Delos 26: Pensiero Stocastico Pensiero Stocastico
del teatro
Secondo Robert Sheckley, per troppo tempo ormai Roberto Quaglia non è stato famoso. Secondo Ugo Malaguti, è un genio. Roberto Quaglia, ovvero il rappresentante della fantascienza del nostro Paese più famoso all'estero e più sconosciuto in Italia, continua a fare tante domande e a rifiutare tutte le risposte.
In realtà, l'opinione prevalente che ho sempre avuto riguardo al futuro del teatro, è che il teatro non solo non ha alcun futuro, ma non ha neppure un presente. Un'opinione elementare da conseguire. E' sufficiente fare come ho sempre fatto io: non andare mai a teatro. Non intendo vantarmi del fatto che in passato non sono mai andato a teatro. Non intendo però neppure vergognarmene. Intendo però notarlo, dato che è successo, e cercare di interrogarmi sul perché il teatro mi ha sempre attratto così poco, tanto da indurmi a non andarci mai. Ho capito perché non sono mai andato a teatro da quando ho iniziato ad andarci spessissimo, dato che negli ultimi anni sono sommerso da biglietti omaggio che mi guardo bene dallo sprecare. Da quando vado costantemente a teatro ho capito perfettamente perché non ci andavo mai, così come in genere non metto neppure piede in un museo. Il teatro è sostanzialmente morto. Persiste in quanto museo fossile di se stesso. Ciò non è un insulto. Ma una catalogazione precisa. I musei e i fossili sono certamente un'ottima invenzione dell'Uomo che approfondisce le proprie radici. Sono la memoria di ciò che è stato. Talvolta e in certi ambiti, il passato è più interessante del presente. Tuttavia è sciocco credere che un fossile, quantunque bello, sia pure vivo. Andare a teatro a vedersi la rappresentazione di un dramma di Shakespeare è visitare un ottimo museo dove ci si può godere la comprensione della bellezza che fu il teatro di Shakespeare. Una bellezza immutata nel tempo, una bellezza talvolta sublime eppure sempre uguale a se stessa e quindi per definizione morta, dato che è vivo solo ciò che nel tempo si trasforma e muta e si evolve. Sono interessato alla bellezza in una notevole varietà delle sue manifestazioni, fra le quali rientra il teatro del passato. Tuttavia riesco a coglierla assai meglio leggendomi i testi in un libro ed immaginarmi le scene personalmente piuttosto che assistendo alla maldestra rappresentazione della compagine teatrale di turno, dove in genere mi distrae e infastidisce la frequente incompetenza degli attori, troppo impegnati a rispettare i canoni di dizione che certificano la loro appartenenza alla casta degli attori per riuscire anche vagamente a sembrare i personaggi che per contratto dovrebbero incarnare.Sebbene io abbia fra l'altro scritto vari pezzi per il teatro (l'ultimo dei quali, Lassù qualcuno mi concupisce, è stato recentemente pubblicato sulla rivista Futuro Europa - potete scrivere a Claudio Del Maso per informazioni o per farsi spedire la rivista), gli autori moderni sono solitamente assai peggio di quelli di un tempo. Qualcuno si salva, piccole aree di genialità qua e là fugacemente compaiono per venire ben presto riassorbite nel magma della sempliciotteria prevalente. Nell'insieme, il teatro è oggi un cadavere ormai freddo, con qualche residuo scintillio di vita proveniente dai vermi intenti a banchettare sulle sue spoglie.
Sarebbe quindi del tutto insensato che io scriva un pezzo sul futuro del teatro, se non fosse che qualche settimana fa un evento ha decisamente modificato l'opinione che ho sin qui manifestato.
