Il film tanto atteso che ha segnato in maniera indelebile le pagine di quotidiani e rotocalchi degli ultimi due anni, arriva finalmente nelle sale con la sua forza politica e umana tipica del cinema di Scorsese. Volutamente sgradevole, intenso e - al tempo stesso - doloroso, Gangs of New York racconta la storia di un ragazzo che diventa - nell'America del diciannovesimo secolo - il braccio destro dell'uomo che ha ucciso suo padre. Un piccolo boss di quartiere sullo sfondo della New York dell'immigrazione irlandese, della libertà dalla schiavitù, della guerra civile che si confonde con la lotta quotidiana per la sopravvivenza. Un affresco visionario ed intenso, tutt'altro che rassicurante, della nascita di una città, narrata attraverso personaggi di un'altra epoca, che riportano alla luce, la memoria, spesso volutamente dimenticata di un'intera nazione. Lungo quasi tre ore, Gangs of New York risulta interessante anche se non del tutto convincente per essere considerato un capolavoro. La lotta dai toni "post apocalittici" tra le bande rivali, un gusto reiterato per una violenza continua e "crassa" , l'esaltazione celebrazionista di uno scontro d'onore senza quartiere, vengono, infatti, solo in parte mitigati e giustificati dall'interpretazione notevole degli attori come Daniel Day Lewis e Leonardo Dicaprio, e da una regia inaspettamente claustrofobica. Un film complesso nella sua articolazione, ma soprattutto interamente affidato ad una sensibilità soggettiva nel suo diventare prodotto di una riflessione personale sul passato, spesso inconfessabile, della democrazia americana.