A dispetto del nome, Venere non è un luogo poi così ameno. Benché sulle prime gli astronomi avessero considerato Venere come il pianeta del Sistema Solare più simile alla Terra, furono sufficienti le prime sonde degli anni '50 e '60 a infrangere quest'illusione. Con una temperatura media di quasi cinquecento gradi centigradi dovuta in massima parte alle conseguenze di un fortissimo effetto serra, causato a sua volta da una pressione atmosferica 90 volte più pesante di quella terrestre, l'ambiente venusiano è uno dei più estremi di tutto il Sistema Solare e, proprio per questo, nessuno si è mai sognato di considerare la possibilità che potesse ospitare la vita. Questo è tuttora valido per l'ambiente al suolo. Ma, secondo la ricerca condotta da una squadra di astrobiologi dell'Università del Texas (El Paso - USA), le nuvole a 50 km di altezza possiedono delle caratteristiche che potrebbero favorire la vita. In effetti a quella quota le nubi si trovano a una temperatura e a una pressione ragionevoli, rispettivamente di 70 °C e 1 atmosfera e ciò che ha spinto i ricercatori a considerare l'ardita ipotesi biologica è l'osservazione della loro composizione chimica. Innanzitutto i fulmini che si sprigionano nell'atmosfera e l'intensa irradiazione solare dovrebbero creare ingenti quantità di monossido di carbonio (CO) che invece, secondo le analisi delle sonde, si trova soltanto in tracce. Gli studiosi ritengono quindi che debba esistere qualche processo che tende a eliminarlo. Inoltre sono state trovate quantità non trascurabili di acido solfidrico (H2S) e anidride solforosa (SO2), ma queste due sostanze difficilmente possono convivere perché tendono a reagire rapidamente tra loro. Anche in questo caso i ricercatori ritengono esista una fonte che emette contemporaneamente queste due sostanze nell'atmosfera. Infine è stata trovata la presenza di solfuro di carbonile (CSO), una composizione chimica talmente difficile a prodursi per via inorganica che spesso è considerata proprio la cartina al tornasole della presenza di attività biochimica, essendo prodotta dal metabolismo di organismi unicellulari. Per spiegare questi fenomeni, i ricercatori texani hanno ipotizzato dunque la presenza di batteri che, unitamente all'idrogeno, con l'aiuto dei raggi solari, metabolizzano l'anidride solforosa e il monossido di carbonio per produrre solfuro di carbonile e acido solfidrico. Secondo gli studiosi questo processo potrebbe essere molto simile a quello dei batteri terrestri primordiali. L'unica perplessità è che sulla Terra lo sviluppo della vita fu incoraggiato dalla presenza di grandi distese d'acqua, mentre sembra quantomeno ardito ritenere che siano sufficienti delle semplici goccioline d'acqua in sospensione.