“Beati i mansueti, perché erediteranno la terra”.
Con un approccio occidentale potremo riassumere con questo versetto Il ragazzo e l’airone. L’ultima fatica del regista giapponese Hayao Miyazaki, che superata la soglia degli ottanta anni di età, gira ancora vigile e severo tra i banchi dei suoi selezionatissimi collaboratori in quel piccolo studio d’animazione tradizionale (fondato nel 1985) dove continua a supervisionare, come un maestro di scuola, ogni movimento e respiro dei suoi personaggi.
Lo Studio Ghibli vola verso un nuovo traguardo, raggiunto anche nelle sale italiane (800.000 euro solo nel suo primo giorno di uscita) grazie a uno splendido adattamento dei dialoghi e di un altrettanto ottimo doppiaggio a cura di Alessandro Rossi.
Viso burbero e occhi serrati, definito scherzosamente Never-Ending Man (un documentario su di lui è stato intitolato così dal regista Kaku Arakawa) Miyazaki si trascina la nomea di essere l’autore che definisce ogni suo film “l’ultimo” per poi sorprendere dopo qualche tempo con l’uscita di uno nuovo.
La città incantata gli valse l’Oscar e la conseguente notorietà nell’altra fetta del globo (prima del 2003 non era inoltre, mai accaduto che un film d’animazione giapponese vincesse questo premio ed è ancora oggi l'unico) che gli riconobbe una seconda statuetta alla carriera nel 2015. Tuttavia da parte sua non c’è mai stata nessuna corsa alla vittoria, la modestia lo ha portato ad essere ancora più conosciuto, senza utilizzare lo sforzo di “rinnovarsi” con le nuove tecnologie ma semplicemente restando fedele al suo unico modo di guardare le cose. Nauseato dalla potenza delle attenzioni mediatiche, ha deciso di reprimere ogni tipo di pubblicità in Giappone per promuovere questo suo nuovo lavoro aumentandone ancora di più le (non deluse) aspettative.
In Il ragazzo e l’airone, che in giapponese porta un altro titolo, traducibile come “E voi come vivrete?”, si cerca di rispondere a questo interrogativo. La risposta è metaforicamente sotto ogni pietra, filo d’erba, finestra e granello di fuoco. Ci lasciamo quel senso di insicurezza che aveva proposto lo stesso regista con una citazione di Paul Valéry in Si alza il vento (2013): “Le vent se lève!…il faut tenter de vivre”, per capire la sua nuova riflessione sulla vita e gli ostacoli che ci pone dinnanzi attraverso anche una citazione di Dante, la frase “Facemi la divina potestate”, cercando di smuovere in noi pubblico un ritrovato ampio respiro di speranza: “si va tra la perduta gente” con il protagonista tra i gironi dell’inferno per uscirne consapevole e vittorioso nella lunga strada verso la luce della vita.
Mahito è un ragazzino curioso, separato dal mondo quando suo padre vedovo, decide di sposare Natsuko, la sorella della perduta consorte. Sullo sfondo di una stupida guerra di cui porta inevitabilmente il dramma, con la famiglia giunge nella incontaminata campagna giapponese. Accudito da sette vecchiette dispettose ma amorevoli, il ragazzo privo di stimoli, prova fascinazione per una torre di mattoni misteriosa e sigillata che fa ombra alla sua casa tradizionale, un airone librandosi sulle note del compositore Joe Hisaishi lo perseguita, poggiando le sue eleganti zampe a filo d’acqua fuori dalla sua finestra, egli nella prima porzione del film lo accompagna, lo scruta tutt’altro che bene intenzionato dietro un occhio cisposo e sospetto. Mahito inseguendo nei suoi incubi l’abbraccio di sua madre, si rifugia nella speranza di poterla rincontrare in un altro modo esplorando con una guida, un altro mondo. Nel suo percorso viene assalito da una moltitudine di animali, volatili affamati, sussurri dietro alle porte, voci che lo spingono con prepotenza davanti ad una nuova prospettiva, quella di affrontare un viaggio onirico dove ribolle altra vita, desiderosa di emergere. la sua debolezza diventa forza, la sua indolenza, determinazione, la sua bontà cardine, i suoi incontri fruttuosi. Polisemico e spiazzante, tocca anche il tema della nascita che fagocita la morte.
In definitiva alle generazioni successive senza fare testamento ma con ritrovato ottimismo, il maestro dell’animazione rema contro la corrente della frenesia, nascondendo dietro meravigliosi scenari un messaggio molto semplice: il futuro si costruisce un tassello alla volta.
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