi colpirono. Era vero che, quando parlava di Crystabel, la sua voce sembrava addolcirsi: decisi di provocarlo.
-- Le hai detto che l'avresti sposata -- dissi, con tono di rimprovero. Per un attimo, la proiezione mi fissò negli occhi, penetrante. Stava per leggermi in fondo all'anima, quando si ritrasse e scrollò indispettita le spalle, proprio come ricordavo che faceva Issakar.
-- L'avrò anche detto, e va bene! -- ribattè seccato. -- Si dicono tante cose, per timore di ferire una persona...
-- Così, l'hai illusa. -- Perché facevo tutto questo? Stavo osando troppo.
-- Illusa! Anche tu la pensi così, come lei? Ma cosa dovevo fare? Sposare quella ragazza e condannarmi così a passare il resto della mia vita a fare il pioniere? Ero abituato in modo troppo diverso, e tu lo sai! Esplorare nuovi mondi, essere considerato un eroe, guadagnare anni e anni di credito temporale sugli altri, fino a pensare di essere...immortale! Non potevo rinunciare a tutto questo! -- Allontanò lo sguardo dal mio, e soggiunse, a voce più bassa: -- E non l'ho fatto. Mi dispiace!
"Finalmente la nave venne riparata. Decisi che sarei partito senza dirle nulla. E non fare quella faccia! Non temere, ho pagato tutto e non ho ancora finito! Avevo deciso di partire di nascosto, ti dicevo. Ma lei aveva saputo dell'astronave, e così, quella sera, me la trovai davanti, all'aeroporto. Ricordo ancora i suoi occhi. Asciutti, aridi, senza nulla d'umano, senza più speranze o illusioni. Pensavo che avrebbe pianto, che mi avrebbe implorato di restare...e invece stava lì, immobile. Mi fissava. Non so per quanto restammo in silenzio, l'uno di fronte all'altra. Quando alla fine parlò, ebbi quasi un sussulto. "Così, te ne vai...". "Crystabel, mi dispiace, ma io...io...". Non sapevo cosa dire. Ma lei cambiò improvvisamente argomento. "Mia madre ha detto che stamattina hai visto un'altra di quelle farfalle. E' vero?". Trasecolai. Non capivo cosa c'entrasse quell'idiozia delle farfalle. Risposi che era vero, avevo visto una farfalla, quella mattina, e non ricordo nemmeno perchè ne parlai alla madre...
-- La lettera R? -- interruppi.
-- Sì, la lettera R. Crystabel annuì, quando ebbe la conferma di quell'episodio. Disse: "Bene. Quand'è così, vai pure. Addio". Nient'altro. Mi diede le spalle e si allontanò. Qualche minuto dopo, avevo lasciato quel pianeta, per sempre.
-- E non l'hai più veduta? -- chiesi a voce bassa.
-- No. Non so cosa le sia successo. Ho pensato spesso a lei, dopo. Ho persino cercato di avere informazioni sul suo conto, attraverso un mio amico che era stato assegnato al corpo militare di stanza su Shandrak...inutilmente. Non seppe dirmi che fine avesse fatto...
Guardavo il mio amico, e improvvisamente, mentre parlava, ebbi una strana, indefinibile sensazione. Dapprima pensai che ci fosse qualche problema con l'apparato di proiezione, perchè la sua figura sembrò variare la propria luminosità, come una lampada che perda potenza: ma non era solo questo. In realtà, mi resi presto conto che l'immagine stava subendo una mutazione, e infatti nello spazio di pochi secondi vidi il mio amico invecchiare ulteriormente. D'istinto, di fronte al nuovo Issakar Mark, arretrai di un passo, gli occhi sgranati su quella larva che stava pian piano comparendomi davanti. La veste che aderiva elegantemente al corpo snello del primo Marx, adesso cadeva dalle spalle scarne del vecchio che avevo innanzi. Gli occhi dal lampo furbo sembravano adesso aver visto attraverso voragini di tempo, e uno dei due era ridotto a una macchia, corroso probabilmente da un tumore. La pelle già arida si era accartocciata, assumendo un colore malato, grigiastro. I capelli erano scomparsi.
La profezia stava realizzandosi sotto i miei occhi.
-- E adesso, amico mio, -- mi sussurrò con voce debole e incrinata, -- adesso veniamo al motivo della tua presenza qui.
