Negli ultimi anni sono usciti diversi studi e saggi sulla fantascienza femminile, spesso, ma non solo, anche sul rapporto tra fantascienza e femminismo. In alcuni casi si è trattato di opere ad ampio respiro critico, in altri di studi monografici o più specifici. A quest’ultima categoria va ascritto il recente Ursula K. Le Guin e le sovversioni del genere di Giuliana Misserville (Asterisco Edizioni, 2024, collana Allògene, pp. 220, euro 17), con una postfazione di Filomena “Filo” Sottile. Il saggio della Misserville, in particolare, è dedicato all’analisi del romanzo più noto della scrittrice americana, ossia a La mano sinistra del buio (già noto nel nostro Paese con il titolo La mano sinistra delle tenebre), pubblicato nel 1969 e vincitore sia del premio Nebula sia del premio Hugo.

Autrice del saggio Donne e fantastico. Narrativa oltre i generi (Mimesis, 2020), Giuliana Misserville si occupa di critica letteraria femminista e ha pubblicato saggi su Colette, Simone de Beauvoir, Marguerite Duras e Marie Susini. Da sempre appassionata di fantastico, con Amori infernali del 2011 (in Riscritture d’amore, a cura di Paola Bono) ha approfondito la recente narrativa italiana neogotica. Ha contribuito alla fondazione e diffusione della Società Italiana delle Letterate (SIL) di cui è stata Presidente nel biennio 2014-2015. Ha co-curato i volumi collettanei Isole. Confini chiusi, orizzonti aperti (2008), Morante, la luminosa (2015) e Il tempo breve: narrative e visioni (2019). Sulla rivista “Leggendaria” firma una rubrica sui giardini immaginari.

Il libro si apre con una ricca e dettagliata cronologia della vita e delle tappe della carriera dell’autrice de I reietti dell’altro pianeta. Un buon punto di partenza che mette a proprio agio sia il lettore avvezzo alla narrativa della Le Guin sia quello che la conosce poco.

Il primo capitolo ci introduce al romanzo e siamo già edotti dall’autrice che la parola genere nel titolo ha qui un doppio significato, quello più squisitamente letterario e quello legato alla sessualità e al ruolo sociale che ne deriva. Come scrive la Misserville: “La mano sinistra del buio è stato e continua a essere, come vedremo, un romanzo sovversivo e visionario, che agisce come una miccia e innesca le riflessioni sul genere e il sesso che si dipaneranno nei successivi decenni, intrecciando un dialogo serrato con il pensiero femminista e utopico”.

Il secondo capitolo ci dà conto sia dell’estrema difficoltà che la scrittrice ha incontrato all’inizio della sua carriera sia della feconda creatività che ha segnato il decennio 1966-1975, ma anche, e soprattutto, di come The Left Hand of Darkness (il titolo originale dell’opera oggetto del saggio) scaturisca anche nel corso di un decennio ricco di avvenimenti politici, sociali e culturali che ne hanno sicuramente influenzato l’atmosfera e la scrittura, dalla presidenza Kennedy alla guerra in Vietnam, dalla nascita della Pop Art ai primi fermenti del movimento LBGT, fino allo sbarco sulla Luna, che avviene nello stesso anno della pubblicazione del romanzo. Un legame tra il mondo reale e quello immaginario dalla Le Guin che la Misserville mette giustamente in evidenza.

In principio era Orlando, il terzo capitolo, mette a fuoco una delle tematiche fondamentali del romanzo, ossia la destrutturazione della visione di genere divisa in maschio e femmina, e, in particolare, attraverso la figura dell’androgino. Da qui il paragone, quanto mai appropriato, con l’Orlando (1928) di Virginia Woolf. La biografia immaginaria della Woolf è il romanzo per eccellenza in cui viene decostruito il binarismo di genere (la dicotomia maschile/femminile) a favore di una sorta di fluidità dei generi sessuali. Nel romanzo della Woolf, il protagonista Orlando, nato uomo e vissuto come tale fino all’età adulta ai tempi della regina Elisabetta I in Inghilterra, dopo aver vissuto vari anni in Asia si risveglia donna, dopo sette lunghi giorni di sonno. Nel romanzo della Le Guin, invece, attraverso il personaggio di Genly Ai osserviamo l’alieno Estraven che è in Kemmer, il periodo sessualmente attivo dei gheteniani, perché gli abitanti di Gheten possono assumere, durante la loro esistenza, alternativamente caratteri più maschili o caratteri più femminili.

