Delos 27: Memories of green Memories of green
di Vittorio Curtoni
non dimenticherò mai:
angelo de ceglie
Non sappiamo se Delos sia entrato nella storia della fantascienza italiana, ma sicuramente la storia della fantascienza italiana è entrata in Delos. Vittorio Curtoni, mitico direttore della mitica rivista Robot, ha accettato di portare sulle nostre pagine una collezione di gustosi aneddoti del fandom e dell'editoria italiana. Ah, per sua volontà, il sottotitolo di questa rubrica è "i farneticanti ricordi del vecchio Vic". Almeno sapete cosa aspettarvi...
Ho pensato di alternare di tanto in tanto, ai nanetti di episodi più o meno buffi, qualche ritratto di personaggi del mondo della sf italiana che ho avuto il piacere (e talora, ammettiamolo, il dispiacere) di conoscere. Inizio col ricordo di una persona che mi era molto cara, Angelo de Ceglie, scomparso tragicamente (è precipitato da un dirupo mentre era in ferie in Portogallo) diversi anni fa.A dire il vero, questo ritratto l'ho scritto circa un anno e mezzo fa su richiesta di Franco Forte, che assieme a Silvio Sosio stava preparando un'antologia di tutti i racconti di De Ceglie; però quando i due hanno presentato la loro iniziativa a una convention hanno ricevuto una sola prenotazione... E così il progetto è rimasto bloccato fino a oggi. Evidentemente, la sfortuna si rifiuta di abbandonare Angelo anche dopo la sua morte.
Non posso dire di essere stato un amico intimo di Angelo. Sarebbe una balla. Quello che posso dire è che l'ho conosciuto ai tempi di Robot, che ci siamo visti molte volte, e che ancora oggi mi manca. Era una delle persone più dolci, più sincere, e più generose che mi sia mai capitato di incontrare. Nel campo della sf, e non solo.
Giusto per dare un'idea della sua generosità: fu lui a farmi conoscere una persona che ha contribuito in maniera decisiva al successo (all'epoca, e per lo scarso arco di tempo di questo successo) di Robot. Dopo i primi numeri, l'editore (Giovanni Armenia) e io avevamo pensato di aumentare il numero di pagine della rivista e di illustrare i racconti con disegni originali. Nessuno dei due, però, sapeva di preciso a chi rivolgersi. Poi è arrivato in redazione un numero della fanzine di Angelo, Vox Futura, accompagnato da una lettera di Angelo che diceva all'incirca: "Guardate la copertina, guardate le illustrazioni interne. Sono di Giuseppe Festino. Se vi piacciono, potreste usare Festino per Robot." Il resto è storia. Quello che mi pare molto notevole è che il curatore di una fanzine scriva a una rivista non per propagandare il proprio prodotto, i propri articoli o racconti, ma le illustrazioni di qualcun altro... Angelo era fatto così.
Un'altra volta mi regalò uno splendido racconto di Riccardo Leveghi, Mosche, che era in suo possesso per la fanzine; ma gli pareva talmente bello (aveva ragione!) che decise di sacrificare la sua pubblicazione a favore della mia, per fare un piacere sia a Leveghi, sia al pubblico italiano. Mosche piacque non solo in Italia, ma anche all'estero; venne acquistato da "Univers", una collana di antologie curata da Jacques Sadoul. Tutto, ovviamente, grazie ad Angelo.
Per un anno, un anno e mezzo, nel più assoluto anonimato, e senza guadagnare il becco di un quattrino, mi ha fatto da lettore per i racconti italiani che arrivavano in redazione. La situazione era tragica: ogni giorno sulla mia scrivania si accumulavano decine di plichi di aspiranti autori che chiedevano, come minimo, un giudizio sul loro lavoro. Sarebbe stato necessario assumere un altro redattore solo per occuparsi di questo, e ovviamente l'editore non aveva alcuna intenzione di farlo... Come al solito, Angelo si offrì volontario. Io gli passavo le paccate di materiale italiano; lui leggeva, scriveva le risposte, mi riportava i vari malloppi, mi segnalava i racconti migliori in assoluto. L'unica cosa che abbia mai chiesto è stata la possibilità di contattare in privato gli autori dei racconti buoni, ma non proprio a livello professionale, per pubblicarli su Vox Futura.
Non ho mai avuto motivo di lamentarmi dei suoi giudizi. Amava davvero la fantascienza, come amava la sua fanzine e, credo, Robot. L'ho già detto, un altruista nato.
