Fantasia & Nuvole

di Francesco Grasso

fgrasso@fantascienza.com

Batman, the dark knight's return

TIl mestiere del narratore non è dei più semplici. Come recita un vecchio adagio: "Il salumiere, almeno, non deve inventarsi la fetta di prosciutto". Creare un personaggio e farlo agire in modo convincente in un mondo di fantasia non è certo da tutti. Pure, c'è un compito ancora più arduo: riuscire a reinventare, a dar nuova vita a un eroe dell'immaginario già sfruttato fino all'inverosimile, riuscire a prenderlo in consegna quando sembra che non abbia più nulla da dire, e ridargli nonostante tutto una verginità letteraria, narrandolo come nessuno aveva mai fatto prima. Se si riesce nell'impresa, allora è un piccolo miracolo. Ed è proprio un miracolo di talento e di amore per il fumetto l'opera che presentiamo questo mese: Batman, the dark knight's return di Frank Miller

La storia

Tanti anni sono passati sotto i ponti di Gotham City. Bruce Wayne, l'alter-ego del celeberrimo uomo pipistrello, è oggi un solitario, annoiato e ingrigito miliardario che veleggia stancamente verso la sessantina. E' un personaggio dall'animo scorticato, verso cui la vita è pesantemente in debito: da quasi dieci anni egli ha messo costume e maschera sotto naftalina per dedicarsi, in ordine d'importanza crescente, ai propri affari, ai cavalli, all'alcool. A spingerlo al ritiro, oltre all'età, la morte del suo fraterno compagno d'avventure Robin, l'unico (oltre al fido maggiordomo Alfred e al leale commissario Gordon) che conoscesse la sua segreta attività di giustiziere.

Ma la terza età di Bruce Wayne non è quel che si dice una tranquilla vecchiaia. Egli (Miller ce lo mostra con straordinaria efficacia) è un uomo ossessionato, preda della follia tragica e immensa propria degli eroi shakespeariani. L'alcool tiene a bada la belva che ruggisce nel suo petto, ma non può ucciderla. E Gotham, città sempre più cinica e feroce, metropoli oscura e corrotta, egoista e violenta, lo tenta con un canto di sirena.
In una spirale sempre più stretta assistiamo alla lotta tra la razionalità di Wayne (che è un uomo ben conscio della sua età, della futilità del suo ruolo da giustiziere, del tempi ormai a lui ostili) e il suo inconscio, che non intende ragioni, che freme per riassaporare il gusto della caccia, lo schiaffo del vento sul viso, il pericolo, la sfida...
Finché, com'era destino, l'invitabile avviene: seguendo l'impulso, Wayne indossa ancora una volta maschera e mantello e si lancia per le strade come se dieci anni non fossero mai trascorsi, cavaliere nero di nuovo al galoppo nella sua crociata contro il crimine. Certo, non ha più la giovinezza, e deve affidarsi più al cervello che al suo corpo esausto. Eppure, il fuoco che gli arde dentro lo spinge avanti, contro i nemici di sempre (Joker, Due Facce), e contro i nuovi avversari (i mutanti, una banda minorile guidata da un colossale e manesco individuo con cui Wayne/Batman ingaggerà un duello memorabile). Nella sua seconda stagione da eroe oscuro, Wayne troverà anche nuovi alleati: una ragazza quattordicenne, che gli salverà la vita e diverrà il novello Robin, e un esercito di seguaci (autobattezzatisi i Figli di Batman), che faranno proprio l'insegnamento del giustiziere mascherato, e riverseranno contro i criminali la loro incontenibile, prorompente, giovanile voglia di menar le mani.
Sì, perché il Batman rinato è più violento, più cinico, più disincantato, in definitiva più pragmatico del precedente. Si è reso conto che non è più tempo per essere generoso con i nemici. Quante vittime, si chiede, pesano sulla sua coscienza, per aver permesso a gente come il Joker di sopravvivere? E' un errore che l'età non gli consente di ripetere: questa volta non farà prigionieri.
E così Wayne giunge alla resa dei conti definitiva con la sua nemesi storica: il Joker, appunto. Vince, e si concede, come ultima soddisfazione, persino di sputare sul cadavere del nemico sconfitto, in una scena di una crudezza (ma anche di un vigore narrativo) sconvolgente.

