Delos 27: Racconto: Il mondo di Zoe racconto di
Riccardo Vigilante
il mondo di zoe
Avevo letto altri racconti di Riccardo Vigilante, e avevo sempre notato il germe nascosto di qualcosa di oscuro, una capacità narrativa non indifferente e l'utilizzo di un linguaggio non casuale, lontano dagli stereotipi tipici degli esordienti quanto lo sono le sue trame complesse e spiraleggianti. Questo "Il mondo di Zoe" è una delle più belle cose che ho letto di recente, non solo di autori italiani, soprattutto per il coraggio di non voler spiegare, di non volersi rendere del tutto evidente al primo passaggio degli occhi del lettore. Provate a rileggerlo, dopo la prima volta. Scoprirete nuovi piani e nuove dimensioni in cui affondare il vostro interesse, come se vi trovaste di fronte a una sorta di universo escheriano fatto di prospettive ingannevoli e in continua trasformazione. Eppure Vigilante ci vede perfettamente chiaro, e alla fine tutti i nodi tornano al pettine, sciogliendosi con una semplicità che ha del miracoloso. Leggere per credere.
-- Franco Forte Il collega Victor Spagnoletti è lungo e chiodato, mostra denti grigi sotto la cremagliera rada e pesta l'acqua nel mortaio, con noncuranza, da venti minuti esatti. Io non gli sono da meno.
Il mio nome è Phil Rondella e funziono da assistente, mentre Victor è il capo: una leggenda ai suoi tempi, poi qualche problema serio con il peyote e una brusca scivolata nel purgatorio; oggi le sue quotazioni sono in netta risalita e dei suoi lampi si riprende a parlare (a voler esagerare una spanna) come se trent'anni fossero volati in un baleno. Siamo appollaiati sui nostri trespoli professionali e gli sguardi scivolano distrattamente sulla batteria di monitor che abbiamo installato da poco. Gli occhi ridiventano implacabili nell'istante in cui mettiamo a fuoco.
E' un bel pomeriggio d'estate e la luce filtra gentile nella torre di cristallo in cui lavoriamo. Lei è distesa giusto davanti ai nostri musi ed è proprio Zoe Muntzer, corpo adolescente con ossa e membrane ridotte al minimo, appena pizzicate dai tamponi e dagli elettrodi in cui l'abbiamo silenziosamente imprigionata. Ah, dimenticavo: siamo psiconauti.
Ortodossi, ben nutriti, ragionevoli e piuttosto costosi, eclettici quel tanto che basta: sciamani dilettanti iscritti all'ordine, come ama dire Victor nei momenti - rari - di complicità. Zoe l'abbiamo con noi da un paio d'anni. Segni di miglioramento: alcuni. Victor dice che non ci lascerà mai: siamo un pubblico troppo ghiotto per rinunciare. Io quando lui dice così accenno un movimento col capo, come per annuire. Zoe è un amore di bambina, paranoide ma a intermittenza, diafana, dolce, e disposta a propinare ogni tre mesi una versione diversa. Brava, l'attricetta: cambia pelle con le stagioni - appena sei volte l'anno, quindi - ed è convinta che la torre sia il suo palcoscenico, o "il suo destino per questa fase", come ama ripetere.
Ora fanno venti minuti che è distesa mostrando il fianco ai nostri onorevoli corpi di psiconauti, e reagisce proprio come se non ci fossimo: lascia che dalle labbra le si stacchino bolle d'ossigeno di varia grandezza, poi le pinza con una sorta di colpo di coda e le bolle fanno "plof!", dissolvendosi in un numero impreciso di cerchi concentrici. Venti minuti di vacanza, però, perché ora Victor strizza le palpebre e le riapre con un nuovo lampo. In campana, mocciosa, che è tempo di ballare.
Victor insiste col sorriso pigro: "Zoe, nessuna voglia di sputare il rospo, oggi, ragazza?"
"Nessuna, zio Victor, e se proprio vuoi ballare squartami insieme al tuo tirapiedi: fatemi a pezzi, ragazzi"
Victor sorride. Zoe sorride. Tutti sorridono da queste parti. Il mondo è morbido e meraviglioso nel pomeriggio d'estate, e se ha un volto probabilmente l'ha atteggiato a un perfetto sorriso. C'è solo Phil Rondella a mostrare in pubblico la sua faccia ingrugnita, con le squame nerofumo sul punto di lacerarsi mentre consuma freneticamente la sua elettrica tastiera. Dati inseriti in pochi secondi, elettrodi al posto giusto, monitor che cantano senza errori, ciak, azione: preparati a un gruzzolo significativo di verità, bambina.
