di

Giovanni Polesello

Yogurt trip girl

Con questo racconto di Giovanni Polesello, classificatosi al quinto posto nella quarta edizione del Premio Alien, iniziamo la pubblicazione dei racconti vincitori (ma ospiteremo anche i migliori tra i segnalati) dei premi Alien e Lovecraft, che da qualche anno stanno mettendo in luce ottimi scrittori, come Giampaolo Simi, Antonio Piras, Giovanni Burgio, Alberto Cola, Gloria Barberi, Salvatore Perillo, Pier Luigi Ubezio e altri. Giovanni avrebbe forse meritato qualcosa di piu' con questo suo racconto, ma quest'anno aveva di fronte concorrenti davvero molto agguerriti, primo fra tutti proprio Pier Luigi Ubezio, che ha vinto con "Beethoven Blues", un racconto che tra qualche mese leggerete sulle pagine di Delos. Alterneremo i vincitori di Alien e Lovecraft presentandovene uno per ogni numero di Delos, partendo dai quinti classificati per arrivare ai primi, e mettendovi di contorno ogni tanto alcuni segnalati. Non perdetevi questi racconti, perche' si tratta di narrativa di ottima qualita' che dà lustro a questa sezione di Delos dedicata alla scrittura. A cominciare da Yogurt strip girl di Giovanni Polesello. (Franco Forte)

Iniziai a odiarlo quando mise sù il video. La gente ammutolita si raccolse intorno allo schermo piatto, lasciandosi lusingare dalla sua fluorescenza. E LUI pose il braccio intorno alla spalla di Newis. Intanto la ragazza nel video veniva messa a sedere completamente nuda. Un tizio le si avvicinava con le tenaglie, le ficcava una mano in bocca per fargliela aprire e cominciava a strapparle i denti, uno per uno. Newis non distoglieva lo sguardo, fissando gelida quella bocca che presto sarebbe diventata una cavità nera e sanguinante.

Uscii sul balcone. Gli aveva permesso di cingerla con un braccio, e adesso stavano guardando QUELLA COSA. Pregai che mi salisse sù in fretta, erano passati già dieci minuti. Quando mi sarebbe arrivata la botta dell'acido avrei digerito più facilmente quella serata stomachevole, e forse avrei dimenticato che lo stavo odiando. O forse sarebbe stato ancora peggio, e in quel caso avrei trovato il coraggio di ucciderlo.

Luna venne fuori con me, e si mise al mio fianco, Non mi voltai, perché non avrei sopportato il pallore abbacinante della sua pelle. Aveva comprato la sua bellezza sottoponendosi a diciotto interventi chirurgici. Nell'arco di due anni era cambiata radicalmente, ma la moda l'aveva già superata. Luna aveva abbastanza soldi per permettersi di realizzare i propri sogni, ma non abbastanza per farlo nel momento giusto. Eppure si era adattata, indossando quel corpo anacronistico con la rassegnazione romantica del perdente. Anche il suo fatalismo mi sembrava superato e di plastica, come i seni da adolescente e l'epidermide dal pallore sepolcrale. Forse ero l'unico che la trattava ancora come se fosse un essere umano, ma quella sera non avevo nessuna voglia di averla vicina.

Il silenzio durò troppo a lungo. Visto che indossava il visore le chiesi: - Ti sei collegata?

- Non ancora. Non c'è nessuno spettacolo divertente

- Cos'è uno spettacolo divertente?

- Tu, per esempio, quando impazzisci.

- Mi lusinghi. E' tanto attraente?

- Abbastanza, per me.

- Con il collegamento riesci a capire cosa penso?

- Non esagerare. Non ha niente a che vedere con la telepatia. Diciamo che mi dai qualcosa di divertente. Ma non ho nessuna voglia di capire che ti passa per il cervello, figurati.

- Ho paura di questa storia, mi sembra pericolosa.

- E' proprio il pericolo che mi eccita. E tu sei pericoloso. Mi sono collegata ad altri, ma mi hanno regalato troppo poco, cose prevedibili e banali. Tu provi emozioni, per questo è bello

Mi guardò facendo brillare l'iride e schiudendo le labbra: - Collegati anche tu. Facciamolo insieme. Se lo fai, ti scopo tutta la notte.

Aspirai una lunga boccata di fumo. Ero stanco e sentivo che tardava a salirmi. Era troppo esplicita e troppo diretta per convincermi. Una bambola di carne, sangue e silicone così perfetta da non riuscire a smuovere niente. Mi dissi che avrei ripiegato su di lei solo se avessi perso definitivamente Newis. C'era ancora tutta la notte davanti a noi.