La rabbia e la volontà incontenibile del nuovo Batman non possono che spaventare i benpensanti, l'ordine costituito, l'autorità. Il cavaliere nero è un cane sciolto, che combatte la sua guerra senza guardare in faccia nessuno. Non si può lasciarlo fare...
Ma chi può fermarlo? Nessuno su questa terra ne è in grado. Occorre un intervento "speciale". Così, per ordine dello stesso presidente americano (un Reagan magistralmente dipinto da Miller), Superman in persona viene incaricato di tarpare le ali al pipistrello impazzito. Pazzo, sì, ma non stupido. Wayne/Batman aveva sempre saputo che un giorno avrebbe affrontato l'uomo d'acciaio, Clark Kent, l'amico/nemico che egli definisce con sarcasmo "lo scolaretto azzurro". E, sapendolo, si è preparato allo scontro: un costume corazzato, armi soniche, missili intelligenti, persino kriptonite sintetizzata in laboratorio sono le armi anti-Superman che egli affilava da anni in attesa del momento fatale. E le userà tutte, senza alcuno scrupolo, col coraggio della follia, il giorno del match tra titani il cui esito sarebbe criminale rivelare. Si rimanda, (crudelmente, lo sappiamo, ma quando l'avrete fatto ci ringrazierete) alla lettura del fumetto.

L'autore

Frank Miller nasce il 27 Gennaio del 1957 a Olsey, nel Maryland. Esordisce come disegnatore sulle testate della Marvel (firma qualche numero dell'Uomo Ragno, poi diventa il disegnatore ufficiale di Devil). In casa Marvel, Miller sviluppa un tratto denso di suggestioni espressioniste e, soprattutto, una passione smisurata per gli eroi in costume. Qualche anno dopo, Miller passa alla DC Comics ove, nel 1986, sceneggia e disegna appunto questo Batman, the dark knight's return, un'opera che esplode come una testata nucleare sul mercato americano, sconvolgendo l'atmosfera tranquilla e un po' sonnacchiosa del fumetto supereroistico, statunitense e non solo. Tra le opere successive, merita una menzione il grintoso e crepuscolare Sin City, serial facilmente reperibile anche qui in Italia (pubblicato dalla Dark Horse). Miller ha lavorato anche in campo cinematografico, firmando le sceneggiature di Robocop II e Robocop III.
Difficile dire se Frank Miller sia più abile come sceneggiatore o come disegnatore. Personalmente, chi scrive propende verso la prima ipotesi: le storie firmate dall'autore americano hanno un ritmo narrativo tecnicamente perfetto, occhieggiano al noir fantascientifico ma allo stesso tempo richiamano alla mente i gialli di Hammet e Spillane; i personaggi risultano credibili anche quando sono visibilmente degli stereotipi; i dialoghi sono quanto di più letterario si possa trovare in un fumetto, i monologhi danno i brividi. La suspance non ha mai cedimenti: quando si pensa di aver capito tutto, Miller ha sempre un nuovo coniglio da tirar fuori dal cilindro, con la naturalezza che solo il talento riesce a garantire.
Dicevamo dei monologhi... Il frasario di Miller rivela la propria efficacia soprattutto nelle scene di lotta: in Batman Miller usa l'espediente di una narrazione in prima persona, e un tono freddo, tecnico, da manuale di anatomia. Il contrasto tra la truculenza dello scontro fisico (sangue e fango, urla e fratture scomposte) in cui nulla, ma proprio nulla ci viene risparmiato, e la glacialità della descrizione (che ricorda i commenti tecnici degli incontri di Wrestling) non potrebbe essere più stridente, ma ha un senso preciso. Lo scopo di Miller è rammentarci che l'anziano cavaliere nero non può più basarsi sulla forza e sulla velocità (ormai solo un ricordo di gioventù), ma deve contare solo sul proprio cervello. Batman non è più un guerriero: ora è il chirurgo delle risse da strada.
Non che il disegno di Miller sia meno che eccellente: il tratto dell'autore americano è straordinario nelle tavole d'azione, e la sua particolare tecnica per rendere la dinamicità di una scena è quanto di meglio offra la scuola americana. Altrettanto si può dire per i suoi chiaroscuri, l'uso sapiente dei colori e dell'ombra, il gioco intrigante e crudele del rivelare/nascondere, che a volte rende necessario un esame attento delle tavole prima della comprensione del particolare che chiarisce l'insieme.Se c'è un appunto da fare, riguarda l'eccesso: nell'ansia (e nel piacere, immagino) di personalizzare le sue tavole, a volte Miller sembra andare troppo oltre, col risultato di rendere criptica (per non dire kitch) la scena. Idem per le fattezze dei personaggi: nella matita di Miller è latente un compiaciuto eccesso, che a volte trasforma i cattivi in esseri scimmieschi, i corpi muscolosi in montagne di carne, le comparse in caricature quasi forattiniane, le esplosioni in uragani cromatici, gli effetti sonori in fonemi grafici che fagocitano l'intera vignetta. Eccesso, eccesso: al termine di una lettura di Miller, si ha come l'impressione di aver fatto una terribile indigestione di fumetto. Miller è un piatto da assaggiare a piccole dosi, o muniti di un potente Alka-Seltzer.

