La campana chiamava a raccolta la gente. I contadini, con forconi e tridenti, erano accorsi al richiamo. Il banditore, con un rullo di tamburo, annunciò l'arrivo del messo del Barone. Arrivò a cavallo, seguito da due scudieri. Con il volto serio e preoccupato salì sul palco, lo stesso dove venivano impiccati gli assassini, e, senza proferire parola, indicò un posto lontano, alla sua sinistra.

Dalla piazza del paese si vedeva la pianura dove, in quel momento, era in movimento una gran nuvola di polvere.

I villici non ebbero dubbi, erano i Saraceni.

Sarebbero arrivati dopo qualche ora. C'era solo il tempo per raccogliere poche cose, prima di arroccarsi nel fortino e sperare nella buona sorte.

Ognuno corse verso casa, gridando ordini a figli e mogli. La confusione era indescrivibile.

Alcune case erano lontane dal paese. Nessuno li avrebbe avvisati, abbandonati alla loro sorte. Ma bisognava pensare alla maggioranza, pensare alla salvezza del Barone e della sua famiglia.

Qualcuno disse di voler scappare, senza aspettare l'arrivo dei barbari, perché tanto non c'era speranza di salvarsi, sarebbero morti tutti sgozzati.

Erano giorni che giungevano notizie, dai paesi costieri, delle scorrerie degli invasori, ma nessuno si sarebbe aspettato che si spingessero tanto lontano dal mare, che arrivassero fin sulle montagne più interne ed impervie. Eppure erano lì. Dovunque erano passati avevano seminato morte e distruzioni, radendo al suolo interi villaggi e razziando tutto quanto fosse possibile.

Nei giorni precedenti, gli uomini del paese avevano anche discusso l’eventualità di un attacco diretto, ma tutti, come accade di solito ai giovani gradassi, avevano escluso ogni possibilità di sconfitta. Era convinzione comune che ognuno di loro sarebbe stato capace di far fuori almeno cento infedeli. Tutti erano convinti che gli altri paesi avessero avuto la peggio, perché impreparati ed incapaci nell’arte della guerra. Ma quello era il loro paese, il migliore di tutti, ed i giovani, poi,non avevano rivali al mondo.

Ora il momento di dimostrarlo era venuto ma, come succede quando qualcosa ritenuta remota eventualità accade, la realtà risultò ben diversa da quanto immaginato.

I giovani leoni non avevano più, stampato sul viso, quel sorriso spavaldo e sprezzante dei giorni precedenti. Erano tutti visibilmente preoccupati ed intenti a correre, di qua e di là, per recuperare poche e misere cose, prima di mettersi in salvo dietro le mura robuste del castello.

Il terrore era ormai dilagante; le donne si erano radunate nella cappella del fortino e, insieme a frati e diaconi, intonavano canti sacri e recitavano preghiere.

I soldati erano indaffaratissimi sui merli, nell'approntare catapulte, faretre, archi, lance, spade, alabarde, balestre ed anche pentoloni, dove era stato versato dell'olio, che, di lì a poco, sarebbe diventato bollente.

I contadini arrivavano con i carri che abbandonavano all'esterno delle mura, insieme agli animali. Solo persone, viveri ed armi avevano libero accesso al ponte levatoio.

La campana continuava a suonare mentre il polverone, laggiù nella valle, era sempre più vicino.

Avrebbero impiegato ancora qualche ora per risalire il monte ma sarebbero arrivati.

Le nuvole di fumo che s'intravedevano salire dalla piana facevano presagire che il bagno di sangue era già cominciato. Laggiù quei poveretti se li erano visti piovere addosso all’improvviso. Forse avevano anche sentito il lontano suono delle campane ma cosa avrebbero potuto fare?!

Guglielmo, giovane ventenne, era uno di quelli che, giorni addietro, aveva fantasticato sulle sue gesta eroiche, in caso d'attacco straniero, e la sua esaltazione aveva raggiunto il massimo quando, in piazza, era passata la ragazza di cui si era invaghito. Per farsi notare aveva anche alzato la voce e improvvisato una lotta, con un invisibile aggressore, che aveva fatto sorridere tutti.

Lei si era accorta di questo suo interesse da tempo e, tre giorni prima, lo aveva guardato intensamente e, senza distogliere lo sguardo, gli aveva sorriso, facendogli così capire, inequivocabilmente, che accettava la sua corte.

In quel momento stava entrando, con la madre, nel fortino. Furono tra gli ultimi ad entrare. Il portone venne sprangato, il ponte levatoio alzato e tutti gli uomini abili presero posto sugli spalti.

Un silenzio agghiacciante rese ancora più grave la tensione. Furono minuti interminabili. Si poteva sentire il fischio della leggera brezza che s'incuneava tra gli alberi della foresta. I nemici erano proprio lì.

Avevano tutti creduto di dover affrontare un’orda di barbari; in realtà, avevano di fronte un vero e proprio esercito, con divise, armi e macchine da guerra.

I Saraceni, con i loro strani scudi, guardavano tutti verso il castello.

Improvvisamente, l'urlo d'assalto.

Furono quaranta minuti di terribile battaglia. Il sangue era dappertutto e la speranza di poter difendere la roccaforte svanì in breve.

Gli invasori entrarono. Con crudeltà inumana ammazzavano chiunque trovassero a portata di mano.

Guglielmo si batté con coraggio e determinazione ma, quando si accorse che il numero di nemici era sproporzionato alle sue forze, corse in chiesa; la ragazza era lì, insieme alle altre donne.

Non le disse niente, la prese per mano e la portò via con sé, sul campanile della chiesa, in un ultimo tentativo di salvarla.

Salirono fin su, mantenendosi, ben stretti e vicini al muro, sulla scala a chiocciola che portava in cima, evitando, per quanto possibile, di farsi vedere dalla sacrestia.

Quando si fermarono, dopo duecento gradini, avevano il cuore in gola ed il respiro affannoso.

Guardarono, dall'alto, lo spettacolo orribile delle donne che, pur implorando pietà, in ginocchio, venivano crudelmente sgozzate.

Improvvisamente un infedele tirò la corda che muoveva la campana.

Il batacchio colpì violentemente il bronzo ed il suono che ne scaturì fu fortissimo; la vibrazione successiva fu tanto intensa che i due giovani si sentirono svenire, attratti in un gorgo che girava… girava… girava.

Al risveglio Guglielmo pensò di essere morto e di trovarsi in Paradiso; non erano più nella torre campanaria… era una Torre di fattura diversa… molto complessa… le pareti non avevano mattoni… non una fenditura… non una giunzione… non era di pietra. 

Si guardarono stupiti e si diressero verso quell'unica apertura sull'esterno.  Non era più visibile la pianura, non una casa, né una persona… Si trovavano in una torre su di un enorme masso sospeso nello spazio… tutt’intorno solo stelle e il buio profondo dell'Universo.

Si strinsero forte. Dall’alto della scala comparve un uomo molto anziano, con i capelli tutti bianchi. Un uomo dal volto fiero e duro ma dallo sguardo buono.

Disse di essere il Guardiano della Torre al Confine del Tempo e che, presto, li avrebbe rimandati là, da dove erano venuti.