Sapere raccontare la trama di un film senza togliere allo spettatore il gusto della visione e della scoperta è la prima regola che un aspirante critico cinematografico deve tentare di imparare, quando inizia questo lavoro nel segno dell'equilibrio e dell'accuratezza. Nel corso degli anni, però, il diavolo è sempre in agguato e non sempre si riesce ad argomentare la propria analisi della pellicola in questione senza tradire dettagli o particolari rivelatori. Un errore tutt'altro che leggero, per il quale non si può che implorare la clemenza del lettore.
Alle volte - addirittura - alle proiezione per la stampa, si trovano dei foglietti inviati dai registi in cui - a prova di cretino - si chiede di non rivelare quando si scrive situazioni o punti chiave che potrebbero addirittura compromettere l'esito della visione del pubblico pagante. Anche lì, spesso, momenti salienti di film come A beautiful mind e City of angels sono stati diffusi e spettegolati ai quattro venti da giornalisti e critici cinematografici - nella migliore delle ipotesi - superficiali.
E' quindi con sorpresa, nonché una punta di sgomento che dopo averlo visto a Venezia, scopriamo che The Road To Perdition ultimo film del regista del capolavoro di Sam Mendes American Beauty si intitola nella sua edizione italiana (peraltro funestata da un doppiaggio a dir poco allucinante...) Era mio padre. Conoscendo la grande professionalità della divisione nostrana della Twentieth Century Fox non nutriamo alcun dubbio che questo titolo sia stato scelto dopo uno studio accurato e con motivazioni forti. Eppure resta da domandarsi cosa sarebbe accaduto se Citizen Kane di Orson Welles fosse stato proposto con il titolo di Una slitta di nome Rosabella anziché con Quarto Potere ? Quesiti, forse, sterili che, però, fanno rimpiangere a tutti noi la distanza dal mondo anglosassone in cui - nella cosiddetta spoiler zone - i lettori sono avvertiti in anticipo di non entrare se non vogliono carpire troppi segreti dei film che stanno per andare a vedere al cinema.
E' anche vero che il popolare romanzo a fumetti da cui è stato tratto il film è molto noto, ma resta da domandarsi, perché privare il piacere della scoperta ad uno spettatore che - come chi scrive - spera di non riuscire mai a prevedere quello che accade durante un film? Per The Road To Perdition, noi useremo d'ora in avanti il titolo originale per tentare di salvare il salvabile, anche se il nome resta l'ultimo dei problemi. Questo perché nonostante l'emozionante messa in scena di Mendes, la pellicola non riesce a sottrarsi a due fatali fardelli: la prevedibilità dell'azione e un'eccessiva dose di grottesco. Se da un lato, infatti, anche lo spettatore meno lungimirante da poco prima della metà del film inizia a prevedere ogni singola azione (e questo non certo per la loro mirabolanza...), d'altro canto il tentativo disperato di imbruttire Jude Law (ma con tanti brutti naturali, perché tentare di rendere grottesco l'uomo più bello del mondo?) non può essere accolto se non con una certa dose di stupore. Per il resto, The Road To Perdition è un film che non riesce ad andare oltre una certa superficialità nell'analisi dei rapporti umani. Nonostante il carisma di Paul Newman, enigmatica resta la figura del killer Tom Hanks sospeso tra un'educazione rigida e la necessità di non essere davvero troppo cattivo danneggiando se stesso al box office in futuro. Dopodiché il resto è una favolosa ricostruzione dell'America degli anni Trenta con forti influenze letterarie e cinematografiche. Quest'ultima e la partitura orchestrale scritta da Thomas Newman restano dunque le cose migliori di un film tanto più deludente, perché gravato di un'aspettativa così forte. In più facciamo nostra un'obiezione mossa dal celebre critico inglese Alexander Walker che - durante la conferenza stampa a Venezia - aveva rilevato come il film fosse stato "normalizzato" rispetto alle accuse severe nei confronti della collusione tra la Chiesa cattolica e la mafia irlandese. Un'annotazione che getta ancora di più nello sconforto lo spettatore sorpreso di trovarsi dinanzi ad un ibrido tutt'altro che coinvolgente, in cui i mafiosi vittime di un agguato sotto la pioggia battente pensano di rispondere al fuoco sparando e tenendo in mano l'ombrello. Ma chi è stato il loro padrino nel mondo del crimine? Gene Kelly? Mikhail Bariznikov? Difficile a dirsi così come deprimente è ancora di più l'idea secondo cui il titolo originale che sembra un'evidente metafora del cammino di ogni uomo, debba essere esplicitato dal fatto che padre e figlio scappano dalla loro città verso una zia lontana che - guarda caso - abita in una cittadina di nome "Perdition"... un passo per Sam Mendes cui - dopo American Beauty - possiamo comunque perdonare tutto tranne il fatto di sposare Kate Winslet.
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