Non mi ha mai proposto un suo racconto da pubblicare sulla rivista, caratteristica più unica che rara fra le centinaia di autori e aspiranti autori che in tempi diversi hanno gravitato attorno a Robot. Senza dirmi niente, partecipò a una delle due edizioni del nostro premio. Il suo racconto era scritto in maniera eccellente, aveva tante qualità. Gli dissi che mi era piaciuto, ma che trovavo un po' ovvio, un po' troppo prevedibile, il finale. Se solo fosse stato disposto a cambiarlo...
E lui, più o meno: "No, guarda, per me quel finale esprime una scoperta importante su me stesso. Non posso cambiarlo solo per pubblicare." Una coerenza che ha dell'incredibile. E così andò a finire che Robot non ospitò mai un racconto suo, e me ne dispiace, ma chi se lo poteva immaginare? Credevamo, entrambi, di avere a disposizione tutto il tempo di questo mondo...
Se qualcuno di voi ricorda, bontà sua, il tono acidulo (o spesso decisamente incazzato) di tanti miei editoriali e articoli apparsi su Robot e altrove, magari adesso potrà pensare che io stia tracciando un ritrattino di maniera, edificante e beatificante, solo perché parlo di qualcuno che è scomparso. Be', non è affatto vero. Ho accettato di scrivere queste poche righe, su invito di Franco Forte, proprio perché il ricordo che ho di Angelo è così dolce, e così indelebile. I necrologi di maniera non sono il mio piatto preferito. E' che lui era davvero fatto così.
E per chiudere questa commemorazione su un tono un po' meno sdolcinato, ma altrettanto vero, voglio aggiungere alle caratteristiche che ho già elencato (disponibilità, sincerità, altruismo) una qualità che purtroppo Angelo aveva in sé, e che credo molto abbia contribuito alla sua fine assurda: la sfortuna.
Angelo era sfortunato. Un'infinità di volte mi ha parlato delle sue frustrazioni sul lavoro, dei problemi che aveva, delle cose che gli andavano storte. Io sono un tipo molto razionale, tutt'altro che portato alle meditazioni irrazionali, ma nel suo caso ho sempre pensato che un'intangibile aura negativa lo perseguitasse.
Ci veniva spesso a trovare in redazione, nel tardo pomeriggio. Prima che Giuseppe Lippi scendesse da Trieste a lavorare con me, io avevo come compagna di redazione la moglie dell'editore, Adriana Armenia, una persona di estrema simpatia e calore umano. Adriana era affezionata ad Angelo quanto me. Lo aveva soprannominato "Fischietto" perché a volte, parlando, lui fischiava un po' col naso. Succede ai migliori. Nessuno si vergogni dei fischi emessi dal proprio naso!
E cosa accadeva? Certi pomeriggi, in Viale Ca' Granda, quel cielo di Lombardia che è così bello... eccetera, magari verso le tre e mezzo, le quattro, cominciava a rannuvolarsi; poi prendeva a scendere una pioggerella discreta, niente di travolgente, una pioggia signorile; e allora Adriana mi guardava e mi diceva: "Oggi viene Fischietto." E non dico sempre, ma spesso, verso le cinque, le cinque e mezzo, arrivava Angelo...
Che mi accompagnava in stazione, visto che io facevo il pendolare Piacenza-Milano. Le chiacchiere in ufficio, le ultime malignità e notizie del piccolo universo della fantascienza; la corsa in autobus, il 42, senza smettere di parlare; un caffè veloce in stazione, quando avevamo il tempo; e lui che mi lasciava al binario, augurandomi buon viaggio. Era così tenero, così indifeso, e così sfortunato.
Mia moglie lo ha visto una sola volta. Nel 1977, quando al cinema Argentina di Milano venne organizzata una sorta di anteprima di Scontri stellari oltre la quarta dimensione di Luigi Cozzi. Angelo ci apparve con una mano fasciata. Io lo avevo visto pochi giorni prima, perfettamente integro, e gli chiesi cosa diavolo fosse successo; e lui mi rispose: "L'altra sera tornavo a casa. Mi sono fermato a carezzare il cane dei nostri vicini, che conosco da tanti anni, e quello mi ha morso..." La cosa colpì molto mia moglie.
Colpì anche me. Come mi ha colpito, con forza enormemente maggiore, la sua morte. Tempi duri per i troppo buoni...
Angelo, tu non hai mai saputo cosa significasse la cattiveria. E nemmeno la fortuna, temo. Però, se può esserti di qualche consolazione, io ti ricordo molto bene. Sei uno dei ricordi migliori della mia vita.
Ciao da Vic.
L'illustrazione è di Giuseppe Festino.
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