2004: l’anno del contatto. Questo il sottotitolo ideale con tanto di data per Alien contro Predator possibile capitolo finale per due saghe dalle fortune alterne che – probabilmente – meritavano un epitaffio migliore di quello scritto da Paul W.S. Anderson che torna al cinema di fantascienza pura dopo Soldier e Event Horizon.
Soltanto che il passaggio di Resident Evil (Anderson è produttore anche del secondo capitolo…) sembra avere profondamente toccato l’immaginario del regista e sceneggiatore. Ancora una volta, infatti, troviamo un gruppo di persone che in uno spazio chiuso, claustrofobico nonché sotterraneo (stavolta si tratta di un tempio…) sono minacciate da un pericolo letale e insuperabile. La storia iniziale, nonostante la sequenza divertente riguardante il reclutamento dei vari soggetti, non ha nulla di originale. Un satellite registra un aumento della temperatura in una zona remota del Polo Sud. Il solito miliardario (figura simile a quella de Il mistero della casa sulla collina, Atlantis, Contact e Indiana Jones e l’ultima crociata solo per citarne alcuni…) che ha fatto i soldi nel settore petrolifero recluta un gruppo di scienziati e di professionisti per capire cosa ci sia in quel luogo. Al di sotto di una piramide che porta i segni delle culture egizia, azteca e cambogiana qualcosa sembra essersi ‘svegliato’. “E’ come se avessimo scoperto che Mosè guardava i DvD” viene detto non senza strappare molte risate ad un certo punto del film. Ed è questo il momento più intrigante. Un gruppo di scienziati alle prese con un mistero millenario che può radicalmente alterare la conoscenza che l’umanità ha della sua storia. Fatto sta che le cose sono, necessariamente, più complicate di come sembrano: alla base del sotterraneo troviamo incatenata la regina Aliena che conosciamo sin dai tempi della Ripley / Sigourney Weaver. Contro di lei e i suoi ‘piccoli’, ci sono, poi, gli enigmatici extraterrestri che abbiamo imparato a temere più di venti anni fa in Predator con Arnold Schwarzenegger. L’incontro tra le due razze aliene ha un significato particolare per noi umani, con Anderson che riscrive la storia della nostra razza costruendo visivamente una meravigliosa immagine delle piramidi azteche sovrastate dalle astronavi dei Predator.
Alien contro Predator rappresenta un tentativo interessante che nonostante la velocità ed essenzialità della narrazione, sembra avere il fiato corto nel momento in cui lo scontro tra alieni diversi è portato ad una dimensione decisamente da videogame. Per il resto gli elementi ‘basic’ delle due saghe ci sono tutti. Con – addirittura – Sanaa Lathan erede (o antesignana a seconda di come si voglia leggere la timeline della serie…) di Ripley nel dare la caccia alla regina aliena. Per non parlare del fatto che Lance Henriksen torna a recitare in un film di Alien, stavolta, nel ruolo di un essere umano, rispetto al numero 2 diretto da James Cameron in cui interpretava un androide. In più stavolta c’è anche il ‘nostro’ Raoul Bova nel ruolo chiave dell’archeologo che svela l’enigma alla base dell’intero film sul motivo dello scontro tra le due forme di vita. Rispetto agli eroi duri e puri dei film con Sigourney Weaver è divertente trovare una figura ‘charming’ come quella di Bova in quella che è una saga – sostanzialmente – femminile e che senza la Weaver, però, ha perso necessariamente molto. Alla fine, la trama lascia un po’ perplessi ed è quindi chiaro che bisogna prendere questo film per quello che è: un’operazione commerciale che vuole essere una volgarizzazione di entrambe le franchises portate ad una dimensione narrativa semplice, più pop corn e meno Sci-Fi.
Quello che, però, resta innegabile del film e che rende l’operazione più interessante e riuscita di quello che ci si poteva aspettare solo sulla carta, è l’aspetto visivo curatissimo. La fotografia è straordinaria e gli effetti digitali rendono le atmosfere forti e inquietanti come quelle degli episodi di venti anni fa. In particolare, però, è la forza dei caratteri a rendere tutto più intenso: i Predator e gli Alien, il loro perfetto concept visivo e la loro fascinosa sono innegabili al punto che il film pur presentando tutti i limiti narrativi e strutturali del crossover (Freddy vs. Jason insegna…) non può essere ignorato.
Più che di un sequel o di un prequel il termine più corretto per definire questa produzione è sicuramente spin off, nel senso in cui si tratta di una derivazione con qualche merito di una saga fantascientifica come quella di Alien particolarmente riuscita e di un film intrigante come Predator cui, probabilmente, era inutile tentare di dare un seguito.
Visto nell’ottica del puro divertissment, AVP è un film gradevole e perfino riuscito, nonostante il suo sbilanciarsi a favore dell’horror rispetto al tema SFX. Del resto è difficile serializzare fantascienza complessa come quella di Alien. Anche il numero 4 diretto sette anni fa da Jean Pierre Jeunet presentava non pochi problemi. Questo film, con il suo finale sospeso tra Alien e Incontri Ravvicinati può essere quindi letto e apprezzato soltanto nell’ottica dell’omaggio e della variazione sul tema che sulla volontà di creare un ennesimo episodio di una saga che – con i suoi primi due / tre capitoli risulta decisamente inarrivabile.
Del resto Alien ha compiuto venticinque anni. Un quarto di secolo in cui l’evoluzione narrativa e gli effetti digitali hanno seguito una forte evoluzione. Il carisma dei personaggi originali è ancora forte, purtroppo è evidente che per ravvivare la storia riportandola alla forza e alla dimensione del passato sarebbe necessario un autore del talento immaginifico come quello di James Cameron o di Ridley Scott. Altrimenti il carattere dei personaggi originali sarà messo a dura prova da sceneggiature eccessivamente semplificate che dell’originale possono essere soltanto un’eco lontana.
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