Settembre 1983, notte fonda. Una fila di camion attraversa il deserto vicino alla città di Alamogordo, Nuovo Messico. I camion raggiungono la discarica cittadina, fanno manovra e scaricano nelle fosse, poi gli addetti riempiono di terra tutto in gran fretta. Qualcuno vuole sbarazzarsi di qualcosa con la massima discrezione.
L’“Alamogordo Daily News”, qualche giorno dopo, individua un colpevole e titola: “City to Atari: 'E.T.' trash go home”. Atari, il colosso dei videogame – spiega l’articolo – avrebbe sepolto tonnellate di confezioni, manuali e cartucce di gioco nella modesta discarica cittadina prendendo accordi di segretezza con il gestore. Ma che c’entra E.T. con il titolo del j'accuse?
L’alieno con la saudade è protagonista dell’ultimo videogame di Atari E.T. the Extra-Terrestrial: 5 milioni di cartucce per il sistema 2600 che nessuno vuole comprare. La tesi è: l’azienda vuole svuotare i magazzini del “più brutto videogame di sempre” per ottenere benefici fiscali.
Atari, in quel momento a un passo dal tracollo finanziario, nega tutto. Tutta una fake news, si direbbe oggi, l’invenzione di giornali sensazionalistici. Il depistaggio funziona alla grande. Dopo un po’, nessuno, nemmeno ad Alamogordo, ricorda più cosa sia successo quella notte alla discarica.
La X indica sempre il punto dove scavare, direbbe Indiana Jones. Questa X in particolare indica una discarica e un possibile tesoro nascosto ma chi può avere interesse a scavare tra la spazzatura alla ricerca di vecchi videogame?
I collezionisti di retrogame, una tipologia bizzarra di predoni accumunati dall’aver vissuto l’era d’oro di Atari ed eredi.
Ma cos’è di preciso il retrogame? È tutto quel che riguarda il mondo dell’elettronica d’intrattenimento che non viene più prodotto o commercializzato e si può recuperare solo di seconda mano e nei fondi di magazzino. Un hobby che unisce un sorprendente numero di appassionati in tutto il mondo.
Il 26 aprile del 2014 i “predatori dell’Arca Perduta” si danno appuntamento alla discarica di Alamogordo, tra loro anche Howard Scott Warshaw, l’autore del videogioco E.T. the Extra-Terrestrial e, alla fine, il tesoro viene a galla: migliaia di cartucce Atari, in gran numero quelle di E.T. ma ci sono anche copie della deludente versione per 2600 di Pac–Man, Ms. Pac-Man, Raiders of the Lost Ark, Defender, Berzerk e altro materiale. Atari aveva mentito.
Parte dei “reperti” finiscono nei musei, tra questi anche quello dedicato ai videogame di Roma, il Vigamus. Una copia di E.T. the Extra-Terrestrial rinvenuta ad Alamogordo viene battuta all’asta per 1.500 dollari. In totale le vendite del materiale recuperato raggiungono la considerevole cifra di circa 107.000 dollari.
La spazzatura di qualcuno è il tesoro di qualcun altro.
Retrogame e Fantascienza
Tra Fantascienza e videogame è sempre stato amore corrisposto. In particolare nel mondo cinematografico dove i videogame potevano esprimere al meglio tutto il loro potenziali visivo.
Nel film Giochi Stellari (The Last Starfighter, 1984) il campione locale di un simulatore di battaglie interplanetarie scopriva che, in realtà, il cabinato serviva a selezionare i piloti di veri caccia spaziali impiegati in una vera guerra interplanetaria.
Le stesse premesse verranno poi riprese dallo scrittore Ernest Cline nel romanzo Armada (2018, DeA Planeta), la differenza sostanziale tra i due è che, nel caso del romanzo, il sistema di reclutamento avviene attraverso un moderno videogame multiplayer che sfrutta la realtà virtuale, nel caso del film invece siamo di fronte a un vecchio cabinato arcade. Per la precisione l’arcade di Giochi Stellari che si vede nel film era un prodotto Atari derivato da un altro cabinato (Star Wars, 1983): l’idea era realizzare sul serio quel che si vede nel film, una grafica 3D poligonale troppo avanti rispetto ai tempi, così avanti da far levitare i costi di produzione a circa 10.000 dollari a cabinato e costringere i dirigenti a chiudere il progetto.
