Nell’era dell’acquisto compulsivo e social siamo tutti stressati anche quando non siamo stressati. Per questo abbiamo bisogno, o perlomeno così crediamo, di divertirci, di staccare la spina e soprattutto di staccare il cervello perché, quando è attaccato, ci manda continui segnali di pericolo, ci pone domande scomode alle quali non sappiamo rispondere.

La mia impressione è che, a causa di contorti percorsi mentali indotti da strategie di marketing, ci vantiamo di ricercare l’intrattenimento acefalo per dimostrare a tutti quanto siamo stressati e quanto abbiamo bisogno di una pausa per non soccombere.

È la convenzione sociale dei nostri giorni che esalta l’individualismo ed è fatta di tante solitudini che si sommano in una finta coesione fatta di post e like. Giusta o sbagliata (a mio avviso più sbagliata che giusta) è con questa realtà che anche gli scrittori di Fantascienza devono confrontarsi e possono essere parte della soluzione oppure parte del problema. Certo, si potrà obiettare forse a ragione, che questa è una mia opinione personale che non ha nulla di oggettivo ma prima di arrivare al grado zero, allo scollamento completo dalla realtà e dalla storia, al manierismo stabilito a tavolino, non sarebbe utile chiedersi perché?

Molti autori scelgono di adeguarsi alla richiesta di intrattenimento per convenienza personale e perché è più semplice. Il rischio, a mio avviso, è che si imponga questa visione: il lettore non è anche consumatore, è solo consumatore e il fatto che rifletta rallenta gli acquisti, rende difficile vendere in fretta e il più possibile.

È così che nasce la Fantascienza “disinnescata”, acqua fresca che serve solo a sciacquare via un po’ di ore libere, quella senza ambiguità, dubbi o domande, quella che si pone in concorrenza diretta – una concorrenza suicida, a mio avviso – con gli altri passatempi che il mercato offre in grandissima quantità, prezzo e varietà ai consumatori.

Nell’antichità non esistevano i responsabili del marketing e il problema non si poneva. La storia serviva a trasmettere un messaggio: l’incesto non è una buona idea, il tradimento neppure, sfidare la natura neanche, ricordati di non essere arrogante perché, prima o poi, cadrai come tutti quanti.

Con un breve balzo temporale all’Ottocento, scrittori come Flaubert non si tiravano indietro quando c’erano da mostrare i drammi legati alla vita della borghesia francese ingabbiata in convenzioni e contraddizioni che oggi sembrano arcaiche (anche se, in molti casi, sono ancora presenti).

Chi vuole male alla Fantascienza, soprattutto in Italia, dirà che questo approccio non appartiene alla letteratura di massa, al genere. I testi di Heinlein, Ellison, Herbet, Dick, giusto per fare alcuni nomi, dimostrano il contrario ma decenni di ostracismo culturale sono difficili da eliminare, impossibili se chi scrive Fantascienza non ne ha alcuna intenzione e si preoccupa solo di divertire i consumatori, di dare loro conferme e certezze invece di distruggere quelle che già ha. Le domande sono un peso per gli altri – ammoniva Patrick McGoohan ne Il prigioniero – le risposte sono una prigione per noi stessi. Tocca a noi come lettori (e scrittori) scegliere: meglio portare un fardello scomodo da uomini liberi o chiudersi in una bella gabbia dorata?