Su Fantascienza.com del 29 aprile 2023, nel suo articolo Il paradosso della toilette, Silvio Sosio segnala un corto (20 minuti) di fantascienza intitolato Stalled (2022) scritto e diretto da Matthew Black. Lo short movie (ne ha fatto una bella recensione Tony Di Criscito su “Ciak – si recensiona”, 30 novembre 2023) si fa notare per diversi motivi, tra cui idea, fotografia, regia, montaggio e recitazione, con Jacob Daniels nei panni del protagonista Pete, un dirigente privo di scrupoli che non sopporta nessuno, compreso se stesso (a ragione).

Questo articolo non è una recensione, ma un’analisi del film (si suggerisce di vederlo prima di leggerlo, e di rivederlo dopo la lettura). L’impresa è ambiziosa, perché la storia ha una dinamica molto complessa, impossibile da districare. Proveremo tuttavia a delinearne l’impostazione. Pete entra in un bagno pubblico, parla al telefono in tono bilioso, tratta male l’inserviente (che poi se ne va) entra in una delle cabine (sulla carta igienica c’è scritto: “Niente panico”) e vede che qualcuno sbircia da fuori.

Lancia un urlaccio, sente i rumori di una rissa, si tira su i pantaloni ed esce. Il bagno è deserto, la porta esterna è bloccata, e il problema è solo all’inizio. Pete sente che c’è qualcuno dentro una delle cabine, sbircia da fuori… e vede se stesso! Quando la sua copia esce dalla cabina, trasecola nel rendersi conto che si trova di fronte a un sosia. Lottano, poi la copia sparisce all’interno di una cabina, ma ne compare un’altra dentro una cabina diversa: è riversa a terra, con una pistola in mano e un buco nella testa.

Un messaggio parla di un paradosso temporale (per risolverlo deve “uccidere il suo futuro”). Chissà perché, lo spazio-tempo si è richiuso su se stesso, creando un time loop, un cortocircuito temporale di circa due minuti. Appare un quarto Pete (senza giacca) e discutono la faccenda.

Quel che è peggio, ogni minima variazione nel loop ne produce altri il cui fulcro è lo stesso punto del continuum, e a ogni loop arriva una nuova copia di Pete. In breve, il primo Pete decide di risolvere l’inghippo alla sua maniera, eliminando fisicamente (a colpi di pistola) le altre copie di se stesso. Inutile dire che il sistema non funziona, e si intuisce come si chiuderà la storia, anche se il finale non lo mostra.

Il simbolismo del film è chiaro: la relazione che abbiamo con gli altri non è che il riflesso di quella che intratteniamo con noi stessi. La morale che se ne trae è che i paradossi non rispettano la privacy. Detto ciò, proviamo a capire qualcosa della trappola in cui è caduto Pete. Quando esce dalla cabina la prima volta, si accorge che la porta esterna è chiusa, ed è allora che senza saperlo scivola indietro di due minuti, sente una presenza in una delle cabine vuote, va a guardare e vede se stesso.

Il Pete all’interno esce e i due vengono alle mani. Nel paradosso già in atto si nota una discrepanza. Quando Pete è uscito dalla cabina, fuori non c’era nessuno. Perché? Il motivo è che noi seguiamo la vicenda dal punto di vista del Pete originale. La sua copia ha già visto chi c’è dentro la cabina, ma se lui vedesse subito chi c’è fuori, anziché andare alla porta e trovarla chiusa, si accapiglierebbe con l’altro se stesso, e il loop non potrebbe formarsi.

Nel primo giro del loop, infatti, nessuno dei due Pete ha ancora visto l’altro. Ciò è garantito dal fatto che il primo Pete, uscendo dal bagno, non trova nessuno. Solo così può accadere che senta una presenza nella cabina e vada a sbirciare. L’intero svolgimento del paradosso segue questa logica. Il Pete originale ha sempre a che fare con la sua copia precedente e con la sua copia successiva, ma ogni volta egli non coincide perfettamente con il suo Io futuro. In sostanza, un loop temporale non è mai una semplice iterazione, ed è per questo che si formano i paradossi.

L’interpretazione che ne dà la fantascienza è ispirata di solito a questo principio. In un loop, ciò che si ripete è la situazione, ma la corrispondenza tra un giro e un altro non sempre è perfetta, anzi di solito non lo è. Basti pensare a un classico come A little something for us tempunauts (in Final Stage, a cura di Barry Malzberg & Edward Ferman, Charterhouse, 1974). Nel racconto di Dick, è proprio la possibilità di produrre qualcosa di diverso a rendere il loop impossibile da scardinare: un paradosso nel paradosso.

In questo caso il simbolismo è collegato al concetto di celebrazione. Dick aveva rilevato che, a cinque anni di distanza dall’allunaggio, la corsa allo spazio degli Stati Uniti si era di fatto arrestata, e gli americani si limitavano a menar vanto dell’impresa. Nella sua storia accade qualcosa di simile, in quanto ciò che doveva essere l’esordio dei viaggi temporali diventa la perenne celebrazione di una impresa che non avrà alcun seguito.

Dato che siamo in tema di paradossi, annotiamo che un loop (spazio)temporale potrebbe derivare da una particolare configurazione di un cosiddetto “ponte di Einstein-Rosen”, previsto dalla Relatività generale, ovvero una curvatura del continuum che si richiuda su se stessa. I ponti di Einstein-Rosen potrebbero in teoria rappresentare un modo per aggirare il limite di velocità (della luce) imposto dalla Relatività speciale. L’aspetto paradossale è dato dal fatto che un loop per sua natura è invece una trappola, una sorta di vicolo cieco privo di uscita: una chiusura, piuttosto che un’apertura.

Questo può farci riflettere sull’idea che forse il trovare l’uscita, cioè la capacità di trasformare un limite in una risorsa, ha a che fare con il concetto di creatività, una caratteristica tipicamente umana, e una delle migliori tra quelle che ci ritroviamo in dotazione.