Newis mi sorprese in bagno mezz'ora dopo, comparendo nello specchio completamente inaspettata. Appoggiò una mano sulla mia spalla, e mi disse: - Usciamo.

Mi voltai e vidi il suo viso nella piena distorsione dell'acido che galoppava nel mio cervello. Ero pronto ad ubbidire, ma volevo farle pesare la mia sudditanza in qualche modo. Riuscii solo a chiederle: - Ti è piaciuto il film? - e dalla mia voce emerse sorprendentemente più rabbia di quanta avrei voluto metterci. Sul suo volto si sovrappose quella patetica maschera di sangue piatto e interlacciato che tutti si stavano godendo poco prima.

- Quale film? - mi chiese. Ciondolò e dovetti raccoglierla perché non cadesse. La strinsi forte, avvertendo che provavo qualcosa di simile all'affetto. Newis era un vero peso morto. Pensai che forse non aveva visto niente di quel video, e che nemmeno si era resa conto che quello l'aveva cinta con un braccio. Era strafatta, completamente andata, eppure mi aveva cercato. Sentii che mi accarezzava la schiena, graffiandomi la pelle sotto la T-shirt.

La portai fuori, pensando che ero stato stupido a farmi travolgere dalla gelosia. In quei momenti lei aveva bisogno di protezione, chiunque poteva prendersela. Suo padre si era decisamente opposto quando aveva deciso di rifarsi le labbra e di tatuarsi le sopracciglia per fissare l'elegante disegno rosso scuro che adesso era ancora costretta a ritoccare con il trucco. Tutto il suo corpo era ancora naturale e integro. Suo padre le aveva anche imposto di non ricorrere a nessun intervento finché non fosse stata maggiorenne. Mancavano ancora due anni, e lei nemmeno si rendeva conto di quanto fosse attraente la volgarità della sua spontanea bellezza. Si disprezzava e cercava di stordirsi con narcotici a basso costo. Per quanto pesante ci andasse con le pasticche, però non dormiva mai. Restava perennemente sospesa tra il sonno e una realtà che detestava, e che pure fissava lucidamente con i suoi occhi socchiusi e gonfi. Era rara, e nello stesso tempo davvero facile di letto. Per questo riusciva a frequentare tutti gli ambienti, anche se preferiva il nostro, e questo per via dei soldi, credo.

La baciai, mentre rintoccavano le due di notte. Lui scese subito, inseguendo il nostro odore. Parlò con me, come se fossi il suo più intimo amico.

- Ragazzi, che palle. Andiamo via?

- Dove?

- Dove volete. A casa non c'è più niente da bere. Il primo giro lo offro io. Leviamoci di qui

Newis si scostò, liberandosi dalle mie braccia, e barcollò in mezzo al marciapiede, sorridendogli. I loro occhi parlottarono, lanciandosi segnali pieni di complicità. Dissi, cercando di nascondere il mio malumore: - Vado a vedere se Luna vuole venire con noi. Aspettateci, okay?

Così noi quattro lasciammo quel desolante party gettandoci nelle braccia della notte. C'erano un mucchio di posti dove ci avrebbero accolti volentieri, perché potevamo permetterci praticamente tutto. Purtroppo guidavo io, e lui era riuscito a stare dietro con Newis. Stavano seduti rigidi e impalati, ma io riuscii ad intuire, oppure immaginai, il suono appena percettibile di una cerniera lampo che si abbassava. Luna aveva appoggiato una mano sulla mia coscia. L'avrei sbattuta fuori. Quasi ringhiando le chiesi di nuovo: - Ti sei collegata?

- Non ancora. E' quasi il momento

- Dove andiamo?

Luna tacque. Stava pensando qualcosa. Parlò usando un registro neutro, che tradiva tuttavia la sua schifosa eccitazione.

- Andiamo a collegarci. Colleghiamoci tutti e quattro

- Dove?

- Segui le mie indicazioni

Strinsi il volante e abbassai la voce. Non volevo che dietro mi sentissero.

- Voglio vedere cosa pensa Newis - dissi.

- Non è possibile

- In una certa misura sì, l'hai detto anche tu. Basta volerlo.

- Non ti piacerebbe. Comunque affari tuoi

Ricordavo cosa aveva detto di quella storia Capitan Cocaina, anche conosciuto come Naso di Ferro. L'YTG era l'ultimo grido in fatto di divertimento. Uniche controindicazioni erano i costi elevatissimi e la sinistra prospettiva di non riprendersi mai più dalla - sbalzo di prospettiva.