Qui la Misserville non nasconde le critiche delle femministe che la Le Guin ricevette all’epoca dell’uscita del romanzo proprio per la figura androgina del suo personaggio, visto più come un’estensione del maschile, ma non c’è dubbio che La mano sinistra del buio è stato un passaggio fondamentale per la messa in discussione della dicotomia maschile/femminile. Non si può negare il suo influsso, ad esempio, su un altro romanzo successivo, come The Female Man (1975) di Joanna Russ o sulle riflessioni filosofiche di Donna Haraway contenute nel suo saggio A Cyborg Manifesto (1985).

Nei capitoli successivi, la Misserville mette in luce anche la difficoltà della Le Guin a far pubblicare un romanzo, o anche un racconto, in cui è protagonista una donna, una problematica avvertita anche da Joanna Russ, in un periodo in cui la science fiction americana era incentrata su eroi maschili, bianchi e occidentali. A tal proposito, la Russ conierà proprio l’idea che la letteratura al “centro è morta e sepolta”, intendendo come centro proprio quella narrativa scritta da uomini, bianchi e occidentali.  

L’autrice di Ursula K. Le Guin e le sovversioni del genere continua l’approfondimento del romanzo della scrittrice americana sottolineandone il suo posto in un ideale corpus di opere sullo stesso filone tematico, sia al di dento della fantascienza sia al di fuori. Non mancano approfonditi riferimenti ad archetipi presenti nell’opera della Le Guin, come il viaggio e il ritorno a casa, ma anche a tematiche quali il ruolo della natura e dell’uomo.

Arriviamo così al tema più importante del saggio, ovvero l’ancorare La mano sinistra del buio alla fantascienza queer, ossia all’inserimento di tematiche gay, lesbiche, bisessuali o transgender nella storia di opere di science fiction. Qui l’autrice del saggio mette in relazione La mano sinistra del buio con romanzi di altre autrici che sono arrivate sulla scena letteraria molto dopo la Le Guin. Tra queste ci sono scrittrici cosiddette mainstream, come Charlie Jane Anders, o più squisitamente fantascientifiche, come Anne Leckie, ma passando anche per autrici che si pongono un po’ nel mezzo di queste due aree letterarie, come è nel caso di Jeanette Winterson. In particolare, nel caso della Leckie, la Misserville analizza la trilogia di “Imperial Radch”, formata dai romanzi Ancillary Justice (2013), Ancillary Sword (2014) e Ancillary Mercy (2015), in cui vengono messi in luce argomenti quali la fluidità dell’identità, la presenza di personaggi lgbtq e non bianchi, precise scelte linguistiche e, in definitiva, l’appartenenza alla fantascienza queer.

L’ultimo capitolo, dal titolo E se il Grande Romanzo (Americano) fosse stato scritto da un’autrice di fantascienza?, lo leggiamo personalmente come una stimolante provocazione, laddove per la stessa natura con cui è stato canonizzato il Grande Romanzo Americano, le cui regole principali sono spiegate dall’autrice del saggio nelle prime pagine del capitolo, nessun romanzo di fantascienza, sia scritto da uomini sia donne, potrà mai essere classificato come tale. Tuttavia, è condivisibile la denuncia della Misserville in merito al fatto che quando la critica è andata alla ricerca del Grande Romanzo Americano sono state davvero esigue le donne/scrittrici prese in considerazione quali possibili candidate. La stessa Le Guin, come ci raccontano le pagine di Ursula K. Le Guin e le sovversioni del genere ha ricevuto a ottantacinque anni il premio National Book Award alla carriera, uno dei principali premi letterari americani. Un riconoscimento tardivo, ma in ogni caso un riconoscimento ricco di significato per tutta la fantascienza americana. Inoltre, è interessante come alcune tematiche introdotte dalla scrittrice americana siano in alcuni casi compatibili con il Grande Romanzo Americano, in altri palesemente contrari. Si veda a tal proposito il discorso sulla destrutturazione del concetto di nemico da parte dell’autrice americana. Del resto a noi basta sapere che, come la Misserville dimostra in modo coerente con il suo saggio, La mano sinistra del buio è un Grande Romanzo. Punto e basta.

In definitiva, il saggio di Giuliana Misserville è ottimo, sia perché analizza La mano sinistra del buio in un’ottica originale, la teoria queer, sia perché rappresenta un buon punto di partenza per chi voglia approfondire la narrativa della scrittrice americana.