Le scariche le arrivano a intervalli regolari: la colpiscono dolcemente e tornano alla base per ripartire. Il monitor mostra le pulsazioni in calo, le pupille leggermente dilatate e la respirazione rarefatta al punto giusto. "E' andata, Victor," mi lascio sfuggire. Allora le labbra di Victor modulano un suono rauco nel preciso istante in cui attacca: "Cosa c'è di nuovo sotto il sole, Zoe, ancora scie di veleno viola che bruciano le verdi foglie del tuo giardino?"
"Scie viola, Victor: il mondo è una piattaforma rugosa, una terra emersa con l'acqua che cade dall'alto; là dove cade lascia profonde scie viola, e viola diventa tutto, Victor, tutto ciò che respiri, tutto ciò che mangi, tutto ciò che bevi, tutto, per finire al ... per finire al..."
"...per finire al lungo tubo digerente che si arrotola bizzarramente all'interno della carcassa," conclude Victor senza agitazione.
Silenzio. Poi Zoe annuisce: "Sì, sai già di che si tratta, Victor, perché mi tormenti ancora?"
Victor esita, poi la fissa con grandi occhi chiari, come se si lasciasse guidare da un pensiero dell'ultimo secondo: "Uhm, a proposito Zoe: come va con la storia dei bambini?"
Zoe storce il muso di malavoglia in una smorfia capricciosa, poi l'espressione da reginetta del ballo le si stempera in un ghigno rattrappito, come se qualcosa la soffocasse. Guardo il monitor azzurro cielo su cui è disegnato diligentemente il grafico delle contrazioni muscolari.
"Soffre come un cane, Victor, soffre e sputa ogni informazione elaborata, ed è tutto senza schermi, aiutala ora, Victor, ora!" mentre la mia voce mi appare improvvisamente deformata e ingigantita. Devo aver urlato. Ma Victor è pur sempre un piccolo dio della scienza e della tecnica e l'aiuta proprio al momento giusto. Non fa una piega quando prende a sussurrare: "Dagliene ancora, Phil, dagliene ora."
Ed è davvero un incantevole pomeriggio d'estate, e la luce è sempre gentile, appena un po' più calda, davvero calda, nel momento in cui digito elegantemente e le aumento la dose disegnando questa sorta di quadro, qui, ora, in cui non c'è più Zoe, non esattamente il corpo di Zoe, ma una maschera fitta di pieghe, colore del cianuro, che si spalanca e quasi si dissolve in una smorfia che le sradica il respiro, fino al punto in cui ogni apparato funzionale, e forse direttamente l'anima, sembrano ritrovare per un istante la linea di galleggiamento, e danno modo a Zoe di lanciare un gemito, un solo lungo gemito che ha un inizio ma non una fine, se i nostri computer ancora ronzano, nel momento in cui provano a tradurlo in parole, in un linguaggio più accessibile, appena visibile. E per entrambi i computer dei due coraggiosi psiconauti non c'è dubbio alcuno che Zoe stia latrando: "E' uno solo, Victor, il bambino è uno solo, Victor! La sua terra è un'enorme piattaforma rugosa con l'acqua che cade dall'alto, ed è tra queste rughe che cosruiscono le loro case, hanno anche autostrade, torri, cellule fotoelettriche e sterminate distese ricoperte da serre funzionali, Victor, e ipermercati colmi di cibo, polizia, cibo a disposizione e lucide armi nere, Victor".
"Qual è il problema, Zoe?" la interrompe di colpo Victor come se fosse la prima volta. Il gemito si è spento. Ora la voce è ritornata a riempire la stanza, ma a volume più basso. E il tono è diverso: freddo, buio, procede come se una sorta di forza inerziale lo spingesse alle spalle.
"Il problema è che il bambino ha fame, Victor."
"Fame, dici?"
