Il recentissimo attentato a Donald Trump mi ha fatto ricordare un saggio di qualche anno fa, che raccontava tutte le volte che un presidente degli Stati Uniti è stato oggetto di attentati, riusciti e no. Il libro è stato pubblicato da Armenia nel 1980, in una collana dedicata all’insolito, che parlava di archeologia misteriosa, ufologia, cartomanzia, pratiche medianiche e via discorrendo. Questa scelta ha penalizzato il libro, che meritava ben altra considerazione: si vede che ai tempi l’editore non aveva a disposizione un’altra collana dove collocarlo. Si intitola La serie maledetta (Armenia ed., 1980) ed è stato scritto da Pierfrancesco Prosperi. Architetto, grande appassionato di storia, Prosperi è uno scrittore che opera fin dagli anni Sessanta e nel corso di una lunghissima carriera ha prodotto racconti, saggi, articoli, testi di divulgazione scientifica, romanzi e sceneggiature per fumetti (per esempio per conto di Mondadori sceneggiava Topolino). Ha spaziato tra i generi più vari: dalla fantascienza al fantastico, dal poliziesco allo spionaggio. Recentemente ha raggiunto il successo la sua serie dedicata all’agente italiano dei servizi segreti Leone, pubblicata regolarmente su Segretissimo. Il genere da lui preferito sembra essere l’ucronia, dove la sua preparazione di storico dilettante ha modo di emergere in pieno. Che cosa sarebbe successo se Hitler non fosse morto? E se Mussolini non fosse entrato in guerra? E se dopo l’assedio di Vienna l’Impero Ottomano avesse conquistato l’occidente e imposto a tutti la religione islamica? E se la Jihad Islamica non fosse stata fermata? E se Ettore Maiorana non fosse scomparso? E se Garibaldi avesse accettato l’invito di Lincoln a schierarsi con l’esercito dell’Unione? Sono tutte domande a cui troverete la risposta nei suoi romanzi. Tra gli autori che conosco Prosperi è uno dei più qualificati a trattare il tema degli attentati ai presidenti USA. Solo diversi anni più tardi, lo scrittore americano Robert Silverberg (anche lui appassionato di storia e archeologia) ha scritto un libro sullo stesso argomento, ottenendo un grande successo, superiore a quello di molti suoi romanzi. Le idee politiche e il tipo di cultura di Prosperi sono lontanissime dalle mie, tuttavia gli riconosco una grande preparazione e competenza, oltre che la bravura di scrittore, tant’è che ho avuto l’onore di scrivere la prefazione a uno dei suoi libri (con il piccolo saggio Canoe, Conestoga e Cosmonavi, incluso nel romanzo del 2016 I figli della Galassia). Purtroppo La serie maledetta non è più ristampato da molti anni. Credo che esista ancora una versione in e-book di un altro editore risalente al 2012, ma forse gli ultimi avvenimenti potrebbero spingere l’editoria a recuperare quel saggio e magari invogliare l’autore ad aggiornarlo.
In effetti la domanda posta dal libro è di quelle intriganti, anche se non potrà avere una risposta certa: «ogni vent’anni, inevitabilmente, il presidente degli Stati Uniti muore in carica – perché?»
In realtà i presidenti USA uccisi nel pieno del loro incarico sono solo quattro e tutti, tranne l’ultimo, nel Diciannovesimo Secolo: Abraham Lincoln – 1865, James Garfield – 1881, William McKinley – 1901 e John Fitzgerald Kennedy – 1963. È un numero che costituisce pur sempre un primato mondiale, ma quelli che hanno subito attentati, oppure sono morti in circostanze non chiare mentre governavano, sono molti di più. È una sorte che accomuna democratici e repubblicani e che include, tra gli altri, Franklin Delano Roosevelt, Harry Truman, Theodore Roosevelt, Gerald Ford e Ronald Reagan. Si sa che la storia, antica e recente, è piena di tentativi criminosi a danno dei capi di stato o dei tiranni, a partire da Giuditta e Oloferne, o da Giulio Cesare e Bruto se preferite, ma certo nel ventesimo secolo questa pratica si è moltiplicata. Non a caso il secolo è stato definito “breve”, perché si ritiene abbia avuto inizio nel 1914 proprio con un attentato: quello di Sarajevo, che portò alla Prima Guerra Mondiale. Dittatori come Stalin o Hitler di attentati ne hanno subiti a dozzine, ma sono riusciti sempre a cavarsela, morendo poi in circostanze diverse. Ma per gli americani quello di sparare al loro capo sembra essere una specie di sport nazionale. È come se ci fosse una parte della nazione a cui la democrazia parlamentare e il cambio al vertice ogni quattro anni risultano indigesti. In quel paese quasi tutti possono detenere legalmente un’arma (anche da guerra) perché è un diritto costituzionalmente garantito, scritto a chiare lettere nella dichiarazione d’indipendenza: «il diritto di comperare e vendere armi è il diritto di essere liberi». Dopo il Primo Emendamento della costituzione, che garantisce la libertà di parola e di religione, il Secondo Emendamento è quello sul possesso di armi. E quindi prima o poi l’attentato ci scappa. Inserire una simile dichiarazione nella carta fondativa di una nazione è un unicum, che merita di essere spiegato meglio. Prima della ribellione, il Nord America era in possesso degli Inglesi, che non erano molto favorevoli a concedere ai coloni l’uso delle armi. Erano quasi tutti ribelli immigrati dall’Irlanda e dalla Scozia, oppure francesi costretti ad accettare un nuovo padrone, oppure gente deportata per debiti: concedere loro armi efficaci non era molto salutare per sua Maestà Britannica. Ma così i coloni non potevano difendersi dagli indiani e persino andare a caccia diventava un problema. Ed ecco perché l’uso libero delle armi è così profondamente radicato nella cultura americana.
