Il cinema di Christopher Nolan si basa sulle sfide. Una delle prime sfide rappresentate da Oppenheimer è l’insidia intrinseca dei biopic, ovvero non riuscire a rendere abbastanza drammatica una vita normale.
Nel caso di Robert Oppenheimer il concetto di vita normale viene a cadere. Si parla della normalità della vita di un fisico che non solo si forma in un periodo di grande trasformazione della sua disciplina, ma si ritrova al centro di eventi di portata mondiale e a capo del Progetto Manhattan, ovvero della costruzione del primo ordigno nucleare della storia.
Ispirandosi al libro Robert Oppenheimer – Il Padre della Bomba Atomica (American Prometheus: The Triumph and Tragedy of J. Robert Oppenheimer) di Kai Bird e Martin J. Sherwin, Nolan racconta la vita di Oppenheimer dagli anni della formazione al dopoguerra, passando dal progetto Manhattan alle successive persecuzioni per le accuse di tradimento per le sue posizioni contrarie alla costruzione della bomba all’idrogeno, fino a un successivo processo di riabilitazione della sua reputazione.
La sceneggiatura scritta dallo stesso Nolan ci propone due punti di vista: le scene girate a colori, e scritte in prima persona, quello di Oppenheimer; le scene girate in bianco e nero sono quelle incentrate su Lewis Strauss, membro fondatore della Commissione per l’Energia Atomica degli Stati Uniti, che prima chiamò Oppenheimer all’Istituto di Studi Avanzati dell’Università di Princeton, per poi osteggiarlo imbastendo un procedimento contro di lui.
Nolan tesse una trama che non è solo il racconto del fisico, aperto alle nuove prospettive che la meccanica quantistica aveva aperto nel suo periodo, ma anche quello di un uomo con le sue contraddizioni. Un uomo che ha dei ripensamenti e grandi dilemmi morali quando realizza la portata di ciò che ha contribuito a creare, le cui simpatie per il comunismo, insieme all’amore segreto per Jean Tatlock (Florence Pugh), diventano a un certo punto un boomerang per la sua credibilità professionale, strumenti di persecuzione in pieno maccartismo.
La narrazione non è lineare. Salta avanti e indietro negli anni, costruendo un mosaico nel quale solo alla fine i pezzi combaceranno, mostrandoci sotto una diversa prospettiva quanto raccontatoci all’inizio. Il racconto di una vita diventa quindi un thriller, una partita a scacchi tra due contendenti, con un esito che, seppure noto se si sono lette le biografie, lascia il fiato sospeso fino alla fine.
Siamo davanti un film come se ne fanno pochi oggi, con un cast stellare pieno di attori di primo piano anche in ruoli minori. In realtà la caratura dei personaggi in scena è minore solo per minutaggio nella pellicola, se si pensa che appaiono in scena figure come Albert Einstein, Werner Heisenberg, Niels Bohr, Edward Teller, Enrico Fermi, Ernest Lawrence, Richard Feynman e Isidor Rabi, tra gli altri. Un autentico dream team della scienza.
Il racconto del momento storico scientifico è suggellato dal cameo di Kurt Gödel, il matematico che con il suo Teorema di incompletezza ha contribuito a rivoluzionare la matematica tanto quanto la meccanica quantistica ha ampliato le prospettive della fisica. Sono solo pochi secondi, ma sono funzionali alla costruzione del quadro d’ìnsieme.
Il racconto scientifico risulta efficace, riuscendo sia a rendere la conflittualità, i dubbi e gli spiazzamenti del periodo, sia i dubbi più pratici di chi lavorò al progetto, come quello di una possibile reazione a catena che avrebbe potuto incendiare l’atmosfera. Accettare che la fisica mostri delle contraddizioni nel passaggio dal determinismo della meccanica classica alle probabilità non deterministiche della meccanica quantistica, ovvero che ciò che vale a livello macroscopico viene contraddetto dal livello atomico e subatomico, è stato un grosso salto concettuale, come forzarsi ad accettare che qualcosa di molto vicino allo zero sia lo zero stesso, sperando che vada tutto bene.
Un altro aspetto ben centrato è la resa di quelle che definirei "l'euforia del risultato", ovvero quello stato di soddisfazione che chi fa ricerca prova dopo che, con molta pazienza, ma anche non tante frustrazioni, è riuscito a raggiungere il suo obiettivo. Uno stato che si raggiunge quando l'esperimento dà il risultato atteso, o viene trovata la dimostrazione di un teorema, per esempio.
L'esultanza del gruppo di Los Alamos allo scoppio della prima bomba, o a quelle di Hiroshima e Nagasaki può sembrare cinico visto con gli occhi di oggi, ma appare coerente se si pensa a quanta applicazione, quanto lavoro e notti insonni sono state necessarie al raggiungimento del risultato.