- L'YTG funziona così, ti cambia la prospettiva. Cap trascinava le parole come al solito, eppure si capiva che era eccitato. Gli piaceva tenersi aggiornato e consumare freneticamente le novità dell'ultimo minuto. Il suo entusiasmo non mi contagiava più, perché sopportavo i suoi monologhi ormai da troppi anni. L'avevo conosciuto sui banchi della scuola elementare, e allora era un tipetto esile e introverso. A differenza degli altri non mi faceva paura, quindi diventammo amici. Si diplomò in casa, attraverso la rete, e attraverso la rete divenne ricco. Dall'età di diciassette anni non usciva più dal suo monolocale, seduto giorno e notte davanti al computer. Potevo vantarmi di essere l'unico, a parte sua madre, a conoscerlo direttamente. Non ci teneva ad uscire all'aperto, e questo non solo perché soffriva di fotofobia. Quando mi parlò dell'YTG pesava già almeno duecento chili, e non era in grado di attraversare la sua stanzetta senza sbuffare e ansimare come in preda ad un violento attacco d'asma. Io l'ascoltavo sorseggiando del caffè, mentre faceva scorrere a velocità straordinaria decine di schermate di siti hard core.

- Praticamente funzionerebbe anche senza supporto di droga, solo che le immagini sarebbero sbiadite e incolore. I fotorecettori nella retina inviano un segnale ELETTRICO attraverso il nervo ottico, che viene prevalentemente elaborato dalla corteccia occipitale, no? Allora questi ti fanno un DECODIFICATORE che legge quel debolissimo segnale elettrico, lo AMPLIFICA e lo TRASMETTE via etere come se fosse un normale segnale televisivo. Capisci cosa implica una cosa del genere?

- No, cosa implica? - Gli risposi solo perché mi ero rovesciato il caffè sulla coscia. Era freddo ormai, e io mi stavo quasi addormentando. A Cap non importava avere un interlocutore, le sue erano tutte domande retoriche. Quindi continuò imperterrito.

- Adesso fanno questi apparecchietti che si infilano con microaghi nella nuca, e che vendono in coppia con dei visori. Stabilisci una frequenza, e con un click il tuo partner ti manda nel cervello quello che vede LUI. Tra un paio d'anni usciranno dei decodificatori in grado sia di inviare il segnale che di leggerlo, in modo che una coppia possa scambiarsi le informazioni visive, alternandosi, ovviamente. Funzionano solo a breve distanza e sono ancora abbastanza imprecisi, ma adesso va di moda unire droga e tecnologia, quindi, se tu ti fai di Zeromax o di Caloperidon, se ti fai in DOSI MASSICCE, l'effetto è ancora più sconvolgente. E perché? Perché queste droguccie empatiche aumentano la sintonia e i meccanismi di immedesimazione. Allora tu ti COLLEGHI a qualcuno, TI CALI UN PAIO DI PASTE e poi BUUM! Diventi quell'altro! Viaggi per un po' DENTRO LA SUA TESTA! Capisci che cosa sconvolgente dev'essere? Chiudi gli occhi e t'immagini magari delle cose da brivido, e quell'altro poveraccio le vede. Non ce da stupirsi che molti non ne escano del tutto sani da una cosa del genere.

A me non me ne fregava un cazzo di quella storia, tanto neanche potevo permettermela. Cap mi chiese di fare una prova ma io tergiversai fino a quando la proposta non cadde nell'oblio. Non avevo affatto voglia di scorrazzare nel cervello di quel nerd mostruoso e forse folle, nel labirinto di quella stanza maleodorante. Da me poi cosa poteva ricavare? Nello scambio non ci avrebbe guadagnato nessuno. Luna invece apprezzava quella novità: si collegava continuamente ai suoi amici e succhiava da loro tutto quello che poteva, come una vampira tristemente vorace. Aveva fame di tutta quella tensione che gli aveva risparmiato la sua esistenza incolore. Io facevo al caso suo, e quella sera gli avevo promesso che avrebbe potuto collegarsi. Da diverse ore avevo applicato sulla nuca, nascosto sotto i capelli, uno dei più economici modelli dell' YTG. Non aveva interruttori perché non poteva ricevere segnali, ma solo inviarli. Luna aveva annusato l'atmosfera di quella serata e subito si era resa conto che poteva ottenere di più. Per questo mi stava guidando in un posto dove L' YTG veniva noleggiato ai clienti per tutta la notte. Sorrideva placidamente, distesa sul sedile al mio fianco. La mano sulla mia coscia mi comunicava l'impercettibile brivido di eccitazione che percorreva tutto il suo corpo di gomma.

