Da qualche anno la comunità scientifica biologica è divisa circa l'esistenza dei nanobatteri, ovvero sull’effettiva prova che renda queste formazioni biologiche vive a tutti gli effetti. Alcuni anni fa, alcuni ricercatori avevano dichiarato di aver isolato delle piccole sfere delle dimensioni dai 20 ai 100 nanometri in calcoli renali prodotti dell’uomo, e da allora la caccia è stata aperta, costringendo il mondo della biologia a schierarsi su fronti opposti. C'è chi è convinto che i nanobatteri siano in effetti responsabili di alcune delle più comuni patologie umane come il tartaro dentario, i calcoli, l'infarto e l'artrite reumatoide, mentre d'altro canto c'è chi sostiene che particelle così piccole non possono essere vive, in quanto per consentire a DNA e proteine di compiere le funzioni basilari che sostengono i più elementari processi vitali, sono necessari almeno 140 nanometri. In effetti i nanobatteri sarebbero più piccoli dei virus più piccoli che, peraltro, non sono in grado di replicarsi autonomamente. L'enigma è forse destinato a dissolversi se i risultati pubblicati qualche giorno fa sull'American Journal of Physiology troveranno conferma. Utilizzando frammenti, calcificazioni e placche arteriose, dopo raffinatissime procedure di filtraggio, alcuni ricercatori della Mayo Clinic di Rochester avrebbero eliminato dalla loro cultura qualsiasi corpo superiore ai 200 nanometri e quello che è rimasto sono risultate delle sfere del diametri compreso tra i 20 e i 100 nanometri, ricoperte da una specie di parete cellulare. Dopo averle così ottenute, sono state lasciate per alcune settimane in una soluzione sterile. Al termine del periodo di attesa, i ricercatori guidati dal dottor John Lieske hanno osservato che la soluzione era diventata più opaca e quindi più densa, segno che le particelle al suo interno si erano riprodotte.