La sorpresa di quest’estate 2023 nel mondo della fantascienza italiana è stata l’uscita del romanzo Il trentunesimo giorno di Dario Tonani, pe Mondadori e nella collana Oscar Fantastica, in libreria quindi. Una sorpresa perché lo scrittore milanese ci ha regalato un romanzo molto particolare, con un’ambientazione originale, che non ha nulla a che fare con la saga di Mondo9, a cui erano dedicati i romanzi e i racconti degli ultimi anni.

La sua biografia ci racconta di uno scrittore eclettico, capace di passare con disinvoltura da un filone all’altro della letteratura dell’immaginario. Milanese, una laurea alla Bocconi, Tonani ha pubblicato, in Italia e all'estero, una decina di romanzi e oltre cento racconti su antologie, quotidiani nazionali e sulle principali testate di genere italiane ("Wired", "Urania", "Giallo Mondadori", "Segretissimo", "Millemondi", "Robot"). Per Mondadori sono usciti i romanzi Infect@ (2007), L'algoritmo bianco (2009), Toxic@ (2011), Cronache di Mondo9 (2015), Naila di Mondo9 (2018) e Mya di Mondo9 (2022), appartenenti al ciclo di "Mondo9", la sua opera più nota e premiata.

Tuttavia, Il trentunesimo giorno, come capiremo dalle domande che gli abbiamo fatto in quest’intervista, è davvero qualcosa di originale.

La prima cosa che volevo chiederti è come hai maturato la scelta e come è stato raccontare una storia completamente diversa dalla saga di Mondo9, dopo che per molti anni hai dedicato le tue energie creative a quest’universo che ti ha regalato molte soddisfazioni? 

È stato straordinario, in tutti i sensi. Dopo oltre dieci anni di Mondo9 ho voluto rimettermi in gioco in modo completamente nuovo, con una storia che mi desse innanzitutto un grande slancio emozionale e al contempo mi permettesse di raggiungere una platea di lettori più ampia, calcando territori di confine con altri generi attigui: il mistery, il thriller, il weird. Ma soprattutto la distopia, che nel corso della storia ha saputo scrollarsi di dosso il ruolo – riduttivo – di “etichetta” per guadagnarsi uno status a sé. Nata nell’alveo di quella che solo molto più avanti sarebbe stata identificata come fantascienza, ha saputo imporsi con tanta forza da farsi riconoscere oggi, specie dai lettori più giovani, come un genere fatto e finito, una provincia autonoma, oserei dire uno stato sovrano. Era lì che volevo andare, e lo ritenevo un passo fondamentale del mio percorso autoriale, che oltretutto avrebbe potuto disinnescare l’“accusa” neppure tanto velata, mossami da alcuni lettori e colleghi, di essermi adagiato con l’universo di Mondo9 in una sorta di comfort zone, colpevole secondo loro d’ingabbiare la mia creatività. Tralasciamo il fatto che ad affermarlo fosse chi fino a ieri leggeva Martin o la saga, addirittura plurigenerazionale di “Dune” o che oggi si dichiara in astinenza per i romanzi di Eymerich… C’è una fantasia che definirei “panoramica”, che si esprime attraverso idee di volta in volta diverse, e una – passatemi il termine – “prospettica”, tesa a sviluppare, arricchendola e approfondendola, un’unica piattaforma creativa (o, se vogliamo, di contenuto): quella dei cicli e delle saghe. 

Partiamo dal titolo, Il trentunesimo giorno. Come si legge nella quarta di copertina, accade un fatto straordinario: cadaveri di esseri umani si stagliano nel cielo. Come ti è venuta in mente quest’idea? 