Sono stato infatti invitato ad assistere ad una rappresentazione delle Tre Sorelle di Cechov, nella rappresentazione del regista lituano Eimuntas Nekrosius. Un'opera della durata di quattro ore, recitata interamente in lituano. Ce n'è di che suicidarsi, opinerà qualcuno. Per decidere di affrontare quattro ore di Cechov in lituano ci vuole o una gran competenza, o coraggio, o masochismo o ignoranza. Scartate le prime tre categorie, che non si confanno al mio spirito, è stata la virtù dell'ignoranza l'unica leva che mi ha spinto a teatro a sorbirmi quattro ore di Cechov in purissimo lituano. In primo luogo so ben poco di Cechov (d'altra parte anche Cechov sa ancor meno di me - e non s'impugni il fatto che egli sia morto, dato che ciò non depone certo a suo favore). Avevo sentito parlare delle Tre Sorelle, nel senso che ne avevo sentito parlare e basta. Mai l'avevo letto, né visto a teatro o altrove. E, soprattutto, non sapevo che durava quattro ore. E, naturalmente, non sapevo che sarebbe stato tutto in lituano. Venni informato di tali caratteristiche poco prima dell'inizio di ciò che a quel punto si configurava come un possibile assurdo calvario. Avrei ancora avuto il tempo e l'occasione di scappare. Non l'ho fatto. Forte della mia ignoranza, sapevo che la più totale assenza di aspettative è l'abito mentale più adatto per sottoporsi a nuove esperienze. L'assurdo calvario era soltanto uno degli scenari ipotizzabili, per cui smisi di ipotizzarlo nell'istante stesso in cui l'ipotizzai e con animo perfettamente vuoto mi sedetti in seconda fila lasciando all'Universo la piena responsabilità di decidere su cosa dispensarmi nelle successive quattro ore della mia vita.
Bisogna avere fiducia nell'Universo, anche perché è l'unico posto che c'è e ne siamo ben pieni anche dentro di noi, e c'è da dire che ogni tanto l'Universo ricambia tale fiducia non deludendo le aspettative che non si hanno.
Ebbene, assistere allo spettacolo fu un'esperienza eccellente. Naturalmente non capii una parola di quanto per quattro ore venne detto sul palco, come non compresi nulla della trama del dramma al quale assistevo, le Tre Sorelle. D'altra parte in nessun momento cercai di capire le parole o comprendere la trama. Se parole e trama m'avessero interessato avrei certamente provveduto a leggermi per conto mio l'opera, in traduzione italiana. Eppure, ciò che vidi mi piacque tanto che in nessun momento rimpiansi di essere dove mi trovavo, rimpianto che facilmente ti coglie a teatro se il tuo cervello non è mummificato a dovere.
Cosa diammine stava succedendo?
Mi venne in mente un'esperienza analoga vissuta tre mesi prima a Bucarest, dove avevo assistito con notevole piacere a tre ore di rappresentazione in rumeno dell'Opera da Tre Soldi di Brecht. Tuttavia, l'Opera da Tre Soldi non mi è del tutto ignota così come non mi è del tutto ignoto il rumeno. Adesso, invece, avevo passato quattro ottime ore a guardarmi un dramma che non conoscevo né capivo in una lingua incomprensibile, e mi ero goduto ogni minuto di quelle quattro ore uscendo da teatro con un campionario di emozioni interiori che la Realtà Ordinaria non ci pensa neppure a dispensarti.
Come poteva accadere qualcosa del genere? E soprattutto, quali conclusioni potevo trarre da tale esperienza?
La prima conclusione che trassi era che dovevo approfondire la conoscenza di quegli esseri umani che facendo gli attori mi avevano emozionato anziché annoiato, infastidito o meramente intrattenuto. L'essermi innamorato di tutte le attrici non attenuò tale mia convinzione. Il cast femminile delle compagnie teatrali nostrane, infatti, anziché innamoramento di massa è solito generare nel mio spirito, e solo nei casi più eclatanti, commiserazione. Indifferenza e noia sono di norma più frequenti.
Socializzai quindi quella sera stessa e nei giorni seguenti con buona parte della compagnia, e poi tornai a rivedermi lo spettacolo nell'ultimo giorno di rappresentazione. Sì, avete capito bene: a tre giorni di distanza sono tornato a rivedermi quattro ore di Tre Sorelle di Cechov in rigoroso lituano.
La seconda volta è stata un'esperienza completamente diversa dalla prima. Stavolta lo spettacolo non mi è soltanto piaciuto, bensì mi ha addirittura estasiato. Tanto che dopo il primo tempo mi sono scoperto a dolermi del fatto che mi avanzavano solo due ore da godermi, e ad un'ora dal termine l'idea che me ne rimanesse soltanto una era fonte di purissima e tragica tristezza.
Io non sono particolarmente incline alle liturgie, ma stavolta compresi che avrei potuto assistere e riassistere a quello spettacolo tutti i giorni per molto tempo - per un'intera fase di vita. Quelle quattro ore di rappresentazione erano per me un nirvana nel quale mi sarei immerso con ineffabile piacere. Tutto ciò era sufficientemente strano da dover significare qualcosa di particolarmente significativo. Ma cosa?
