E' una commedia sulla diversità culturale, ma anche sul perdersi e - forse - ritrovarsi quella che Sofia Coppola fa seguire al drammatico Il giardino delle vergini suicide. Un attore americano, probabilmente, sul viale del tramonto va in Giappone per girare degli spot pubblicitari. Nel gigantesco albergo dove alloggia, incontra una giovane e affascinante ragazza appena laureata in filosofia e sposata da poco che non sa ancora bene cosa fare della sua vita matrimoniale con un fotografo alla moda, innamorato, ma superficiale. I due si scambiano in maniera timida e platonica una serie di inquietudini in quello che è un rapporto sospeso tra amore e amicizia. Un'ambiguità mantenuta fino alla fine in cui tra commedia e dramma, i due protagonisti vivono giornate al di fuori dell'ordinarietà delle proprie esistenze. Un film intenso e divertente con una marcia in più grazie all'interpretazione di uno strepitoso Bill Murray e di una sexy, ma al tempo stesso castigata Scarlett Johansson che riflette sullo spaesamento delle persone nella modernità, sulla mancanza di sonno in un non luogo come un grande albergo e sulla difficoltà ad integrarsi in una città come Tokyo non respingente, ma difficile da interpretare in virtù di una lingua e degli ideogrammi attraverso cui viene espressa. Un film che avrebbe fatto felice il Roland Barthes de L'impero dei segni dove sensazioni, simboli e sguardi (la celebrazione semiologica del pathos) fanno di questa pellicola un capolavoro di gusto ed eleganza che - in qualche maniera - ci tocca tutti quanti per la sua intensa passionalità emotiva, chiusa in una 'glassa' registica che rende Lost in translation uno dei maggiori film indipendenti del nuovo secolo.