Massimo Pietroselli, quarantenne romano, ha la stoffa dello scrittore vero. Se qualcuno si chiede se è possibile dimostrare oggi, in Italia, l’autentico valore di uno scrittore, allora Pietroselli ha bella che pronta la sua risposta. Già vincitore nel 1995 del prestigioso Premio Urania con il suo primo romanzo (Miraggi di Silicio, edito da Mondatori), è poi rimasto per quasi un decennio nelle retrovie della fantascienza scritta. Qualche racconto, pubblicazioni su riviste e on-line. Niente altro, a dimostrazione della regola che neppure un Premio Urania basta a schiudere agli scrittori nostrani la via per il Paradiso (salvo le dovute eccezioni, vedi Evangelisti, Ricciardiello e Masali, casi più unici che rari). Il nostro, dicevamo, resta per otto anni nelle retrovie, curando la sua pagina web, curando soprattutto la sua arte prediletta. La scrittura. Pur dovendo appellarsi ad altro per campare (fortunatamente il nostro ha una laurea in Ingegneria Elettronica che almeno il pane quotidiano dovrebbe bastare a garantirglielo). E nel 2004 finalmente giunge l’agognata replica dell’exploit uraniano. Il libro porta l’evocativo ed intrigante titolo di L’Undicesima Frattonube e si impone alla prima edizione del Premio Fantascienza.com organizzato dagli intraprendenti avatar della Delos Books.
Un libro complesso e avvincente, il suo, impreziosito da rimandi ai grandi del passato (Shakespeare su tutti), da omaggi nascosti (Dick, ma anche Gibson e Simmons), da un solido background culturale (fisica quantistica, informatica e teoria del caos somministrate al lettore in piccole dosi). Quello che colpisce del romanzo è la storia, perfettamente ritmata: una ricca galleria di personaggi impegnati in una folle corsa verso la fine (come spesso accade in Gibson). E la linearità delle psicologie più che ad un livellamento caratteriale lascia pensare ad una essenzialità archetipica. Ogni personaggio ha una sua storia, ma non lo sbandiera indiscretamente. Ogni personaggio ha le sue motivazioni, ma non indugia in sterili preamboli per perseguirle. È questo, che pure potrebbe sembrare un limite, uno dei punti di forza del romanzo: che proprio grazie a questa sua immediatezza si lascia leggere con piacere, oserei quasi dire che si lascia divorare.
Ovviamente, per colpire il lettore smaliziato, questo non basta: è necessario qualcos’altro. Occorre una certa atmosfera, una narrazione che sappia avvolgere ed appassionare. Ed ovviamente questa atmosfera viene creata con somma maestria dall’autore. Quasi con naturalezza, verrebbe da dire. Che si tratti dei “racconti della Rete” (altro punto di forza del romanzo, con le continue rievocazioni di quel disastro che è stato la Battaglia del Mare della Crittografia, l’olocausto cibernetico folle ed ottuso che portò alla scomparsa – ma stanno davvero così le cose? – della prima forma di vita artificiale) o delle oscure rivelazioni metafisiche che si compirono nell’orbita di Urano, della trasmutazione di una coscienza umana in una forma di vita virtuale oppure del mistero che avvolge quelle inesplicabili manifestazioni della natura note come frattonubi, la storia riesce inevitabilmente a catturare l’attenzione e l’interesse del lettore, trascinandolo in questo mondo popolato di militari folli, di maniaci, di invasati, di diseredati. In una giostra di situazioni ed episodi che – come è facile intuire da queste poche righe – regge il confronto con i romanzi corali di quel maestro indiscusso che è stato Philip K. Dick. Una galleria di personaggi che riassume in sé le maggiori idiosincrasie del prototipo dickiano. Ma, come dicevamo, c’è dell’altro.
Massimo Pietroselli non si è limitato a creare dei personaggi, a immergerli in situazioni anomale, e a lasciarli evolversi in un ambiente di reciproca interazione. Massimo Pietroselli ha fatto molto di più: intorno ai suoi personaggi ha edificato un mondo. Un mondo con le sue leggi fisiche (le frattonubi, continuamente richiamate all’inizio dei capitoli – in un gustoso modello di autocitazionismo – dalle pseudo-dissertazioni scientifiche del loro supposto scopritore, tale Hubert Feigenbaum), la sua cultura (non solo ololibri e netwriting, ma anche poemetti sulla falsariga scespiriana, come il bel Lamento per Ariel di tale K. Hauser che apre il romanzo), la sua religione (ingannevole e falsa, proprio come ogni altra… N.d.A.), i suoi nuclei di potere fonti di forme occulte di controllo. E altro ancora, come attesta l’epilogo, che qui non rivelo per non togliere al lettore il fondamentale piacere della scoperta ma che rievoca i giorni lontani – ma sono passati davvero? – della Guerra Fredda. È per questo che dovreste leggere L’Undicesima Frattonube.
È per questo che gli autori di genere nostrani meriterebbero – almeno in patria – maggiore attenzione.
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