Cosa ho percepito di così significativo in quella interpretazione teatrale delle Tre Sorelle di Cechov, considerando che non conoscevo né comprendevo la trama e neppure capivo le parole?
Ebbene, parafrasando Sherlock Holmes, quando di un mistero hai eliminato le spiegazioni impossibili, ciò che rimane, per quanto improbabile, va considerata una realtà della quale non puoi non tener conto.
Ciò che davvero valeva, nella rappresentazione teatrale alla quale ho assistito, era la pura rappresentazione stessa. L'ignoranza del testo e della lingua lituana, paradossalmente, anziché ostacolare la mia fruizione della rappresentazione, mi hanno consentito di non distrarmi dalla stessa, la quale era di indole assolutamente sublime. E qui torniamo ad un'osservazione precedente: se davvero importasse soprattutto la comprensione in termini verbali di quanto viene rappresentato, è più pura e intensa l'esperienza di leggersi il testo per conto proprio. Se fosse la trama ciò che più importa, un buon sceneggiato televisivo, oppure un film, o ancora la lettura stessa del testo, sono certamente modalità di fruizione preferibili. Per chi si accontenta delle immagini visive è addirittura sufficiente un video-clip. A chi basti il rumore va benissimo un concerto heavy metal. L'unica cosa che oggi a teatro ha senso esprimere, per un regista ed una compagnia teatrale, è la qualità del proprio spirito (quella cosuccia che coloro che se ne ritrovano un po' sanno benissimo cos'è e gli altri pazienza), e ben poco importa quale sia il testo nel quale codificare tale proprio spirito. D'altra parte, cosa mai può essere quella cosa in grado di estasiarmi che è avanzata, dalla rappresentazione alla quale io ho assistito, una volta tolte la storia che non capivo e le parole che mi erano incomprensibili, se non lo spirito umano di chi ha confezionato e interpretato il tutto?
Ciò che mi ha emozionato non è stato Cechov, che non capivo perché era in lituano. Era ciò che facevano e che soprattutto erano gli attori di fronte a me. Le Tre Sorelle di Cechov era il pretesto in nome del quale tali esseri umani, giocando a fare gli attori, riuniti da un grandissimo regista, hanno generato uno spirito collettivo e sinergico di consistenza ben superiore alla somma delle parti di spirito apportate da ciascuno di essi. Troppo metafisico? Occhio a non slogarvi il cervello.
D'altra parte, se pensaste che io stia dando fuori di matto e siete fra coloro che si piegano davanti ai pareri autorevoli, diventa utile menzionare che di Eimuntas Nekrosius e la sua compagnia già negli anni ottanta Arthur Miller disse che se questi attori con questo regista recitassero in inglese sarebbero consacrati da una fama mondiale. Invece, per il momento, i fortunati che si godano i frutti delle interazioni fra Andrius Bialobzeskis, Ausra Pukelyte, Dalia Micheleviciuté, Aldona Bendoriute, Viktorija Kuodyté, Vytautas Rumsas, Algirdas Laténas, Vladas Bagdonas, Juozas Budraitis, Michailas Jevdokimovas, Tauras Cizas, Laimonas Noreika, Jurate Aniulyte, Nadezda Gultiajeva, Faustas Latenas, Romas Treinys ed Eimuntas Nekrosius sono ancora pochini.
Bene, ma il titolo che ho dato a questo pezzo è "il futuro del teatro" e quindi sarebbe forse il caso di entrare prima o poi in argomento, anche in considerazione del fatto che in argomento già ci siamo da un po' anche se magari non si vede.
Mi sento infatti di integrare l'opinione di Arthur Miller con il parere azzardato che in futuro il fatto di non recitare in inglese, per le compagnie davvero in gamba, possa giungere a rivelarsi un vantaggio. Quale teatro più puro ed eccellente ci si può infatti immaginare di un teatro nel quale si trovi tutto ciò che basti senza il bisogno di comprendere né ciò che viene detto sul palco né la storia che funge da pretesto per la rappresentazione?