curiosità e spunti

Chi scrive non è un grande amante dei supereroi. Meno che mai, degli eroi in costume della DC Comics. Diciamolo francamente: i protagonisti degli albi DC (Superman, Flash, Lanterna Verde e compari) sono colossi di plastica: belli, vuoti e perfettini; troppo buoni, troppo vincenti e fortunati per non risultare antipatici. Non hanno neppure quell'aria bastonata da "supereroi con superproblemi" che a volte rende umani gli eroi Marvel (lo sfigatissimo Peter Parker in testa).
E' veramente difficile tifare per i supereroi DC. Quanto a identificarsi con loro, neanche a parlarne... Che diavolo, tra Superman e Lex Luthor, è quasi più naturale riconoscersi nel cattivo!
Ecco l'essenza del miracolo di Miller: egli ha preso uno di questi boy-scout troppo cresciuti, dalla tutina sempre immacolata e perfettamente in piega (ma che detersivo usa Superman?), l'ha tolto dal piedistallo e l'ha gettato nel fango (non solo metaforicamente, vedasi il combattimento col capo dei mutanti). Il Batman di Miller è un vecchio soldato stanco costretto poco a poco a rassegnarsi al declino della vecchiaia: se mai lo abbiamo trovato antipatico, adesso per lui possiamo provare solo comprensione, come per quei stagionati giocatori di tennis detestati in gioventù ma salutati con affetto e rimpianto l'ultimo incontro della loro carriera. Ecco, il Batman di Miller è il MacEnroe, il Jimbo Connors del fumetto. Quante volte li abbiamo fischiati, invidiati/odiati, sperato che un avversario, finalmente, gli rompesse il muso? Ma quando li vediamo grigi, con la pancetta, ansimanti per il fiatone, ecco che scatta la tenerezza, la nostalgia, il sentirsi solidali, anche noi come loro vittime di quell'impietoso ladro che è il Tempo...
Frank Miller sfrutta a fondo questo meccanismo psicologico, ed ecco che alla fine, volenti o nolenti, il più disincantato tra i lettori si scopre intento a tifare per il suo (il nostro) Batman, a trepidare per lui, a trattenere il fiato vedendolo sforzarsi oltre le possibilità concesse dall'età; a sperare, in definitiva, che vinca ancora una volta. Grande Miller.

