“Non ti disunire.” Era la frase che il protagonista, giovane aspirante regista, si sentiva dire dal suo idolo/mentore in È Stata La Mano di Dio di Sorrentino.

“Si è disunito.” È stato il mio commento mugugnato alla fine di The Marvels.

Quando il migliore commento che si può fare su un film è: “dura poco” è ovvio che non ha colpito nel segno.

La pellicola è una macedonia di scelte sbagliate quali le protagoniste: Brie Larson con l’espressività di una scultura del Monte Rushmore e con la stessa pietrificata voglia di recitare, Teyona Parris alternativamente imbronciata e stupita senza altre espressioni, si potrebbe salvare Iman Vellani, che ripropone la “kids entusiasta” della serie televisiva, ma, alla fine, stanca pure lei.

La storia: Quale storia? Una serie di pretesti per legare insieme le tre protagoniste nella speranza di dare corpo e vita ad un film partito male, a mio avviso, dalla sua progettazione. Se non si è visto Wandavision e Miss Marvel due delle protagoniste sono emerite sconosciute, ad un tratto poi salta fuori una colonia Skrull come un cavolo a merenda e sparisce altrettanto velocemente (salvata sempre da una eroina del MCU, La Valchiria), a dimostrazione che la gestione della trama deve essere stata tipo: “E qui che ci mettiamo?” “Gli Skrull?” “Sì, mi piacciono, sono verdi.”

I personaggi secondari: Zawe Ashton (Dar Benn), una Kree sociopatica (anche con tutte le inevitabili giustificazioni Disney) senza nerbo in confronto ad altri cattivi intergalattici visti nel MCU e, soprattutto, Nick Fury ad un passo dal ricovero in RSA (in perfetta continuità con il rincretinimento manifestato in Secret Invasion) a capo di SABER, una stazione spaziale messa lì come fosse SID, il satellite parlante di SHADO nella serie UFO degli anni '60, e no, non c’è nessuna serie da vedere per capirci qualcosa.

Le inevitabilità Disney: il che vuol dire che, gira e rigira, sono riusciti (finalmente) a metterci la scena da musical con canti e danze e, perfino, la versione MCU dei video con i gattini.

Ma non finisce qui, la regia è da episodio di serie televisiva (quelli un po’ tirati via o affidati a chi deve farsi le ossa) così come gli scenari inferiori anche ai peggiori visti su Star Trek, senza tacere dei fondali spaziali, alle volte del tutto neri, così almeno si risparmia qualche spicciolo.

E di spiccioli ne hanno risparmiato anche sugli effetti speciali.

A questo punto vi starete chiedendo a cosa serva, nell’economia narrativa del MCU, un film dove tre protagoniste frastornate devono cercare di aggiustare la rete dei punti di salto iperspaziali, sappiate che serve per prima cosa a far trovare/rubare da Miss Marvel  un “Ipad” della SABER (sul quale sono registrati tutti i supereroi di qualsiasi età in azione sulla Terra) in modo che, alla fine del film, lei possa recitare una “divertita citazione” della scena finale di Iron Man e Nick Fury (quella della “Iniziativa Avengers”) dove cerca di arruolare Kate Bishop/Hawkeye per formare un gruppo di “superkids” accennando anche alla figlia di Ant Man e per seconda a spedire il personaggio di Monica/Teyona Parris in un (rullo di tamburi) universo alternativo, dove si risveglia accanto ad una versione della mamma defunta stavolta viva e vegeta (e di nome Binary) sotto gli occhi del Mutante Blu più intelligente del mondo: Bestia, mentre sullo sfondo si vede la porta della camera dei pericoli e risuona la colonna sonora di Giorni di Un Futuro Passato.

Quindi come dicevo prima, sì, si è disunito. Si è disunito il MCU, si è disunito il processo creativo, e forse anche quello logico relazionale di Kevin Feige stesso. Il bello è che tutto questo, personalmente, non mi crea alcuna sofferenza, anche perché, complice lo sciopero ora terminato di sceneggiatori e attori, le produzioni subiranno uno stop e diversi ripensamenti (dicono, ma non speriamoci troppo) e fino a luglio 2024, data di uscita di Deadpool 3, non ci sarà nulla sul grande schermo, per fortuna.

Perché dopo aver assistito con pazienza e fiducia allo svilimento di uno dei fumetti più rutilanti di Jack Kirby (Gli Eterni), alla trasformazione del Dio del Tuono (che nei comics vive avventure davvero colossali) in un cretino nordico, alla riduzione di Hulk (uno dei personaggi più stimolanti sul quale sono state scritte avventure di ogni tipo dal noir all’horror) in un bonaccione nerd occhialuto e al più grande catalogo di scopiazzature (pardon, omaggi) di Star Wars nel tremendo ultimo Ant Man, penso che ne abbiamo tutti abbastanza. E tutto questo tacendo delle serie TV.

Fino a che punto un fan riesce a giustificare quello che viene perpetrato a storie e personaggi che conosce? Penso che con questo ultimo film raschiato dal fondo del barile ormai la misura sia colma.

Quindi, con tutta serenità, possiamo dire Thanos, Kang, Dormammu, Dottor Destino e qualsiasi altro cattivo dei Marvel Comics sono dei dilettanti perché quello che a loro non è riuscito in migliaia di albi a fumetti, cioè la distruzione dell’Universo Marvel, è stato condotto rapidamente a termine dalla Disney grazie all’applicazione indiscriminata del bilancino Woke e alla ricerca dell’inclusività ad ogni costo.

Ci vorrà molto di più che una strizzatina d’occhio complice per introdurre gli X-Men come universo alternativo, o a scatenare l’hype per i Fantastici Quattro perché nemmeno il fanservice serve più.

E se l’interprete di Kang dovesse essere condannato per violenza domestica, (ironico, vero?) Feige dovrà arrampicarsi sugli specchi per sostituirlo.

Ma non aspettiamoci colpi di scena clamorosi, non ne sono capaci.

Se da un lato ci sono The Boys, la serie più violenta/splatter sui supereroi, dall’altro c’è questa pallida versione del MCU con eroi ridotti a macchiette e cattivi a lamentosi casi umani bisognosi di uno psicologo, ma chi ha letto i fumetti Marvel sa che ci sarebbero fior di saghe da raccontare, saghe epiche, di sangue e sudore, che, ahimè, forse non vedremo mai.

In fin dei conti si può vivere tranquillamente anche senza altri film del MCU.