Quando ci piace una rappresentazione di Shakespeare nella nostra lingua non sappiamo mai con assoluta certezza se a piacerci è stata la qualità della rappresentazione oppure la qualità del testo di Shakespeare. Tranne nei casi (non infrequenti) nei quali la compagnia teatrale rovina palesemente con la propria rappresentazione disastrosa il povero Shakespeare (o altri), il gradimento del testo e quello della rappresentazione si fondono in un tutt'uno. In alcuni casi, la qualità della rappresentazione di una compagnia può essere inquinata dalla non adeguatezza di un testo. Supponiamo che nelle Tre Sorelle al quale io ho assistito con la soddisfazione che ho detto, le frasi verbali che io non comprendevo fossero tratte, anziché da Cechov e dintorni, dal Processo del Lunedì o da qualche altro container televisivo di luoghi comuni. Per le mie orecchie italiane, non avrebbe fatto alcuna differenza. Le mie sensazioni, catalizzate dall'interpretazione degli attori, non sarebbero cambiate. Avrei colto tutto il sublime che da cogliere c'era senza farmi influenzare dalle puttanate che le loro parole lessicalmente significavano. Eimuntas Nekrosius avrebbe potuto realizzare un eguale (o addirittura superiore) capolavoro, mettendo in scena esattamente ciò che ha messo in scena sostituendo però le frasi di Cechov con luoghi comuni calcistico-televisivi. Scenografia, costumi, trovate sceniche, espressioni e tonalità degli attori inalterate. Solo il testo, sostituito. Ebbene, per un non lituano non ci sarebbe stato modo di scoprire se anziché recitare Cechov gli attori stessero in realtà commentando le ultime partite del campionato di calcio lituano. Mi sorge infatti il dubbio se non possa davvero essere così! Chi ci dice che per tutte le quattro ore della durata delle Tre Sorelle in lituano gli attori in realtà non stessero genialmente commentando i risultati delle partite di calcio dell'ultima Domenica del campionato baltico? E noi lì a commuoverci per la nostra allucinazione di credere che essi stessero invece esprimendo profondissimi significati!
Diversamente, sono propenso a credere che se io, comprendendo il lituano, avessi seguito lo spettacolo senza poter evitare di capire che le frasi che gli attori dicevano in realtà erano banalità di tipo calcistico-televisivo, tutta la mia percezione del sublime se ne sarebbe andata a farsi friggere, e al massimo mi sarei fatta qualche effimera e grassa risata per le buone ricadute satiriche di tutto ciò. Per i primi dieci minuti. Poi non avrei più retto e sarei uscito da teatro. Non riuscendo a separare i significati verbali da quelli non verbali, il risultato sarebbe stato questo.
La conclusione che se ne trae ancora una volta è che la comprensione di quanto viene detto in scena a teatro distrae dalla percezione della rappresentazione a cui si assiste. Se il testo è buono e la rappresentazione è cattiva, regista e attori possono salvarsi (e di solito si salvano) dal sacrosanto naufragio del loro imbastimento. Se il testo è cattivo e la rappresentazione è buona, regista e attori incorrono probabilmente in un naufragio immeritato.
Essendo le cose come sono, non c'è da stupirsi che il teatro è oggi morto.
Tuttavia lo spettacolo di Eimuntas Nekrosius e le mie riflessioni a riguardo mi hanno convinto che dalla putrescenza del teatro in decomposizione possa benissimo rigenerarsi un teatro nuovo e vitalissimo. Può darsi che le Tre Sorelle di Nekrosius mi sarebbe piaciuto anche se avessi capito il lituano, tuttavia non posso prescindere dalla considerazione che lo spettacolo mi ha estasiato senza che verbalmente io comprendessi una parola. Tanto più che so benissimo che nel curiosissimo fenomeno della comunicazione verbale l'Equivoco è il monarca che regna supremo. Non esistono vocaboli che abbiano esattamente lo stesso significato per ciascuno di noi. Ognuno assegna ad ogni vocabolo le sfumature di significato che gli sono più familiari. Spesso tali sfumature divergono nel senso in misura abissale, la qual cosa è dimostrata dalla tipica incomunicabilità che ne consegue e della quale infatti gli esseri umani amano lamentarsi. Ciò che in questo senso è vero per i vocaboli è ancor più vero per i concetti. Il massimo dell'equivoco nell'uso dei vocaboli e dei concetti si ha quando uno sostenga che qualcosa sia bello e buono, ed un altro ribatta che la stessa cosa sia invece brutta e cattiva. Entrambi si riferiscono evidentemente allo stesso oggetto, ma altrettanto evidentemente hanno una ben diversa interpretazione dei concetti di bello, buono, brutto e cattivo. Eliminare da una rappresentazione teatrale l'inquinamento costituito dai concetti verbali può effettivamente rendere più pura e profonda e coinvolgente la comunicazione teatrale. Naturalmente, una tal cosa fatta men che benissimo non potrà che sfociare in qualche inutile porcheria.
