Da sempre sensibile alle nuove tecnologie e ai loro futuribili e, soprattutto pericolosi, utilizzi, nel suo nuovo romanzo Michael Crichton si avventura questa volta sul terreno della nanotecnologia. Uscito lo scorso 25 novembre sul mercato americano e già considerato il bestseller dell'anno, il libro si intitola Prey (lett. preda) e racconta di una nube di nanoparticelle sfuggite al controllo di un laboratorio di ricerca nel deserto del Nevada. Il problema è che questa nube composta da micro-robot è in grado di sopravvivere, di riprodursi e di imparare dall'esperienza. A tutti gli effetti è come viva ed è stata programmata dai suoi creatori come un predatore. Ed è superfluo dire che la preda del titolo siamo noi. Secondo l'opinione che lo stesso Crichton esprime sul suo sito ufficiale, Prey è una sorta di equivalente moderno di Frankenstein, applicato a una società "tremendamente dipendente dalla scienza e dalla tecnologia" nella quale "i creatori della tecnologia spesso non sembrano rendersi conto degli effetti del loro lavoro come si pensa che dovrebbe essere". Ma proprio per questo è anche una società in cui la scienza sta modificando la definizione di umanità, perchè mai come negli ultimi dieci anni i prodotti della tecnologia si stanno radicando profondamente nelle nostre esistenze. Il punto è: può questa dipendenza farci diventare "prede" della nostra stessa creatura? Il romanzo è pubblicato da HarperCollins, mentre la versione italiana edita, come al solito, da Garzanti Libri, sarà in libreria con il titolo Preda a partire dal 31 gennaio 2003.