Tratto dal romanzo omonimo di Patrick McGrath, la versione cinematografica che David Cronenberg ha voluto costruire sulle psicosi disperate di un uomo solo e sofferente è - naturalmente - figlia del cinema dell'autore canadese, con tutto quello che questa appartenenza "forte" comporta nel bene e nel male. Chi ama il lavoro del di Cronenberg potrà quindi passare sopra la volgarizzazione (anche visiva) un po' eccessiva del testo di McGrath e soprattutto sul fatto che non si riesca mai davvero ad essere avvolti dalla claustrofobica cappa di follia del protagonista.

Chi non è un fan del regista de La mosca, invece, partendo dall'assunto che il cinema non sia un'arte complementare e che l'unica maniera per adattare un romanzo per lo schermo è quella di tradire l'originale, dovrà riconoscere che Cronenberg è stato straordinario nella resa minimalista dell'azione e nell'interpretazione degli attori. In questo senso sia Ralph Fiennes, che la Miranda Richardson interprete della maggior parte delle donne presenti sullo schermo, danno un'ottima prova di sé nel rendere al meglio quella che è esattamente la visione che Cronenberg vuole dare del romanzo. Qualche dubbio, però, resta sulle soluzioni visive della follia e della psicosi. Dopo A beautiful mind e altre pellicole che coinvolgono ed esaltano la soggettività del pubblico riguardo la malattia, Spider, pur essendo omogeneo alla poetica del suo autore, sembra limitato nel mantenere lo spettatore in qualche maniera esterno al nucleo vitale della narrazione. Una scelta personale e - ovviamente - non casuale di Cronenberg che si appella alla sensibilità individuale dello spettatore per un riscontro emotivo sincero ed avvolgente, nonché per una parola finale di apprezzamento o rifiuto.