E allora, ciò che oggi è una mia speculazione azzardata, potrebbe diventare una norma domani. In futuro, potrebbe affermarsi e divenire di moda (il fenomeno è già embrionalmente iniziato) il teatro in lingua straniera. Un giorno, solo gli zoticoni andranno a teatro a vedere nella propria lingua quei grandi classici che anche in futuro verranno incessantemente riproposti. I veri cultori del Teatro con la "T" maiuscola esigeranno invece di non capire mai una singola parola degli spettacoli che si recheranno a guardare, così da poter giudicare senza essere distratti dal testo la qualità della rappresentazione. Gli americani, che per tradizione non parlano lingue straniere, saranno privilegiati come pubblico, e svantaggiati come attori. I piccoli paesi con registi geniali come la Lituania avranno per intero il successo meritato.
Tutto ciò naturalmente riguarda e riguarderà il Teatro con la "T" maiuscola. Il grande pubblico, più a proprio agio con il teatro dalla "t" minuscola, garantirà ovviamente un sicuro futuro anche a quest'ultimo.
Dalle stelle alle stalle, quindi, prolifereranno a dismisura anche registi e compagnie teatrali convinti del fatto che basti rendere incomprensibile quanto venga verbalmente pronunziato in scena, per fare un teatro buono e moderno. Per ovvietà di cose, anch'essi saranno premiati da una buona fetta di pubblico, soprattutto se sostenuti dalla critica amica. Coloro che infatti si fregeranno del titolo di intellettuale essendoselo guadagnato in modo diverso da quello di avere evoluto pregevolmente il proprio pensiero, non distingueranno appropriatamente fra il teatro effettivamente valido e quello che si limiterà a mimare di esserlo, e riempiranno così i teatri sbagliati anche di più di quelli più pregiati.
Sotto le stalle, naturalmente, c'è ancora moltissimo spazio, e si riempirà tutto. Già oggi in Italia garantisce il tutto esaurito una compagnia teatrale che annoveri un presentatore televisivo o una valletta fra i propri attori e attrici protagonisti. Naturalmente, questa tendenza in futuro non potrà che affermarsi sempre di più. I teatri diventeranno così in misura crescente il tempio popolare nel quale si consumerà il rito liturgico dell'epifania del Mito Televisivo Incarnato. Gli spettatori-pellegrini affolleranno i botteghini per assicurarsi un posto in prima fila nella sala del Miracolo Garantito: ecco infatti che gli spettri umanoidi virtuali che dai televisori di casa hanno negli anni e per sempre invaso le loro menti di spettatori nati, finalmente ora appaiono anche con piena Realtà davanti ai loro occhi allibiti, fatti di carne come se fossero umani anziché divini, una santa apparizione che imprimerà nei devoti un ricordo indelebile, pochissimo importa cos'altro sul palco tali bipedi poi facciano e come.
Tutto ciò, è inevitabile supporlo, con tutta probabilità assumerà nel tempo ben pronunciate componenti sessuali, come in tutta la storia dell'umanità è accaduto per la maggioranza dei riti tribali. La crescita inflazionistica di emittenti televisive, infatti, preannunciata nei prossimi anni con l'avvento dei satelliti a canali digitali, e negli anni successivi con l'irruzione di Internet nella emittenza televisiva, cambierà radicalmente lo scenario attuale in una direzione che in parte possiamo provare a prefigurare.
Quando in Italia c'erano soltanto uno o due canali televisivi, le "star" che apparivano in video erano numericamente assai contenute e quindi prive di concorrenza. I vari "Mike Bongiorno", "Pippi Baudo" e compagnia bella sono divenuti personaggi imprescindibili dell'immaginario popolare perché quando sul santo video c'erano loro, c'erano loro e basta e tutti quelli che avevano la televisione accesa non potevano fare a meno di vederli e alla lunga memorizzarli per sempre. Oggi invece, dal momento in cui si accende la televisione in poi, c'è una miriade di opzioni compresa quella di guardarsi una qualsiasi delle migliaia di videocassette di tutti i generi che in qualsiasi istante ognuno si può affittare. Oggi, chiunque appaia in tivù, non è l'unico ad apparire in quell'istante. E' soltanto uno dei moltissimi. Anche apparendo quotidianamente in una trasmissione di grande ascolto, non ci si imprime più con l'efficienza di un tempo nella mente di tutti i telespettatori. Ce n'è sempre una buona percentuale che sta guardando qualcos'altro. Il successo televisivo di oggi è molto più arduo ed effimero di quello di un tempo. Se la Televisione è una chiesa che fino a vent'anni fa offriva poche divinità da poter adorare, oggi la proliferazione dei santi e dei miti televisivi ci ha portato ad un panteismo sfrenato che però rende instabile e precaria la permanenza nell'Olimpo di tutti i novelli dei freschi freschi di divinità.
