Quando si passa da un media a un altro bisogna tenere conto della proposta che si vuole presentare, se azzardarsi a cambiare lo stile e le connotazioni dei personaggi  (talvolta nel nome della modernità) o mantenere in tutto e per tutto la “silhouette” dei protagonisti.

Con Star Wars Ahsoka In termini di fedeltà e trasposizione si è scelto questa volta di non fare cambiamenti così da non snaturare la resa della serie a cui ci stiamo approcciando. Kathleen Kennedy alla presidenza della Lucasfilm (dall’ottobre 2012) aveva riconosciuto quanto i personaggi iconici di Star Wars siano riconoscibili dal proprio contorno e fu proprio lei a parlare di “silhouette” in questi termini. È il caso di Ahsoka Tano che vive da soli 15 anni nell’immaginario collettivo dei fan della saga che hanno approcciato le serie animate in computer grafica come coprotagonista di The Clone Wars.

Questa serie d’animazione, che esordì con l’episodio pilota proiettato nelle sale di tutto il mondo, sopperiva alla mancanza di Star Wars al cinema, nel 2008, dopo l’uscita di Episodio III: La vendetta dei Sith, quando ancora una volta nel “post trilogia”, si sentiva la mancanza di quello che era stato un fuoco di passione, interesse, divisione e sintonia durato dal 1999 al 2005.

Testarda, egocentrica, vivace ed entusiasta, la giovane Padawan venne inizialmente presa in antipatia dagli appassionati di lunga data ancorati al passato, pochi avevano apprezzato la sua natura  indipendente, nessuno aveva intravisto il suo futuro oltre quello che viene comunemente chiamato il “post Endor” ovvero, dopo gli eventi di Il ritorno dello Jedi dove si svolge la serie in questione. Ahsoka era stata affidata a un cavaliere Jedi altrettanto “testardo ed egocentrico”, Anakin Skywalker, che (come ci ricorda un famoso meme) “non ottenne mai il rango di maestro” e tra le altre cose fu pupilla del Maestro Plo Koon, alleata di Obi-Wan Kenobi, amica di Padmé avversaria di Darth Maul e legata in modo particolare alla Forza (l’arco di Mortis).

Ahsoka si è guadagnata negli anni successivi la stima dei fan, conquistando in particolar modo una intera fetta di pubblico giovane ora maggiorenne, per il quale questa serie TV (durata, con interruzione, sei stagioni dal 3 ottobre 2008 al 4 maggio 2020) è parte integrante dell’unicum e ne è massima espressione e approfondimento.

Ahsoka è stata eletta a “fan favourite” e beniamina, quando fece la sua comparsa nella serie Rebels (stagione 1, episodio 7: Out of darkness) ormai adulta aveva un altra credibilità ed era per definizione interessante perché legata all’incombente ombra di Darth Vader. Lei, come un Samurai Ronin, vagabonda per anni, lasciò il cammino Jedi (cosa che la fece sopravvivere all’eccidio dell’Ordine 66) diventando una reietta e simbolo di una generazione con la sua battuta più celebre: “I’m no Jedi” dove forse quel “I’m no” rappresentava una affermazione di identità in senso più ampio.

Ritornata sui suoi passi alla ricerca di se stessa, è stata lei a essere (prima di Luke Skywalker!) il cameo, più importante di The Mandalorian (stagione 2, episodio 5: The Jedi), che fa da trampolino alla serie evento di Disney+ a lei dedicata.

Ahsoka è “figlia” della creatività di George Lucas e di Dave Filoni, “padre putativo” che ne ha curato lo sviluppo e l’ha consacrata al successo. Il suo maestro Anakin le aveva affibbiato il nickname “Snips” (Furbetta) ma in questa serie il personaggio (interpretato da Rosario Dawson) assume un atteggiamento più serio. Braccia conserte, aspetto marziale, fluida nell’utilizzo più coscienzioso della spada laser, si reputa (senza ancora una spiegazione ufficiale) una Jedi a tutti gli effetti. Ahsoka cerca di prevenire una guerra e per farlo crede che sia necessario scontrarsi con un altro personaggio dato per morto, in verità disperso da anni, irrintracciabile per genio e fatalità, le cui ambizioni ad oggi sono ancora avvolte nel mistero.

Una figura cardine, altrettanto amato ed importante per un altra generazione di fan, quella che visse il “post trilogia originale” nel 1983, e protagonista dei romanzi (ora fuori dal canone) scritti Timothy Zahn dal 1991 al 1993: il Grand’Ammiraglio Thrawn, passato alla storia come L’erede dell’Impero (questo anche, il titolo del primo romanzo dove compare). Egli è un antagonista, un antieroe un abile stratega militare, interessante perché compassionevole (a suo modo) ed appassionato di arti e civiltà antiche. Iconico nel suo aspetto, è un raro caso di un “alieno” che per innumerevoli meriti, ha fatto carriera nelle fila imperiali (xenofobiche per ideologia): è di razza Chiss (pelle blu, occhi rossi) ed è, così lo ha definito il suo creatore, lo “Sherlock Holmes” di Star Wars: unitosi all’Impero per “un bene superiore” egli rappresenta una vera minaccia per la Nuova Repubblica.

Nel nuovo canone di Star Wars (che lo ha riaccolto grazie a Dave Filoni  nel 2016 nella terza stagione di Rebels: episodio 5, Hera’s Hero e poi approfondito in altri sei nuovi romanzi di Zahn) così come lo fu nel Legends da cui proviene per Luke, Han e Leia. L’attore scelto per interpretarlo nella serie è Lars Mikklesen, suo doppiatore ufficiale, ben accolto dai fan a giudicare dalla loro reazione alla Star Wars Celebration di Londra (tra loro anche chi scrive, ndr) dove è stato annunciato ufficialmente.

Non solo Ahsoka è sulle sue tracce, una sua vecchia alleata, Lady Morgan Elsbeth (Diana Lee Inosanto) e due misteriosi force-users incappucciati, Baylan Skoll e Shin Hati  (rispettivamente Ray Stevenson, tristemente scomparso di recente e Ivanna Sakhno) ferventi credenti attaccati a “quella antica religione (cit.)”. A fare squadra con Ahsoka ci sono le sue compagne di avventure il generale Hera Syndulla (Mary Elizabeth Winstead) materna, empatica, dolce e abile pilota e la Mandaloriana Sabine Wren (Natasha Liu Bordizzo) sconsiderata, infantile e ingestibile testa calda, identiche a come le ricordavamo sono due trasposizioni perfette della controparte animata. Il ruolo di Sabine nella serie è alquanto discutibile, così come lo sono nelle prime due puntate, le scene a lei dedicate.

Tuttavia le premesse ci sono, le pedine su questa scacchiera si muovo “da sole” se spostate nel verso giusto. Lontani dai fasti della prima stagione di The Mandalorian che rappresentava una nuova prospettiva per tutti (la prima serie di Star Wars) ma molto più ambiziosa delle ultime tre (con i loro pregi e difetti)  non ci resta che guardare alle stelle, sperando che nessuno della produzione tradisca l’entusiasmo di due generazioni che aspettano questa serie dal suo annuncio dell’ Inverstor day 2020.

Astenersi se frenati dai preconcetti, persistenti dal 2008.