Non mi ero reso conto che ci eravamo fermati: per la prima volta da oltre un'ora, era cessato quello strano pellegrinaggio per i diverticoli del castello. Ci trovavamo in un piccolo corridoio rischiarato soltanto dalla luce lunare che proveniva dalla grande finestra in fondo al passaggio: immaginai che quella penombra fosse una delicatezza o una ritrosia di Marx, di fronte al suo volto sfigurato. Ci eravamo fermati davanti all'unica porta del corridoio, costruita con la massiccia materia transbiologica degli alberi di Klin: e, da sotto l'uscio, trapelava una striscia di luce che avvolgeva i miei piedi come un serpentello luminoso. Avvertii anche un debole cigolio provenire da dietro la porta, come se qualcuno, nella stanza, si fosse girato in un vecchio letto.
-- Sono stato un personaggio famoso, un eroe addirittura, durante la prima parte della mia vita -- riprese quel sussurro che proveniva dalla penombra davanti a me, -- e la reclusione di questi ultimi miei anni non ha fatto che aumentare la leggenda che circonda il nome di Issakar Marx. Tuttavia, quand'ero su Shandrak, il Destino ha alzato la penna dal foglio a me riservato: ora, è necessario che riprenda a scrivere la mia storia fino alla conclusione. Così, se davvero avrai fatto come ti chiesi nel messaggio che ti inviai, sarai testimone oculare della mia morte.
-- "La mia morte"? Ma che dici! -- protestai. Ma per pura forma, visto che conoscevo le sue intenzioni. Mi aveva mandato su Shandrak appositamente, e nella bisaccia portavo con me quello che lui voleva. -- Intendi ucciderti sotto i miei occhi o cosa?
-- Sono convinto che morirò tra pochi minuti, amico mio. Oh, di morte naturale, stai tranquillo! Ma tutti i dottori troveranno difficile giustificarla, spiegarla in termini fisiologici.
-- Sei malato, dunque?
-- Una forma di degenerazione dei tessuti, non ancora curabile. Non se ne conoscono esattamente le cause, ma sembra più frequente tra chi ha attraversato spesso i cunicoli spaziotemporali. Ad ogni modo, sono condannato. Lo sono da tempo. -- Fece una pausa, come se avesse difficoltà a proseguire. -- Anzi, dovrei essere già morto.
Guardai la sagoma scura davanti a me. Feci la faccia più stupita che potei. Ancora una volta, questo sembrò preoccuparlo.
-- Vedo che non riesci a capire -- disse, leggermente a disagio. -- E' comprensibile. Ti dirò allora che tutti i dottori sostengono che io dovrei già essere morto da tempo, visto il livello di degenerazione del mio organismo. Ecco il perchè dei diversi Issakar Marx che ti hanno accompagnato fin qui, davanti alla stanza nella quale sta agonizzando il vero Marx: bisognava in qualche modo abituarti a quel che vedrai.
-- Ma allora...se i dottori dicono così...come è possibile che tu...?
-- Che io sia ancora vivo? Mi sono posto a lungo questa domanda, mentre fissavo il soffitto della mia stanza d'agonia e sentivo nelle narici il puzzo sempre più intenso della putrefazione. Poi ho trovato una spiegazione, del tutto impossibile. Ma d'altronde, anche il fatto che io sia ancora vivo, è una fatto impossibile.
-- Le farfalle di Shandrak -- lo anticipai.
-- Non ho mai voluto credere a quella superstizione. Ma qualche tempo fa, mentre ripensavo a Crystabel, le sue parole mi ronzarono nelle orecchie come la prima volta. E' assurdo, lo capisco, ma quelle farfalle che ti preparano alla morte avvertendoti con le lettere sulle loro ali...ebbene, mi sono chiesto, supponendo che quella storia sia vera, che cosa succede se la sillabazione viene interrotta?
Restai ammutolito. Tutti i miei sospetti erano dunque fondati. Sentivo una strana sensazione crescere in me. Issakar Marx, quell'uomo leggendario, potente, sprezzante del pericolo e degli altri adesso, il suo destino dipendeva da quello che portavo con me. Ero combattuto da sentimenti contrastanti.
-- Da allora, ho sempre vissuto con questo tarlo nel cervello, che non sarei morto, finchè non avessi visto la X sull'ala di una farfalla di Shandrak. Adesso capivo il senso delle ultime parole di Crystabel, all'aeroporto! Oh, lei sapeva che il tempo e le farfalle di Shandrak l'avrebbero vendicata! Non vedevo soluzioni, il mio destino sembrava quello di continuare a morire in eterno. Ho anche pensato di uccidermi, ma temevo...temevo che nemmeno questo avrebbe funzionato.
Un lungo silenzio. Era il mio turno, alla fine. Trassi un sospiro.
-- Per questo, mi scrivesti quella lettera, dopo tanti anni
-- Avevo bisogno del tuo aiuto.
-- E mi hai mandato su Shandrak, chiedendomi di portare fin da te la tua condanna a morte
-- Ce l'hai? chiese, emozionato.