E che dire di Gotham City? Molti hanno provato, in questi anni, a mostrarcela sul grande schermo, da Tim Burton ai registi dei sequel. Mai nessuno, però, ha mostrato alle telecamere quel che Miller è riuscito a rendere col disegno. La Gotham di Miller è una città surreale e disperata, una metropoli cinica e cruenta, tragica e rabbiosa, votata all'autodistruzione, un girone infernale dove la violenza e l'odio si espandono come gas perfetti fino a occupare ogni spazio disponibile: i palazzi di Gotham City, nella magia di luce e ombre vergata da Miller, si ergono metaforicamente come fondamenta della sconfitta del vivere civile. Indimenticabile.
Ma quello di Miller è un affresco non solo architettonico, ma anche umano, composto da una miriade di personaggi, da voci fuori campo, da frammenti di interviste che, pur nella loro marginalità, formano il tessuto connettivo della storia. Val la pena ricordare, tra queste interviste, i "cameo" di Ronald Reagan, un capolavoro di satira politica mista a goliardia.
Un solo esempio: - Cittadini d'America, non temete, Dio è con noi. - dice il presidente/attore. Poi strizza l'occhio e precisa - O, almeno, la cosa che gli si avvicina di più... (riferimento a Superman).
Meritevoli di nota anche gli interventi (da un dibattito televisivo) di Lana Lang, l'ex-fidanzatina di Clark Kent, divenuta una matrona di mezza età con qualche problema di cellulite. E, non ultimo, il riferimento apparentemente casuale a Jimmy Olsen, che i vecchi lettori di Superman ricorderanno come giovane cronista del Daily Planet. Ebbene, quell'imberbe ragazzino dai capelli rossi è diventato, nella visione "a posteriori" di Miller, un pezzo grosso dell'industria televisiva. Quel che si dice una carriera folgorante!
Altra comparsa dal peso immenso (per Miller non ci sono attori non protagonisti) è il maggiordomo Alfred. Dotato di un aplomb ottocentesco e di un'ironia bruciante, il servitore di Bruce Wayne assurge con pochissime battute alla statura d'un gigante.
Memorabili i duetti padrone-servitore, di cui non possiamo non ricordare qualche frammento:- Beve ancora, signore? Non vorrei che la prossima generazione dei Wayne contemplasse una cantina vuota... Anche se, a giudicare dal livello attuale delle sue relazioni sociali, signore, dubito fortemente che ci sarà una nuova generazione...
Oppure, mentre cura le ferite del padrone: - Se sta cercando di suicidarsi, signore, c'è un nuovo veleno. E' lento e molto doloroso: le piacerà.
Ancora, di fronte alla caparbietà di Wayne nell'indossare il costume nonostante gli acciacchi della vecchiaia: - Per il suo prossimo assegno di beneficenza, signore, c'è una fondazione per la cura dei disturbi ossessivi della terza età...
Dicevamo come non si possa fare a meno di tifare per Batman... Ci sono altri motivi, oltre alla condiscendenza verso i capelli grigi. La ragione principale è l'odiosità dei cattivi: Miller è particolarmente abile a dipingerli come carogne. Prendiamo il Joker, ad esempio: non è semplicemente brutto e cattivo. Al contrario, è un signore distinto, elegante, che cura la propria immagine, che parla bene: Joker può dirsi un uomo raffinato. Ma è anche un bastardo di una cattiveria rivoltante, un macellaio senza riguardi per nessuno, neppure per sé stesso. Il lettore non può fare a meno di fremere di sdegno quando lo sente vantarsi: - Io non ricordo quanti uomini ho ucciso. E' Batman a tenere il conto. E lo amo per questo.
Difficile non restarne agghiacciati. Difficile non fare paragoni con altri cattivi, magari ben presenti nelle cronache nostrane. Difficile non ricordare maniaci che uccidono prostitute in serie, gente che violenta e fa a pezzi bambini, bastardi che coinvolgono passanti innocenti nei loro regolamenti di conti. Difficile non pensare, alle volte, che in fondo non sarebbe male aver davvero un Batman... Cavaliere oscuro, dove sei?
Alla prossima.