Siamo nel 1998 e lo space shuttle Endeavour è agganciato ai primi moduli di quella che diventerà la Stazione Spaziale Internazionale. Durante questa missione sono previste operazioni extraveicolari ed è proprio nel corso di una di queste operazioni che gli astronauti notano qualcosa di strano, un oggetto non identificato di colore nero e dalla forma curiosa che orbita attorno alla Terra.

Il protocollo della Nasa in questi casi – i casi di avvistamento di UFO – richiede che vengano prodotte evidenze fotografiche ed è per questo motivo che oggi possiamo ammirare le suggestive foto del misterioso satellite Cavaliere Nero.

Secondo alcuni studiosi si tratterebbe di un manufatto proveniente dalla stella Mizar, nella costellazione di Boote, a circa 210 anni luce dal Sistema Solare, che staziona nell’orbita bassa attorno alla Terra da circa 13.000 anni.

Ma quindi gli alieni ci osservano?

Non solo ci osservano, spesso ci rapiscono per fare esperimenti su di noi.

I lettori dei quotidiani e dei settimanali sanno bene che gli incontri con gli alieni avvengono di solito d’estate, spesso in zone isolate, il più delle volte con testimoni che hanno problemi mentali, problemi di dipendenze di qualche genere oppure sono in cerca di un alibi per giustificare un tradimento finito male. Insomma, gli alieni ci spiano, ci esaminano e ci giudicano da moltissimo tempo e, se è vero che non si sono ancora presentati apertamente, il loro giudizio deve essere una sonora bocciatura.

Arrivati a questo punto, a costo di deludere qualcuno, meglio chiarire che nulla di quanto ho scritto fin qui è reale, il Cavaliere Nero è stato sì avvistato ma si tratta solo un detrito spaziale e non ci sono prove di sequestri di persone o animali da parte di alieni. L’unica cosa reale è la nostra necessità di credere che queste cose succedano sul serio.

È importante che gli scrittori di fantascienza, abituati a maneggiare questo genere di espedienti, capiscano di cosa stanno scrivendo veramente e di quanto siano fortunati a poter usare certi espedienti. Non sono lo spazio profondo e i suoi misteriosi abitanti i protagonisti di questo genere di storie, siamo noi umani.

Come mi sento a essere osservato e giudicato? Che importanza possono avere le mie misere preoccupazioni di fronte alla scoperta di non essere soli nell’universo? Le lenti di quel potente satellite extra–terreste avranno visto tutti i miei segreti, anche quelli che non oso ammettere nemmeno a me stesso?

Le storie di abduction sono storie di segreti che vogliono essere svelati e della speranza di dare un nuovo senso e significato alla nostra esistenza che, nella maggior parte dei casi, non sta andando come pensavamo.

Un formidabile esempio di storia di abduction tutto italiano è Il tornado di valle Scuropasso (Mondadori Strade Blu) di Tiziano Sclavi. In una casa isolata in una campagna che sembra il midwest americano, e invece è la Pianura Padana, il protagonista – alterego di Sclavi – è testimone di strani fenomeni riconducibili forse a presenze aliene, ma soprattutto è impegnato in una battaglia fallimentare contro l’alcolismo. Sulla copertina dell’ultima edizione la storia veniva definita “thriller ufologico” nel tentativo disperato e polveroso, portato avanti da decenni dall’editoria italiana, di preservare la realtà dei fragili lettori che altrimenti rischierebbe di venir spazzata via da quella cosa sovversiva che è la fantascienza.

Ma le lenti ciclopiche del Cavaliere Nero scandagliano il nostro mondo senza sosta, c’erano prima che inventassimo la scrittura, ci saranno quando la scrittura reinventerà l’uomo. Gli scrittori di fantascienza non dovrebbero dimenticarlo mai.