-- Sì. Ma non è stato facile. Devo dirti infatti che, quando sono atterrato su quel pianeta, non ho potuto provare quell'emozione che mi hai descritto poco fa, di camminare in un mosaico bizantino. Infatti, le farfalle di Shandrak non esistono più. Sono estinte.
-- Estinte!
Adesso, toccava a me guardarlo a disagio. Sapeva o non sapeva?
-- Sì. Non lo sapevi? Eppure è così. E' stato il popolo di Shandrak a spargere un veleno particolare per distruggerle. Estinzione completa delle farfalle. Ma non preoccuparti, ti ho detto che ho trovato quel che mi hai chiesto. Infatti, per tua fortuna, c'è gente che ha ripreso con l'olo-camera le farfalle, prima della fine. Quelle, voglio dire, che avessero una lettera sull'ala. Una vera e propria caccia alle farfalle alfabetiche, per così dire.
-- Non non lo sapevo -- balbettò Issakar.
-- Eppure è così. E quelle riproduzioni costano care ma c'è sempre gente disposta a pagare. -- E con tono più basso, aggiunsi: -- Gente per cui la sillabazione del proprio nome si era interrotta.
-- Al diavolo! Quel che conta è che tu abbia trovato la mia lettera, la X. Entra, dunque!
E la proiezione scomparve. Ero solo, nel corridoio. Poi, la porta davanti a me si aprì silenziosamente, senza rumore, rivelando una stanza, al buio, salvo che per una zona luminosa nella quale sostavano, davanti a un tavolinetto, le tre proiezioni di Issakar Marx.
Avanzai, e venni subito investito da un odore nauseante. Proveniva da un angolo della stanza. Sempre dallo stesso punto, giungeva un debole rumore, come un respiro affannoso o un rantolo prolungato, insieme all'occasionale cigolio di un letto. I miei occhi cercarono inutilmente di scrutare in quella tenebra, mentre la mia mente immaginava il corpo agonizzante di Issakar Marx. Provai a chiamarlo, ma mi rispose soltanto un rantolo agitato, il mugugno di un uomo che non può più parlare. Laggiù, in uno stato di morte sospesa, riposavano i resti del celebre Issakar Marx, l'uomo di cui il destino non aveva ancora scritto per intero la fine.
-- Poggialo sul tavolo.
Sobbalzai e mi voltai verso l'origine della voce, probabilmente il secondo Marx. Poi mi diressi verso il tavolinetto e vi posai una piccola scatola nera, di quelle che contengono le registrazioni dilettantesche degli ologrammi. Su un lato dell'oggetto, il pulsante d'avvio ammiccava di una luce rossa.
-- Ti ringrazio disse il Marx più vecchio. Nell'angolo, l'essere si muoveva debolmente, agitato. Avevo lo stomaco sossopra per quell'odore di carne morta. So quanto ti è costato.
Quelle furono le prime parole di Marx a farmi davvero tentennare. Era tempo di abbandonare quella commedia delle parti. Davanti a me, quell'occhio rosso brillava, in attesa.
-- E' il momento di parlarci chiaramente, Issakar. Non è un caso, che tu abbia scelto me. Vero?
-- Sei l'unico amico che ho.
Non era vero, e lo sapevo. Gli diedi un'ultima possibilità. -- E basta?
Non disse altro. Rimanemmo così per qualche istante, mentre l'odore di cadavere mi serrava i polmoni e il rantolo in fondo alla stanza sembrava provenire dall'abisso stesso che separa i morti dai vivi. C'erano talmente tante cose da dire, cose che mi aspettavo di sentire o forse, più nessuna. Ricordo ancora esattamente, il peso di tutto quello che non ci dicemmo in quei momenti.
Poi: -- La mia morte è nelle tue mani. Premi quel pulsante, libera l'ologramma che mi hai portato da Shandrak e io abbandonerò questo corpo.
Come di concerto, tutti e tre i Marx mi incoraggiarono con un cenno del capo.
Pigiai il pulsante. Deciso, senza tentennamenti.
Dalla scatola si sprigionò verso l'alto un cilindro di luce, dapprima fioca, come una polvere fosforescente. Poi acquistò intensità, divenne più forte, d'un color bianco opaco, e dopo qualche secondo sembrava che una colonna luminosa reggesse il soffitto poggiando sulla scatola di proiezione. I tre Issakar Marx, bizzarre larve della vita di un uomo, stavano intorno a quella luce, in attesa di qualcosa. E così immagino che fosse per quel che rimaneva del mio amico, laggiù nel buio. Lo sentivo agitarsi, inquieto. Non doveva essere paura di morire, bensì impazienza.