Mi sono preso un po’ di spazio nei Ringraziamenti del romanzo per spiegarlo nel dettaglio. Lasciami riportare quelle stesse parole pressoché integralmente: “Questo romanzo è nato da una tempesta. E dagli scuri di una mansarda-studio che mi lasciavano inquadrare solo due scacchi di cielo; nord e sud, fronte nuvoloso e ultimi raggi di sole. A mia scelta. «Hai visto quelle sagome che galleggiano lassù?». Passare da una finestra all’altra e cambiare prospettiva aiuta. Placa i tormenti, dona entusiasmo, arricchisce, rigenera. Vale per gli psicologi che elogiano le virtù del “pensiero laterale” e di quello “divergente”, vale a maggior ragione per gli scrittori che dall’osservazione (della realtà e di se stessi) ricavano i punti di riferimento di cui farsi beffe, alla ricerca invece di quelli di “ribaltamento”, senz’altro più produttivi. A volte mutare prospettiva è consapevole, altre no: i casi della vita ci pongono di fronte a burrasche furibonde e improvvise, a raffiche di vento impetuose (e cambiare finestra non si può!). E allora… giù di pensiero laterale o divergente! Si abbandona il sentiero battuto fino al giorno prima e si procede per la via obliqua, nell’erba alta, magari a piedi scalzi“. A tutto questo aggiungete il fatto che l’idea è nata in pieno lockdown, in un momento particolarmente complicato della mia vita, e quella mansarda-studio era una sorta “pensatoio” da reclusi…

Lo scenario che ci presenti quasi subito è apocalittico, quello di un’Italia, come anche il resto del mondo, in balia delle conseguenze dei cambiamenti climatici. Da dove nasce questa scelta che ha un legame molto forte con l’attualità del mondo in cui viviamo? 

Chi ha letto altre mie opere – il ciclo di Mondo9 e “Toxic@” in primis – sa che sono molto sensibile ai temi della sostenibilità ambientale. Anche se “Il trentunesimo giorno” è stato concepito in tempi in cui il nostro Paese non era ancora alle prese, quasi quotidianamente, con gli eventi devastanti che lo hanno sconvolto in questi ultimi due anni, l’idea era quella di creare una distopia che li ponesse in qualche modo al centro della narrazione. Non amo le etichette, ma in Mondadori, presentando il romanzo, me ne hanno affibbiato una che tutto sommato ritengo abbastanza azzeccata: “eco-distopia”. Ovvio che, per essere davvero efficace, la sensibilizzazione verso un tema deve sempre passare anche attraverso una buona dose di… provocazione. Ecco perché il flagello di una pioggia incessante per trenta giorni doveva accompagnarsi a un rilancio ulteriore: guardate che cosa galleggia nel cielo il trentunesimo giorno. Houston, abbiamo un (altro) problema!

I protagonisti sono due: la giovane Evelyne e Alvaro. Entrambi sono esseri umani soli ed è proprio nella solitudine che i due trovano un terreno comune in cui specchiarsi, pur essendo così diversi. Raccontaci prima Evelyne, chi è la protagonista de “Il trentunesimo giorno”? 

I personaggi femminili mi attraggono moltissimo. Nei miei due precedenti romanzi – “Naila di Mondo9” e “Mya di Mondo9” – erano protagonisti pressoché in solitaria; ne “Il trentunesimo giorno”, Evelyne finisce per assumere lo stesso ruolo imponendosi pagina dopo pagina, nel corso della storia. Che dire? È una teenager, tosta, intelligente, testarda, con un passato tormentatissimo che ha rischiato di spezzarle la schiena molto più che non le numerose cadute dal trapezio; ha lavorato per anni nel piccolo circolo itinerante di famiglia, e il giorno dell’inondazione si ritrova sola, abbandonata e senza più nulla. Il circo che ha appena ereditato dal nonno è distrutto, gli animali sono fuggiti, il passato è un ricordo doloroso, il futuro compromesso. Dalla sua disperazione farà partire il suo riscatto…

Alvaro, invece, sembra essere alla ricerca di una seconda possibilità. È così? 