"E' in una stanza vuota con mura bianche, senza finestre e con un'unica porta, aperta, da cui non sa uscire, mentre ovunque, nell'edificio e fuori, lungo distese infinite dai colori luccicanti tutti i suoi simili sono intenti a mangiare, mangiare e distruggere cibo, poi ancora mangiare e distruggere, senza interruzione, obbedendo a un codice inflessibile, mentre nella stanza bianca senza finestre non arriva nulla, c'è lo zero assoluto, zero, se non un vuoto privo di acqua, e lui è nato da poco, e ha fame, e la fame gli gonfia il ventre e lo tende al punto di scoppiare in mille pezzi, ma il ventre non scoppia, resta nero e lucido un attimo prima di crepare, senza crepare mai, e così la fame si attorciglia su se stessa, fa un paio di capriole e finisce per lasciargli il cuore immobile, ma vivo, terrorizzato dall'assenza del proprio battito, ma ancora vivo, mentre questa sua precisa sensazione - dolore, Victor, come preferisci chiamarla: dolore? - attraversa uno spazio, e poi un altro spazio, e poi un altro ancora, e poi tutto lo spazio che mi separa da lui, e finisce per superare qualcosa che non è spazio, e neppure tempo, non è aria e non è acqua, Victor, è altro, e supera tutto solo per conficcarsi in questo cervello, il mio, Victor, cervello, Victor, proprio il mio cervello tra gli infiniti esemplari possibili, questa sensazione si avvita nel mio cervello appena un po' e voglio morire, Victor, il pensiero più costruttivo è che voglio crepare piuttosto che continuare così..."
Lunga pausa. I tratti del volto le si riassemblano come per incanto, e il corpo torna a distendersi, accompagnato da un fascio di luce nel pomeriggio d'estate. Lunga pausa mentre il ronzio delle macchine funziona da perfetto metronomo accompagnando Victor che sospira, dischiude le labbra e non dà vita - almeno per oggi - ad alcuna strabiliante invenzione terapeutica.
"E che forma ha il bambino, Zoe, che dannata conformazione fisica, intendo: niente branchie, niente placche ossee, niente scaglie, niente uova incubate, niente di niente, Zoe?"
"Non la tua faccia di merda, zio Victor" è la sequenza che Zoe recita contemporaneamente al mio: "E' fuori, Victor, ha ripreso il controlllo, ora!"
Restiamo in tre, nella luce calda e paziente della torre, in una città luccicante e priva di confini visibili, senza necessità alcuna di fissarci negli occhi. Victor è sulle tracce di un'intuizione improbabile, io confronto meccanicamente il profilo colorato di una serie interminabile di diagrammi, mentre Zoe, distrattamente, riprende a giocare con le bolle di ossigeno in precario equilibrio sul filo della sottile pinna caudale.
Due anni passano veloci. Due anni fa avevo una faccia più giovane, ma ero senza un lavoro fisso ed ero disposto ad accettare tutto. Victor allora era ancora un ex, appena uscito dalla fase del declino ma senza che la notizia della rinascita avesse avuto modo di diffondersi più di tanto. La sua era la migliore delle occasioni possibili, dal mio punto di vista. Zoe invece aveva occhi persi, fin dalla prima volta che entrò nella torre.
Da allora molto è cambiato. Victor ha ingranato la marcia giusta e le nostre azioni hanno preso a decollare vertiginosamente. Alcuni li abbiamo salvati completamente. Gli abbiamo fatto saltare tutti i codici, li abbiamo riprogrammati e li abbiamo rimessi in linea con qualche pezzo di carrozzeria sfavillante. Altri li teniamo in vita con la respirazione artificiale. Due, tre volte a settimana, facciamo sì che il peggio sia sempre appena dietro le spalle ed è già un miracolo che sia così. Altri ancora ci sfuggono, ma spesso ritornano, e se ritornano prima o poi li riagganciamo per davvero. E' con Zoe invece che proprio non va. E' Zoe che resta impermeabile ai nostri tentativi e ai nostri trucchi, ai nostri acidi e alle nostre simulazioni, senza che si riesca a liberarla da nessuno degli incubi che la tormentano. Questo del bambino imprigionato nella stanza bianca è il più frequente. Lei è convinta che da qualche parte nell'universo ci sia una specie vivente impegnata a lasciar morire di fame qualcuno, sufficientemente distratta da produrre risorse in eccesso e nello stesso istante da fare mancare il nutrimento di base a qualcuno, e ci crede, ci crede davvero Zoe, e ci fissa con occhi da scout - lucidi, persi - e vorrebbe persuaderci, vorrebbe che condividessimo l'incubo e il martirio per sollevarle dalle spalle una parte, una parte almeno, del dolore immenso che afferma di provare. Ma noi siamo psiconauti - brillanti, attualmente in ascesa, Victor il capo, io l'assistente - e semplicemente non crediamo agli incubi di Zoe.
