Un tema ricorrente nella fantascienza sono le capacità medianiche di comuni oggetti tecnologici: un telefono, un citofono, un televisore, un computer e anche la radio. Il funzionamento di questi oggetti, molti di uso quotidiano, potrebbe in qualche modo superare le nostre capacità di comprensione? Senza rendercene conto noi esseri umani potremmo aver inventato macchine in grado di comunicare aldilà della nostra realtà?

Qualche tempo fa sono incappato in un curioso documentario del 2002 della RSI, la Radiotelevisione Svizzera. Protagonista della storia un pensionato di Grosseto, Marcello Bacci, radioamatore e appassionato di occultismo. Bacci, morto nel 2019 a 92 anni, sguardo vispo e sorriso sornione, sosteneva di essere in grado di captare le voci dei morti attraverso una comune radio a valvole.

La comunicazione avveniva attraverso le onde corte. Dal fruscio di fondo emergevano le voci dei defunti, metalliche, distorte, direttamente dall’aldilà. È interessante notare un dettaglio tecnico, inizialmente Bacci utilizzava una vecchia radio militare americana ma la scarsa qualità dell’audio l’ha convinto a optare per una radio “civile” a valvole (dettaglio importante, come vedremo in seguito), quelle con il telaio in legno ritrovabili oggi solo nei musei o nelle case degli appassionati.

Attorno a Bacci si era raccolta una piccola comunità composta da curiosi e parenti di defunti, tutti testimoni di questi esperimenti, seduti davanti alla radio in attesa di qualche segnale dai loro cari. Tra i curiosi c’era anche il tecnico di Bacci, nel documentario viene presentato come “Il sacrestano”, il quale faceva notare una cosa molto curiosa: le voci non avevano pause, era come se la respirazione non fosse necessaria per la loro emissione. In seguito, tornando sulla questione, un altro tecnico aggiungeva un ulteriore particolare orrorifico, le voci non sembravano prodotte da laringi umane.

Marcello Bacci in un fotogramma del documentario RSI
Marcello Bacci in un fotogramma del documentario RSI

Ma tornando alla piccola comunità di ascoltatori di “radio aldilà”, era chiaro il motivo di tanta attenzione. Le mamme cercavano di parlare con i figli prematuramente scomparsi, i vedovi con le mogli, i figli con i padri e via dicendo. A Grosseto, in uno stanzone tutt’altro che mistico, la potenza della radio sembrava aver risposto a uno dei desideri più antichi dell’essere umano: parlare con i morti. La tecnica, con il suo bagaglio fantascientifico, entra nel mito e diventa strada d’accesso al mondo ultraterreno, siamo nei dintorni di Orfeo ed Euridice, tanto per capirci.

Quei poveretti sentivano quel che desideravano sentire, è la prima spiegazione razionale a cui si pensa dopo aver visto il documentario. È importante dire che la metafonia o “fenomeno delle voci elettroniche”, non ha alcun riscontro scientifico ed è considerato il risultato della somma di suggestione e distorsioni sonore dovute alla strumentazione vintage (le radio a valvole). Tutto questo naturalmente vale nel mondo reale, nel mondo della fantascienza e del fantastico (quasi) tutto è possibile. È quel che accade in Poltergeist (1982) in cui presenze ultraterrene comunicano con i vivi attraverso un televisore “sintonizzato su un canale morto”, direbbe Gibson. Oppure nel (molto) meno riuscito White Noise – Non ascoltate (2005) in cui la moglie defunta del protagonista usa tv e radio per farsi sentire.

«Ci sono, – risponde una delle voci provenienti dalla radio di Bacci – sono qui davanti a te e io sono con te».

Non è quello che tutti noi vogliamo sentirci dire?