Il romanzo parla essenzialmente di tre temi: perdita, sopravvivenza e riscatto. E come sempre accade nella vita, c’è sempre un filo sottile che li unisce. Dalle grandi disgrazie – personali e non solo – nasce quella che abbiamo imparato a conoscere come una parola molto presente nella vita di ciascuno di noi: “resilienza”, la capacità di assorbire un urto, una disgrazia, un lutto senza spezzarsi. Alvaro ne diventa l’emblema. È colui che scava nel proprio passato per trovare, tra le opportunità del presente, lo spirito e l’energia per colmare una divorante sete di “redenzione”. E riesce nel suo intento anche facendosi carico di mettere sotto la propria ala protettiva la giovanissima Evelyne. Due solitudini che s’incrociano senza avere apparentemente nulla da scambiarsi, ma che proprio da e in questa condizione riusciranno a completarsi l’un l’altra in persone nuove e cariche di stimoli.

La forza della storia è, a mio modesto avviso, insita proprio nei personaggi, non solo in quelli principali. I dialoghi sono, infatti, un po’ la benzina che alimenta il motore della storia… Alla “tempesta” di pioggia e corpi che è visibile, corrisponde anche una “tempesta” di sentimenti, emozioni, paure e prove di coraggio che animano i personaggi… 

Sono lieto che arrivi questo al lettore, era esattamente il mio intento. La sfera personale si mette in gioco per battere sul campo un enorme problema globale, planetario. Evelyne e Alvaro, noi stessi, le nostre debolezze, la forza che ne possiamo trarre si sublimano in tenace spirito di sopravvivenza. La tempesta – di corpi, di pioggia, ma soprattutto di sentimenti, di emozioni, di paure, di prove di coraggio, di aspettative e di speranza – diventa matrice di cambiamento, fondamenta di una seconda possibilità, pilastro di un futuro diverso e migliore. C’è però un aspetto che non abbiamo trattato e che nel romanzo è tutt’altro che secondario, permettimi di accennarne qui: il senso della perdita. I nostri cari che volano in cielo, che si sfilano dal nostro abbraccio e ci lasciano senza un corpo sul quale piangere. Ho voluto ribaltare tutto ciò che concerne il trapasso e la morte, e collocarlo idealmente sopra le nostre teste, in balia di qualcosa che non possiamo controllare e al cospetto del quale non possiamo né genufletterci né portare un fiore: venti e correnti d’alta quota. I nostri affetti non sotto metri di terra, ma dispersi, lontani, irraggiungibili… Ci vedete qualcosa di recente in queste perdite improvvise che ci hanno lasciato senza il conforto di un saluto, di un abbraccio, di una mano trattenuta fino all’ultimo?

Anche per questo romanzo, Franco Brambilla ha realizzato la copertina. Ci racconti un po’ come è stata la collaborazione con l’illustratore di Urania, se ti ha proposto più illustrazioni e come siete arrivati a quella pubblicata? 

Lasciami dire che è stata una storia nella storia. Lunga, bellissima, ma anche con qualche tormento. Franco ha dovuto lavorare con diverse reference: alcune da seguire come guida, altre da evitare come la peste. Ha realizzato quattro soggetti, tutti non solo a mio avviso, splendidi. Al cospetto di una sorta di Gran Giury composto da Direttore di Collana, Editor, Comparto grafico, Marketing e Ufficio stampa si sono poi ridotti a due, di cui Brambilla ha dovuto realizzare un paio di varianti ciascuno. Quasi tre mesi di lavoro, anche perché oltre alla copertina vera e propria c’era la necessità d’impostare la grafica della nuova collana di Oscar Fantastica di cui “Il tredicesimo giorno” rappresenta il primo titolo. Insomma, un travaglio… 

Sono sicuro che non mi risponderai, ma immagino che altre storie ci aspetteranno in futuro ambientate in questo tuo nuovo universo narrativo? 

Voglio essere chiaro su questo punto, e ti ringrazio della domanda. Diciamo che il romanzo è uno stand-alone, non si esce dalla padella per ricadere sulla brace. Ma è un universo potenzialmente ricchissimo di… sviluppi, nonostante la storia termini con l’ultima pagina. Come vedi, ti ho risposto Carmine, grazie della chiacchierata. E concludo l’intervista usando la mia solita formula “Stay tuned”. Ma, vi prego, non ricamateci troppo sopra…