Soffocati dalla nube tossica dei cieli della colonia Jackson’s Star fuori dal sistema solare, un gruppo di ragazzi sogna di addormentarsi in una capsula criogenica e svegliarsi all’alba di un pianeta assolato Yvaga. Il duro lavoro “forzato” nelle miniere per la Weyland-Yuntani Corporation che prometteva un futuro assicurato non ha portato i risultati sperati.

I protagonisti della storia sono Rain Carradine (Cailee Spaeny) e il suo difettoso “fratello” sintetico Andy (David Jonsson). Date le preziose capacità di quest’ultimo, i due senza prospettive vengono coinvolti da un gruppo di amici a prendere parte ad un piano sconsiderato. Li aspetta la paura e l’ignoto verso una meta dove “nessuno potrà sentirli urlare”.

La creatura organica disegnata da H.R. Giger portata alla vita nel 1979 con il film Alien diretto da Ridley Scott anche (tra gli altri) da Carlo Rambaldi agli effetti speciali, continua a tormentare le fantasie di noi esseri umani imperfetti che non possiamo che inchinarci davanti a quel frutto del genio e della natura che talvolta viene sfruttato a dovere (lo ha fatto anche James Cameron, con Aliens Scontro finale nel 1986) e altre volte viene ridotto a giocattolo, simbolo della cultura pop che lo ha eletto a icona.

Il franchise conta quattro film portanti, due crossover e due prequel. Alien: Romuls è diretto da Fede Álvarez che sfacciatamente lo ambienta subito dopo gli accadimenti del primo film. Risvegliare il mostro porta il regista a soffermarsi sulle polveri la luce e i resti di quello che era, partendo da un soggetto che può anche fungere da punto di partenza per chi non ha mai visto altro.

Il cardine che trasporta tutto non è solo la nostalgia ma anche una eco delle altre incarnazioni del soggetto dal videogioco Alien Isolation all’atmosfera rarefatta dell’originale  dove si crea uno scenario incredibile. Abbiamo diverse situazioni che rendono l’aspetto claustrofobico, un percorso tematico assimilabile come livello di dettaglio e immersione a quello delle ride dei parchi Disney (non si intende in senso negativo). Non sorprende che per gli effetti speciali pratici si siano rivolti ai Tippet Studio, le eccellenze del settore guidati dal “VFX Master Phil Tippett” in persona che a suo dire ha fatto di questo mestiere una ragione di vita. Niente fa più “paura” di uno Xenomorfo reale, che attende nell’ombra, sbava, corre e perde vero acido dalle ferite.

Cosa non ha invece funzionato? Sembra che ci sia un modello uniforme della nuova Hollywood che potrebbe far storcere il naso a chiunque abbia una certa familiarità con i classici del passato, i sequel dove la dinamica segue metaforicamente sempre questo schema: i nipoti vanno a giocare nella soffitta dei nonni e trovano cose che non dovrebbero toccare (annovero come esempi Star Wars: The Force Awakens, Jurassic World e Ghostbusters: Legacy) e questo non fa eccezione. La differenza (con i titoli citati) è che qui la riproposta è a danno degli stessi protagonisti che vengono puniti dalla loro curiosità.

Soffermandoci su di loro è doveroso notare come Andy sia stato reso “tenero”: l’androide infatti perde qualche colpo nel rispondere e questo difetto, crea più empatia con lo spettatore di quanto faccia la protagonista stessa (anonima) che sembra l’unica a essere protetta da un “plot armor” di convenienza. Il resto dell’equipaggio potenzialmente “expendable” non è interessante, ma in fondo non doveva esserlo: si gioca a indovinare a chi sopravviverà a questa carneficina con personaggi che non creano particolare simpatia, come nei film di genere di massa.

L’horror si sposa con la fantascienza ancora, con le tematiche che rendono così affascinante Alien stesso: la nascita, la fecondazione, la sopravvivenza, la natura, la scoperta, la fuga. Con un mix di coatta e spudorata modernità imparata su “videogiochi e riviste” e sense of wonder anni ‘80,  Alien: Romulus è un ibrido ponte di idee, non perfetto certo, ma coraggioso e “non offuscato da rimorsi, o illusioni di moralità.”