Entrammo in un ingresso buio e affollatissimo, e io iniziai a sudare. L'acido aumentava la mia ansia, ostruendo il regolare scorrere degli istanti nella linea del tempo. Intrappolato nella ressa vidi i miei amici scivolare via e scomparire davanti ai miei occhi.

Li raggiunsi all'interno di un locale enorme, arredato in modo disgustosamente barocco. Le luci pulsanti illuminavano tappeti, divani e fontane. Senza preoccuparmi di calpestare i ragazzi che si erano buttati sul pavimento, balzai sulle poltrone dove avevano trovato posto i miei compagni. Luna sorseggiava pigramente una birra ghiacciata. Newis stava al suo fianco. Mi sembrò tesa e incredibilmente lucida. L'altro non c'era, era sparito chissà dove.

- Allora? - mi fece Luna.

- Io ci sto. Colleghiamoci tutti e quattro

- Restituiscimi il mio modello. Qui ne hanno di migliori

Mi staccai l'YTG dalla nuca, che aveva aderito alla pelle con la tenacia di una sanguisuga. Lei lo fece scivolare nella sua borsetta, poi prese due pasticche da un vaso di cristallo posto sul tavolo e me le infilò in bocca. Infine si alzò e si diresse verso il banco, lasciando la sua birra a Newis.

- Ti va questo gioco? - le chiesi.

- No, mi fa schifo

Mi avvicinai a lei e la guardai dritta negli occhi. Le sue pupille erano due teste di spillo nere, quasi invisibili nell'iride marrone. Ero irritato dalla banalità di quel colore. Luna aveva montato delle lenti fisse che cambiavano continuamente tinta. Io stesso mi ero dimenticato il colore naturale dei miei occhi. Quella notte erano azzurri.

- Perché ti piace quel tipo? - le domandai.

- Non mi piace nemmeno lui.

- Nemmeno lui? E io?.

- Tu sei un'idiota - mi disse seccamente.

Accesi una sigaretta e le porsi il pacchetto. Ne prese una, continuando a guardarmi. Pensai che avevo perso fin troppo tempo dietro quella poveretta, e che non poteva permettersi di trattarmi così. Nello stesso tempo però sentivo un disperato bisogno di avvicinarmi a lei.

Mi soffiò il fumo sulla faccia.

- Cosa vuoi da me? - mi chiese.

- Non voglio niente.

- Allora lasciami in pace. Non desidero più vederti. Sparisci dalla mia vita. Mi stai facendo soffrire.

- Cosa cazzo stai dicendo? Ascolta, perché non ci veniamo incontro? Io non desidero farti del male

- Sono solo palle. Non te ne frega niente di me. Perché ti sei portato quella strega dietro? Io non ti basto, no? Almeno gli altri si limitano a scoparmi. Tu mi vuoi graffiare dentro, esattamente come la tua amichetta fa con te

- Ti sbagli - le dissi. Ma ero poco convinto della mia sincerità. Mi sentii improvvisamente stanco di quella conversazione.

Newis spense la sigaretta, poi aggiunse ancora: - Ho pensato a tutti voi in questi giorni. Mi avete tolto tutto, non ho più nulla. E tu vorresti regalarmi ancora qualche illusione. Sono tentata di accettare solo perché ormai sono completamente vuota, pur sapendo che non dici la verità, e che potresti uccidermi

- Sei paranoica. Io non ti ho mai detto niente, non ti ho mai mentito

- Le tue mani mentono. Mi tocchi come se fossi viva per te. Io non sono viva

- Mi hai scocciato. Sei solo una palla!

- Va bene

Si voltò dall'altra parte. La conversazione era finita. Io stavo sudando. Una scopata con lei non valeva tutto quel lavoro. Ero irritato, ma anche confuso. Dovetti sopprimere il desiderio fortissimo di toccarla.

La Testexedrina ci fece venire voglia di ballare. Luna ci aveva applicato l'YTG sulla nuca e i visori, mentre sgambettavamo nella pista cercando di assecondare un ritmo martellante e totalmente privo di musicalità. Newis spesso sfiorava le mie braccia con la voluttà di una gatta. Ad un certo punto l'afferrai e la strinsi a me. Le graffiai la pelle mentre mi si avvinghiava con tutte le sue forze. Le sue dita attivarono il mio decodificatore mentre le ficcavo i denti nel collo nudo, attratto da quella pelle lucida di sudore. Lei gridò qualcosa che non riuscii a sentire, poi si divincolò e sparì. Improvvisamente mi vidi correre in avanti in una soggettiva confusa e traballante che si dissolse in una teoria di volti mostruosamente inebetiti e statici. Staccai immediatamente la connessione per riprendermi dalla vertigine di quel movimento in avanti che avevo quasi assecondato con tutto il mio corpo. Luna mi venne vicino.

