Un nuovo tipo di storia d’amore…
Su queste premesse Companion, scritto e diretto da Drew Hancock, si presenta al pubblico come un horror fantascientifico, nel quale si promette sangue e un po’ di erotismo. In realtà se il film parte da una situazione abbastanza nota, ovvero baita (seppur di lusso) in una zona remota di montagna, nella quale un gruppetto di amici è destinato a lottare per la vita, lo sviluppo successivo prende direzioni destinate a sorprendere il pubblico.
Ecco quindi che ci si sposta su un misto di thriller tecnologico, commedia, farsa e pochade, con un’alternanza di toni che talvolta sembra distonica, ma che tiene alta l’attenzione dello spettatore.
Si deve fare attenzione anche a collocarlo sbrigativamente nella fantascienza, perché di qui a poco forse non lo sarà più. Di certo non nella parte software. Di AI Companion c’è una vasta offerta sul mercato. Chatbot AI basati su complesse reti neurali, capaci di simulare dialoghi credibili da amica o amico, amante, consigliere, o quello che l’utente vuole, personalizzabili in ogni loro funzione, dall’aspetto alla voce, ai vestiti che indossano sia pure nel loro mondo virtuale. Ecco, si può immaginare che la protagonista di Companion, Iris (Sophie Thatcher) , non a caso Siri letto al contrario, sia l’hardware nel quale uno di questi software sia stato caricato.
La cronaca di questi anni di chatbot ci ha raccontato di sviluppi imprevedibili delle conversazioni, perché queste reti neurali sono programmate per assorbire quello che diciamo o scriviamo loro, per compiacerci, dirci sempre di sì in tutto. E questo porta la natura umana a fare e dire cose che non faresti o diresti con un essere umano, perdendo freni inibitori, rivelando cose di noi stessi che il sofware fa proprie, con conseguenza che talvolta sono state paradossali. Le “allucinazioni” delle AI non sono solo glitch del software, ma talvolta risposte a input complessi e contradditori.
I protagonisti di Companion, l’umano e la macchina programmata per “amarlo”, diventano quindi l’uno lo specchio dell’altro, perché Josh (un efficace Jack Quaid) rivela il suo io più profondo e Iris lo assorbe agendo con una programmazione che va oltre i suoi parametri. Un salto che però non appartiene al regno della fantascienza, ovvero non fa parte di quegli incidenti che rendono le macchine senzienti, ma è molto più realistico e vicino a quanto può succedere oggi realmente in informatica.
Non c’è quindi technobabble difficile da digerire in Companion, perché l’elemento tecnologico è familiare a quando abbiamo già oggi, sia pure in via di perfezionamento, tra chatbot, robot umanoidi e auto a guida autonoma. Non è il mondo di un lontano domani nel quale vivono i protagonisti, ma quello prossimo venturo, abusando di citazione.
A costruire quindi la narrazione con sviluppi non banali sono le dinamiche tra i personaggi, non solo Siri, pardon Iris, e Josh, ma anche le altre due coppie del film Eli/Patrick, rispettivamente Harvey Guillén e Lukas Gage, hanno qualcosa da dire e molto da rivelare, così come l’altra coppia, format dalla “bellona del gruppo” Kat e l’enigmatico businessman russo Sergey (Megan Suri e Rupert Friend).
La vicenda si muove molto bene con lo scontro di intenzioni dei personaggi, radunati nello stesso luogo con diverse aspettative sull’andamento del week-end, costretti a fronteggiare l’imprevisto.
La vera svolta è che il tutto diventa quindi la metafora di un rapporto "d'amore" del tutto tossico e sbilanciato, di una dinamica manipolatoria alla quale Iris reagisce.
Sul tema della consapevolezza del Sè da parte di un robot, Companion non vuole aggiungere nulla che non sia stato trattato, va detto. Non ha rivelazioni particolari, o geniali intuizioni su cosa sognino gli androidi, e ci si chiede sempre se in realtà quella che appare come una presa di coscienza del proprio stato non sia altro che una simulazione molto realistica. Anche il finale, e non dico altro, rimanda a tante opere sul tema, anche molto recenti. Tirando le somme, il film mantiene la promessa di 94 minuti di onesto intrattenimento, con un po' di spessore narrativo e dei personaggi.
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