Qui entra in gioco la mia amata fantascienza, che può tornare utile per approfondire alcuni aspetti. Comincerei dalla lettura di un romanzo breve di Robert Sheckley: Un biglietto per Tranai (Ticket to Tranai, 1955). Su questo strano pianeta, che non sarebbe dispiaciuto a Voltaire o Swift, i politici che assumono ruoli di comando devono indossare un collare esplosivo. Se i politici di Tranai compiono azioni che scontentano i loro elettori, questi possono inviare un impulso al collare, finché si arriva a un numero di voti tale da innescare l’esplosione. Altro che la Spada di Damocle!
Uscito più o meno negli stessi anni, segnalo anche il romanzo di Wilson Tucker Alla ricerca di Lincoln (The Lincoln hunters, 1957) in cui ci sono due fazioni in lotta per cambiare il futuro attraverso i viaggi nel tempo. Da settecento anni nel futuro giunge una fazione che vuole rintracciare il discorso perduto di Abramo Lincoln e tenta di far sì che la storia continui a svolgersi come la conosciamo, mentre un’altra fazione cerca di fermare John Wilkes Booth prima che uccida il presidente. Accade qualcosa di simile anche ne Il sogno di Lincoln (Lincoln’s dream, 1987) di Connie Willis, anche se questa volta il viaggio indietro nel tempo avviene solo tramite la comunicazione telepatica. È del tutto naturale che la guerra civile americana e la morte di Lincoln abbiano ispirato molti scrittori americani, dentro e fuori la fantascienza, ma non è nulla a paragone dell’uccisione di John F. Kennedy e di suo fratello Robert. Probabilmente, la spiegazione migliore l’ha fornita il regista Oliver Stone, parlando del suo film JFK. Stone ritiene che, oltre alla uccisione del presidente, a Dallas si sia verificata una sorta di perdita dell’innocenza: dopo di allora, l’America non ha più potuto restare la stessa.
Non starò qui a indicare i numerosi libri d’inchiesta e i reportage sull’argomento. Ognuno può scegliere quello più adatto ai suoi gusti, da quello più complottista a quello che nega l’esistenza stessa del complotto. Mi limiterò a suggerire qualche lettura di narrativa, tra quelle che ho trovato più significative.
L'eroe della Manciuria (The Manchurian candidate, 1959) di Richard Condon. In questo romanzo un sergente americano rientra dalla Corea, dopo aver subito il lavaggio del cervello da parte dei comunisti; i Nord Coreani lo hanno trasformato in un sicario telecomandato, per un attentato politico che potrebbe sovvertire la situazione degli Stati Uniti. Questa volta l’attentato mira alla First Lady, ma il romanzo, essendo stato pubblicato solo tre anni prima dell’attentato di Dallas, ha impressionato tutti per essere stato profetico nell'anticipare l’omicidio Kennedy del 1963. Per quanto criticato per la fantasiosa rappresentazione delle tecniche di brainwashing, il romanzo ha ricevuto ben due versioni cinematografiche, una con Frank Sinatra e una più recente con Denzel Washington, che testimoniano la sua capacità di impressionare lo spettatore con la sua acuta e desolante predizione.
La zona morta (The dead zone, 1979) di Stephen King. Il romanzo ha un protagonista con doti di preveggenza, ma è esso stesso capace di profezie. Infatti nella prima parte il professor John Smith rimane a lungo in stato di coma: cosa che è accaduta allo stesso King vent’anni più tardi. Quando si risveglia ha acquisito la capacità di vedere il futuro e il passato delle persone con cui viene in contatto. Aiuta molta gente e riesce addirittura a fermare un pericoloso serial killer, ma poi si imbatte nel nuovo candidato alla presidenza degli USA: un personaggio ambizioso, aggressivo e pieno di idee para – naziste, che però è molto bravo a convincere le folle a sostenerlo e a votare per lui. La sua propaganda ricorda da vicino l’attuale slogan MAGA (make America great again). Nello stringergli la mano, il precognitivo capisce che, una volta al potere, scatenerà la guerra finale e incomincia a studiare un modo per fermarlo. Si compera un’arma e studia un attentato. Il finale, ovviamente, non si racconta, ma la somiglianza con la situazione attuale mette i brividi. Giova ricordare che King è considerato un maestro nella narrativa horror, ma è sicuramente molto bravo anche nelle storie di fantascienza.