- Conviene stare seduti o sdraiati. Cosa vede la bambina?

- Niente di divertente - le risposi.

Contro la volontà delle mie gambe, che volevano scaricare la tensione anfetaminica dell'acido e della Testexedrina, mi sedetti e ordinai un bicchiere di vodka secca ghiacciata. Dov'era Newis? E dov'era quell'altro? Riattivai la connessione e lo vidi davanti a me. Sbalordito gli dissi qualcosa che non riuscii a sentire. Avrei voluto voltargli le spalle e invece allungai una mano bianca verso di lui. Sorridendomi, l'afferrò e la baciò, poi prese a parlare, riversando su di me un fiume di parole mute.

Mi alzai per raggiungerli, ma caddi immediatamente in ginocchio, mentre mi vedevo fargli scivolare fuori dai pantaloni un disgustoso e flaccido prolungamento rosa. Chiusi gli occhi e la scena divenne ancora più nitida e chiara. Cercai di scollegarmi, agitando le mani sulla mia testa, mentre iniziava a penetrarmi con violenza. Una fitta di dolore partì dal mio cervello oscurando completamente la mia capacità di ragionare. Mi strappai il visore e lo scagliai lontano, ma la scena perdurava davanti ai miei occhi in un replay continuo. Dovetti sopprimere un urlo feroce e cominciai a ringhiare, rovesciando i bicchieri che si frantumavano ai miei piedi. Compresi che avrei dovuto strapparmi gli occhi per smettere di vedere e iniziai a scavarmi dei solchi sul viso con le unghie. Luna mi afferrò i polsi e con una leva mi fece ruotare sul pavimento, per sedersi sopra di me, immobilizzandomi. Riuscii a vederla, travolta da una quantità illimitata di orgasmi, e sul suo volto si sovrapponeva in trasparenza quello di Newis. Entrambe ridevano.

Entrai nel bagno di marmo rosa e azzurro e la trovai appoggiata al muro. Mi guardò con un'espressione neutra e severa. Aveva ancora i pantaloni sbottonati e la camicia di raso scomposta e stropicciata. Lasciava che la sigaretta si consumasse tra le sue dita, facendosi avvolgere da una lenta e sottile spirale di fumo. La sua voce roca rotolò fino a me, tra lo sgocciolio dell'acqua. L'acqua era dappertutto, trasudava persino dalle pareti.

- Ti è piaciuto? - mi chiese.

La colpii con un pugno e lei stramazzò al suolo. Si mise in ginocchio, mentre il sangue le sgocciolava sulla camicia. Sputò un dente, poi un altro. Mi rivolse uno sguardo dal basso pieno di pietà e di compassione, non so se per me o per se stessa. L'aiutai a rialzarsi e l'abbracciai. Lei restò fredda e inerte. Le presi le mani e gliele baciai, poi sollevai il mio sguardo sul suo viso, per ritrovarmi di fronte la bocca sdentata e sanguinante di quel ripugnante snuff movie. Urlai di terrore e uscii di corsa, facendomi largo tra la gente.

Per tre mesi la cercai ovunque. L'avevamo trasformata in un mostro da cui poi sfuggivamo terrorizzati da noi stessi, un corpo da bruciare in una passione di cinque minuti, che confondevamo con deliberata ipocrisia con veri sentimenti. Lei aveva cercato una vittima su cui vendicarsi di una vita di maltrattamenti e infine aveva scelto me. Aveva affondato un artiglio di fuoco nella mia carne, donandomi la lucidità che si ottiene attraverso il dolore, quella lucidità che forse l'aveva fatta impazzire. Certe notti, mentre mi contorcevo tra le lenzuola di seta credevo di averla al mio fianco e l'abbracciavo. Le dicevo che d'ora in avanti avrei cercato di capirla, che l'avrei ascoltata e che non mi sarebbe importato più nulla dei suoi occhi marroni. Mi svegliavo scoprendomi abbracciato a Luna, che scambiava inevitabilmente le mie carezze più dolci con un ennesimo invito all'amplesso. La respingevo e spalancavo la finestra. Fissavo le luci notturne immaginandola da qualche parte, persa chissà dove. Forse non in questa città. Forse in un'altra città, altrettanto di merda. Era scomparsa impedendomi di rimediare a quel gesto da carnefice, che aveva trasformato il suo dolce viso di drogata in una maschera di sangue. E quel volto sdentato e orribile è il mio ultimo ricordo di lei.

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