Victor dice che Zoe non ci abbandonerà mai. Non ci giurerei. Parola di Phil Rondella c'è un inverno durissimo che la aspetta. Continuerà a soffrire senza limiti e a ripeterci esattamente le stesse storie ogni volta che la metteremo sotto ipnosi, impermeabile a ogni successiva mossa terapeutica. Poi con la primavera le cose sembreranno migliorare, affiorerà qualche progresso consistente e Victor si sbilancerà connotandolo come "duraturo". In un pomeriggio di maggio Zoe sarà su uno di quei grandi viali alberati che incrociano in più punti la venticinquesima, magari stazionando pigramente di fronte a una delle grandi gelaterie dai colori arancio e verde elettrico, o forse lasciandosi trasportare dalla folla - per la prima volta dopo molto tempo - come se la folla fosse una nave dalla prua sicura, o un'amaca intenta a cullarla delicatamente. L'acqua sarà dolce, striata di profumi nuovi. Sarà un sabato pomeriggio e di fronte ai cinema ci saranno baracchini con pop corn e zucchero filato, ambulanti con buffi berretti bianchi, e grappoli di palloncini colorati agli angoli. Il tropismo di primavera rimescolerà gli ormoni dentro e fuori i corpi, addolcendo la curva di ogni protesi disponibile. E sarà questo il momento peggiore. Sarà allora che Zoe potrà mollare tutto e salire verso l'alto: uno, due, tre colpi di pinna e poi ancora altri in successione rapidissima, prima ancora che chiunque possa alzare lo sguardo, puntando senza esitazioni la linea del cielo e bucandola, come se fosse una liberazione, una lunga fuga fino a lasciarsi morire d'asfissia senza un solo pensiero definito, con l'unica sensazione che l'incubo si sta dissolvendo, sta svanendo definitivamente nel nulla senza possibilità di ritorno, con l'unica sensazione che l'inferno ha chiuso, chiuso definitivamente per mancanza di clienti.
Altre possibilità a disposizione? Non direi. Ma forse qualcuno di voi pensa che la storia della stanza bianca senza finestre, del bambino eccetera eccetera sia oro colato, che siamo tutti coinvolti, sempre, e che in qualche fondo di bottiglia del continuum spazio-temporale esiste davvero una specie vivente che distribuisce il cibo con una roulette truccata. Forse qualcuno di voi pensa che esistano per davvero questi alieni devastanti, e che magari potrebbero risolvere domani i problemi di squilibrio nel controllo delle risorse, e che l'incubo di Zoe potrebbe scoppiare così d'improvviso come una delle sue bolle d'ossigeno, perché nulla accade a caso, e ogni cosa è legata a ogni cosa eccetera eccetera. Pensate sia possibile, vero, dolci ippocampi?
In questo caso devo avvertirvi che siete davvero graziosi, ma che la vostra attuale posizione è solo un passo a destra della strada di Zoe, e che però - attenzione! - non tutto è perduto, perché questa è proprio una sorta di inserzione pubblicitaria - fenomenale! - e il nostro recapito è proprio stampigliato a chiare lettere qui di fianco. Non so se è chiaro, ma siamo psiconauti: Victor il capo, io l'assistente e - Zoe a parte - raramente falliamo. Abbiamo trucchi di ogni tipo. Tra i migliori sulla piazza. Pagamenti personalizzati. Non siamo coinvolti. E vi mostreremo come fare. A non lasciarsi coinvolgere. E' possibile. Vi ritroverete anche voi a stazionare distrattamente davanti a una delle enormi gelaterie della venticinquesima: l'arancio, il verde elettrico, i buffi berretti bianchi degli ambulanti eccetera eccetera. Sarete pronti a sedurre, comprare, guardare, a succhiare ghiottonerie di ogni genere il sabato pomeriggio. Ma per voi non dovrà esserci nessun incubo sufficiente a farvi decollare verso la linea del cielo. Può succedere di tutto, a distanze infinite o a pochi metri. Può succedere di tutto. Ma non vi riguarda. Non sarete coinvolti. Venite da noi. Immediatamente. Victor il capo. Io l'assistente. Avete solo i vostri incubi da perdere. E un futuro da guadagnare. Leggeri. Finalmente. Dico: nessuno muore di fame. In nessun luogo. Troppo stupido per essere vero. Tranquilli. Nessuno. Altro che stanze bianche senza finestre. Un futuro, piuttosto, vi aspetta. Arancio, verde elettrico. Zucchero filato. Grappoli di palloncini agli angoli. Venite. Da noi. Leggeri. Finalmente. Zucchero. Sabato pomeriggio. Nessuno. Ne vale la pena. Venite. Zucchero. Non ve ne pentirete.
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