Il regista Antonio Margheriti, 72 anni, è morto la mattina del 4 novembre. Nato il 19 settembre 1930 a Roma, noto con lo pseudonimo di Anthony M. Dawson, era un maestro del cinema di genere. Aveva inizato la sua carriera negli anni '60 con film di fantascienza, ma aveva affrontato anche molti altri generi.
Ho avuto l'onore e l'enorme piacere di conoscere Antonio Margheriti nel dicembre 2000, a Trieste. Giovanni Mongini e io, ospiti della prima edizione del rinnovato festival, ce lo siamo coccolato per qualche giorno. Abbiamo iniziato chiamandolo "Maestro" e abbiamo finito col darci del tu; la mattina in cui è ripartito per Roma lo abbiamo abbracciato e baciato, ringraziandolo di essere un uomo tanto straordinario. Di una simpatia unica, una vivacità estrema, una modestia rara, e un'intelligenza vivacissima. L'esatto contrario dell'intellettuale snob, assolutamente genuino.
Ha diretto molti dei film che formano l'ossatura della cinematografia italiana di fantascienza, come Space Men, Il pianeta degli uomini spenti, I Diafanoidi vengono da Marte, I criminali della galassia: a parte il primo, che amava, definiva gli altri "i film del droghiere", buoni per pagare conti e poco più. Secondo lui. Personalmente, confesserò di prediligere soprattutto i suoi horror, titoli indimenticabili come La vergine di Norimberga o Danza macabra, ma di fronte a un genio multiforme, capace di arrangiarsi in maniera tanto creativa con due lire e coi modellini di missili comperati alla UPIM (sua precisa ammissione), mi levo il cappello comunque.
Dopo avere vissuto nel mondo delle sue immagini per tanti anni, ho potuto ridere e chiacchierare con lui solo per pochi giorni, ma mi manca già come il più caro degli amici.
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