D'un tratto, un piccolo oggetto scuro, informe, uscì dall'apparecchio. Si alzò lentamente, galleggiando con grazia in quella luce polarizzata. Dapprima, mi sembrò quasi una piuma, che sfidando la legge di gravità salisse invece di scendere. Si muoveva sinuoso, sempre restando confinato all'interno della luce. Aguzzai la vista, ma l'ologramma aveva bisogno di qualche istante per giungere alla massima definizione.
Alla fine, l'immagine si precisò.
Quando tutto finì, mi resi conto che le tre proiezioni di Issakar Marx erano scomparse. Dal fondo della stanza, udii un sospiro: non di morte, bensì di rassegnazione.
Ripercorsi le sale del castello, finalmente uscii all'aperto. Albeggiava. Recuperai in qualche modo il cavallo, e senza voltarmi indietro mi infilai nell'intrico degli alberi della foresta pietrificata di Klin.
Sentivo ancora nelle orecchie le parole di Marx, dopo aver veduto l'ologramma. Venivano da un sintetizzatore, forse vicino a quel letto di morte eterna, che trasformava in voce metallica i tremolii delle sue corde vocali disfatte.
-- Tutta questa finzione è stata dunque inutile. Non mi hai ancora perdonato
-- Non io. Mia moglie. Prima di morire, ha registrato quell'ologramma per te. Mi disse di fartelo avere, ma solo ora ho saputo dove ti trovavi.
-- Eppure lei non mi odia più.
-- Da molti anni gli eri diventato estraneo.
-- Da qualche parte, su Shandrak, c'è una farfalla con una X sulle ali. La farò cercare.
-- Non la troverai. Non sono sciocco, Issakar, anche se mi hai sempre considerato così. Non mi hai fatto chiamare, con quel patetico messaggio, perché io ero il tuo solo amico. No davvero!
-- Ma
-- Fammi finire. Tu sapevi che una donna, dopo che le farfalle di Shandrak erano ormai estinte, aveva acquistato tutti gli ologrammi relativi alla lettera X. Tutti. Non ci hai messo molto, a capire che si trattava di Crystabel. Chi altri, se no? E non è vero che non sapevi che fine avesse fatto la tua innamorata di un tempo, Issakar. Non ci ho creduto nemmeno per un attimo d'altronde, tu stesso hai detto di aver fatto cercare Crystabel. Per quale motivo non avresti dovuto scoprire la verità? Lei non era fuggita come te.
-- Basta. Non serve che tu vada avanti. Vattene!
Ma dovevo finire: -- Mia moglie è morta poco tempo fa. E io oggi ho ascoltato il tuo racconto, Issakar, benchè già sapessi tutto: ma il tuo tardivo pentimento non mi ha convinto. Non so, devi aver pensato che io potessi donarti quell'ologramma che Crystabel aveva conservato, credendo che con la sua morte non avesse più importanza. E' questo che credevi, Issakar?
Ma lui si limitò a constatare: -- Allora, prima mi hai mentito. Tu, tu non mi hai perdonato. Non lei. Non Crystabel! Io morirò in eterno, forse ma tu avrai sempre la consapevolezza che lei non mi aveva dimenticato, malgrado tutto. E adesso rispondimi: chi di noi è più disperato?
Quelle ultime parole mi rimbombavano ancora nelle orecchie.
Continuai a cavalcare, come in trance, e il galoppo del cavallo si mescolò alle parole mie, di Issakar e di Crystabel.
Arrivai così in un'arida pianura spaccata dal sole. Davanti a me, la voragine di un pozzo ormai asciutto. Allora, dopo aver fissato quel foro nero per diverso tempo, aprii la bisaccia e ne estrassi l'altro ologramma che avevo portato con me. Era quello con la farfalla dalla X sull'ala, che mia moglie, ormai malata, mi aveva chiesto di donare a Issakar Marx. Aveva persino registrato un altro ologramma per lui, in cui lo salutava agitando la mano. E' stato solo quest'ultimo, opportunamente manipolato, che ho proiettato a Issakar. Giuro che, se Crystabel non mi avesse fatto quella richiesta, io stesso avrei cercato Issakar per dargli la pace. Ma dopo le parole di mia moglie, non potevo più farlo, nemmeno se Issakar si fosse inginocchiato davanti a me e mi avesse implorato. Crystabel non ha mai immaginato quanto quelle parole mi avessero ferito.
Gettai l'ologramma nel pozzo e spronai selvaggiamente il cavallo, lasciandomi tutto alle spalle.
In ultima analisi, il grand'uomo aveva ragione.
Crystabel non lo odiava più. Non lei.
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