Per questo motivo, già oggi è proficuo, per un'aspirante personaggio-mito televisivo, ricorrere ai più tribali artifizi per imprimere il ricordo di sé nella massa dei telespettatori distratti. E il sesso è per lontanissimo archetipo da sempre il più efficiente di tali tribali artifizi. E allora vediamo nei decenni le presentatrici e vallette spogliarsi tutte ogni anno di più, e talune di esse a volte dimenticarsi ad arte di indossare le mutandine o raccontare di essere state sodomizzate o ricorrere ad altri giochetti del genere. Parallelamente, sono sorte nicchie di utenza per coloro che si prestano a congiungimenti carnali effettivi nei cosiddetti film a luce rossa. Il ruolo della pornostar, inizialmente scomodo per una gran varietà di aspetti, è nel tempo divenuto sempre meno infamante, ovvero sempre più onorevole e ambito. Ex-pornostar "soft-core" sono già oggi a titolo pieno rispettabilissime divinità del Pantheon televisivo di massa, e già s'intravede analoga rispettabilità coinvolgere anche le pornostar più complete. Nel prossimo futuro, la trasgressività residua implicita nel sesso effettuato pubblicamente verrà del tutta assorbita dalla Normalità in continua trasformazione.
Perché ho effettuato queste digressioni?
Per rendere meglio fondate le mie seguenti estrapolazioni che di riflesso si pongono:
Il teatro del futuro, nel suo livello intellettualmente più basso ma popolarmente più appetibile e remunerativo, vedrà l'irruzione massiccia di accoppiamenti hard-core nel corso dello spettacolo. Per meglio competere con le decine di migliaia di concorrenti che le migliaia e migliaia di canali televisivi del futuro conterranno (lo sviluppo di Internet porterà probabilmente anche a milioni di canali - in pratica ognuno che lo vorrà potrà farsi da sé la propria emittente televisiva), gli aspiranti miti televisivi di entrambi i sessi dovranno ricorrere a tutte le tattiche possibili per reggere il confronto con i loro rivali. Il sesso è in assoluto ciò che di più muove le masse. Quindi possiamo ragionevolmente supporre che pur di imprimersi meglio nella memoria del proprio pubblico, o per procurarsi un pubblico se non lo si ha, vallette, presentatori ai margini della notorietà non esiteranno ad andare in tournée con il loro spettacolino di purissimo Shakespeare, Giulietta e Romeo, nel quale prima del dramma finale il sesso vero si sprechi. Nella storia del teatro che fra un secolo si insegnerà nelle Accademie di recitazione, gli odierni teatrini del sesso di Amsterdam verranno additati al pari del teatro di Plauto. E un giorno ancora più lontano, quando ormai si sarà persa memoria del tempo in cui il sesso dal vero non era faccenda di gusto, nello stesso Teatro di alto lignaggio i migliori registi del domani o piuttosto del dopodomani azzarderanno la sfida di assemblare capolavori in grado di non prescindere dai necessari accoppiamenti carnali di norma. Sarà quindi sorto un nuovo formalismo entro il quale l'ingegno umano ordirà armonie estetiche. L'arte di confezionare un capolavoro teatrale nonostante la necessità imprescindibile di attuare amplessi autentici nel corso dell'opera.
E per quel tempo, quando la memoria del sesso come trasgressione si sarà perduta, e solo i registi pigri ometteranno amplessi dai loro spettacoli, le nuove leve del teatro di più basso livello, per distinguersi ed emergere, sui palchi e nelle televisioni murali che nelle case sostituiranno le tappezzerie, volentieri inizieranno a includere, nelle loro rappresentazioni, tra un coito e l'altro, veri atti di lotta e violenza fisica senza finzione. Per meglio suscitare ricordi nel pubblico guardante. Sarà l'inizio di una nuova era.
Ma questo è un altro futuro ancora.
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