Più esteso come presenza scenica rispetto a quello di altri grandi scienziati, con funzione drammaturgica di supporto al protagonista, per la natura dei rapporti con Oppenheimer, è il ruolo nella vicenda del fisico Isidor Rabi interpretato con carisma da David Krumholtz, che ricordiamo nel ruolo di un brillante matematico, di finzione, nella serie Numb3rs.
Ovviamente, data la complessità del momento storico, non potevano mancare anche figure di rilievo politico. Anche in questo caso pochi minuti, come quelli del sempre superbo Gary Oldman nel ruolo del Presidente degli USA Harry Truman, possono valere un intero film per intensità drammatica.
In ogni caso figure storiche di enorme portata, che da sole hanno meritato biografie, interpretate da attori che potrebbero essere i protagonisti degli adattamenti cinematografici, spariscono davanti alla onnipresenza di Cillian Murphy nel ruolo eponimo, bilanciata da Robert Downey Jr./Lewis Strauss, antagonista altrettanto efficace, e dalla coprotagonista Emily Blunt, superba nel ruolo di Kitty Oppenheimer.
La storia, quella vera, è meno manichea di un film, va detto. La riduzione delle complesse dinamiche interpersonali immerse nelle motivazioni del loro contesto storico, a una dinamica protagonista/antagonista è solo un espediente drammatico e di montaggio. Un abile prestigio di Nolan che con una drammatizzazione trasforma la vita vera in un thriller per realizzare uno spettacolo, non un documentario. Il meccanismo non è sempre perfetto, e a volte si ha l’impressione che i pezzi non combacino come vorrebbe il regista. Ma la tensione resta alta, tanto che le tre ore di film, quasi tutte intensamente dialogate, passano quasi senza accorgersene.
Siamo quindi nel territorio del romanzo storico, che si prende le dovute libertà al servizio degli scopi del narratore. In simili contesti spesso si usano come protagonisti personaggi di finzione, lasciando sullo sfondo i personaggi reali, quasi a non volerli contaminare. Merito di Nolan è aver costruito il suo film senza trucchi e senza paura di sporcarsi le mani, senza personaggi inventati per l’occasione per riassumere più figure o diversi punti di vista, affidandosi solo a una ricostruzione plausibile dei veri protagonisti delle vicende, basata sulle fonti.
Il fronte visivo non è meno coraggioso di quello narrativo.
Oppenheimer di Nolan affronta alcune sfide tecniche, al servizio della narrazione per immagini, che portano la tecnologia cinematografica in territori inesplorati. Come usare l’IMAX, girando con pellicola a 65mm per un racconto che è per lo più parlato, narrato in scambi verbali tra i personaggi in dinamiche di campo/controcampo, con poche vere scene in campo lungo e lunghissimo, usando una pellicola bianco e nero sviluppata da Kodak per l’occasione. I primi piani di Oppenheimer riempiono lo schermo, rendendo ancora più imponente la presenza scenica dei giganti della storia e della scienza che hanno vissuto quegli eventi.
Anche la ricostruzione d’ambiente presenta curiose infedeltà. Costruendo una vicenda come se fosse una collezione di ricordi dei suoi protagonisti, non si cura dell’esattezza, perché la memoria è fallace per definizione. Non inseguendo la fedeltà visiva la tensione si per concentra sui rapporti tra i personaggi.
Anche la scelta di non usare effetti visivi digitali ha valenza narrativa, ben oltre il vezzo luddista. Nolan non ha disdegnato l’uso di tecniche digitali in passato, ma ha ritenuto che la prima esplosione nucleare avesse più impatto se ricostruita con tangibile fisicità, in armonia con la scelta di un film la cui proiezione ideale è con pellicola analogica, sia pure di altissima definizione.
Un ruolo importante in quella scena è rivestito dal sonoro, anche quando è assente. Ma non dico altro, perché va vissuta in un cinema dall’impianto adeguato.
Ho avuto la fortuna di vedere Oppenheimer in una di quelle poche sale cinematografiche concepite per mostrare il film al massimo delle possibilità tecniche. All’epoca di Dunkirk ebbi modo di confrontare la visione IMAX analogica con quella di una proiezione digitale, e posso dire che in quel caso la spettacolarità e l’impatto del film rimasero identici. Con questo non sminuisco il valore della sala in cui ho visto il film, ma ribadisco che la vera differenza è data dalle dimensioni dello schermo e dalla qualità dell’audio.
Oppenheimer non è un film perfetto, forse neanche un capolavoro assoluto, ma è un film realizzato con cuore e cervello, da parte di un regista che quando intraprende un progetto mette in esso tutte le sue energie, aggiungendo comunque elementi di novità alla storia del cinema.
2 commenti
Aggiungi un commentoOttima recensione, complimenti.
Concordo su ogni singolo punto.
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