24/11/1963 (11/22/1963, uscito nel 2011) di Stephen King. Altro capolavoro fantascientifico del maestro dell’orrore, questo romanzo racconta di un uomo comune di oggi, che si imbatte in una falla temporale, in grado di riportarlo al 1963. Come l’armadio delle Cronache di Narnia o la tana di coniglio di Alice, la falla dello spazio – tempo lo porta sempre nello stesso posto e nella stessa epoca. Resosi conto che questo gli permetterebbe di impedire l’assassinio, il protagonista risolve altre questioni ma soprattutto cerca di cambiare la storia. Inutile dire che la storia stessa sembra refrattaria a ogni cambiamento, come se facesse una sorta di resistenza passiva. Come finirà? Non posso anticipare il finale, che è tutto da gustare, ma segnalo una curiosità che testimonia quanto l’episodio storico in sé sia controverso: King sostiene nella post – fazione di essersi convinto che l’unico colpevole è stato Lee Harvey Oswald, mentre la moglie Tabitha Hill è convinta che fu un complotto gestito ad altissimi livelli.
Il presidente in Cina (1976) di Pierfrancesco Prosperi. Il maestro italiano delle ucronie ha colpito ancora. In questo racconto, uscito sulla mitica rivista Robot, l’autore della Serie Maledetta ipotizza un universo parallelo in cui Kennedy non è stato ucciso a Dallas e ha continuato a governare. Purtroppo, mentre si reca in Cina per mettere fine alla guerra del Viet – Nam (cosa che nella nostra sequenza temporale farà il suo successore Nixon) viene comunque ucciso.
La casa di pietra (In the Stone House, 1992) di Barry N. Malzberg. Nel racconto si prova a ipotizzare che cosa sarebbe accaduto se il fratello maggiore di John, Robert e Ted non fosse morto in giovane età e fosse diventato il candidato ideale alla presidenza degli Stati Uniti, sotto la spinta del padre Joseph. L’opera fu richiesta a Malzberg, assieme ad alcuni altri autori, da Mike Resnick, che compilò un’antologia di 21 possibili alternative di quel momento storico dall’opportuno titolo di Alternate Kennedys. Purtroppo nessun altro di quei racconti è arrivato in Italia e l’antologia intera non è mai stata tradotta, che io sappia. Malzberg aveva composto anche un romanzo sul medesimo argomento: The destrucion of the temple (1974), ma anche questo non è mai stato tradotto. Raccontava il complotto per uccidere Kennedy attraverso la tecnica del collage, alternando i punti di vista dei protagonisti, inclusi i tiratori scelti che dovevano assicurarsi che Oswald non fallisse il bersaglio e un poveraccio senza fissa dimora chiamato a impersonare il presidente. Dalla trama emerge che ci sono numerosi universi paralleli e in ognuno JFK viene ucciso, ancora, e ancora, e ancora…
L'assassinio di John Fitzgerald Kennedy visto come una gara automobilistica in
discesa (The Assassination of J. F. Kennedy as a Downhill Motor Race, 1966) di James Graham Ballard. Ispirato a un noto racconto di gusto surrealista di Alfred Jarry, questa breve narrazione descrive il complotto per uccidere il presidente e il tiro incrociato a cui fu sottoposto, come se fosse appunto una gara di auto. Nel folgorante incipit dice: «Oswald era lo starter. Kennedy partì subito male». Dietro il ghigno sarcastico, si intuisce l’indignazione dell’autore per un gesto che ha, letteralmente, tolto l’innocenza non solo all’America ma a tutto il mondo occidentale.
Manoscritto trovato in una macchina del tempo abbandonata (MS Found in an Abandoned Time Machine, 1973) di Robert Silverberg. È un attacco feroce a un sistema che ancora perdura, condotto da un autore storicamente molto preparato e di solito molto più moderato nelle sue convinzioni. In questa storia, un crononauta torna agli anni Sessanta e si rende conto che tutti i grandi omicidi politici hanno “stranamente” caratteristiche comuni: un assassino apparentemente isolato e dalla mente instabile, un’uccisione sotto gli occhi di tutti senza che nessuno intervenga, l’eliminazione “mirata” di chi stava cercando di apportare grandi cambiamenti. Già, perché nello stesso decennio le vittime non sono solo John e Robert Kennedy, ma anche Martin Luther King, Malcom X, i capi della rivolta dei Sioux Oglala del 1973 e così via.
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