Siamo di fronte a un caso di retrogame in una storia di Fantascienza? Relativisticamente parlando, dipende dove ci collochiamo temporalmente noi “osservatori”: se rivediamo Giochi Stellari oggi, nel 2023, la risposta non può essere che sì, nel 1984 invece era semplicemente fantascienza.
Impossibile non citare anche il film Wargames – Giochi di guerra (1983), storia di un ragazzino appassionato di videogame (nel film mostra le sue prodezze a Galaga) che riesce e impedire una guerra termonucleare globale sconfiggendo il computer che comandava tutte le testate americane. Come? Rifiutandosi di giocare, scegliendo l’unica soluzione logica di fronte a una macchina impossibile da battere.
Ma l’autore che più di tutti ha portato in auge il retrogame nel mondo della Fantascienza è sicuramente il già citato Ernest Cline. Il suo Ready Player One, e il seguito Ready Player Two (entrambi editi da Mondadori) raccontano un futuro distopico caratterizzato dalla sovrappopolazione e da condizioni di vita miserevoli. L’unico sollievo è dato da Oasis, una realtà virtuale escapista che fornisce ai suoi utenti di tutto: dai programmi di fitness alla pornografia e, ovviamente, i videogame. Curiosamente in questo mondo virtuale avanzatissimo prosperano i vecchi videogame degli anni 80. La lista dei giochi citati è lunga: Adventure, Asteroids, Defender, Galaga, Robotron: 2084, Donkey Kong, Contra, Golden Axe, Heavy Barrel, Q*bert e molti altri. La versione cinematografica di Ready Player One (2018), diretta da Steven Spielberg, ha contribuito ad allargare l’attenzione per il retrogame anche tra il pubblico generalista.
Follie da collezionisti
Rigiocare i videogame del passato nello stesso identico modo in cui si giocavano dieci, venti o trenta anni fa è possibile?
Sì, ma ha un costo e non è basso.
Negl’ultimi 30 anni del XX secolo, prima che la ludopatia da slot machine diventasse onnipresente, le sale giochi erano il tempio del videogioco: foreste di cabinati arcade garantivano ore ed ore di divertimento elettronico. I cabinati non erano altro che mobili in legno povero con una gettoniera, un monitor a tubo catodico e una scheda del gioco. Ricambiati di frequente, rottamati e riutilizzati, recuperarne uno oggi costa circa dai 1.500 euro in su. Il lavoro di ricerca e restauro non è semplice, solo aziende specializzate possono garantirlo a regola d’arte.
Per i nostalgici delle console domestiche i costi si fanno più contenuti. Una console con imballi originali può costare dalle 200 euro in su. I prezzi variano, anche di molto, in base alla rarità della console desiderata. Videogame ovviamente esclusi. La ricerca avviene alle fiere di settore, nei mercati dell’usato e nei negozi specializzati comparsi un po’ ovunque anche in Italia.
Ma retrogame significa anche scoperta di videogame mai giocati prima per chi non c’era ma anche per chi, all’epoca, non aveva possibilità di accesso al mercato globale perché semplicemente ancora non esisteva. Le meraviglie diffuse sul territorio nipponico – a partire dalla seconda metà degli anni 80 il principale produttore di videogame – si conoscevano solo attraverso il passaparola o le riviste specializzate ed erano miraggi irraggiungibili. Oggi il Giappone è dietro l’angolo.
Il mondo dell’emulazione
Tutti possono rigiocare i vecchi classici dei videogame senza bisogno di diventare collezionisti usando gli emulatori dei vecchi sistemi informatici. Il processo è semplice: un computer moderno interpreta i programmi e le istruzioni di una macchina del passato, l’emulatore funge da stele di Rosetta e permette di comprendere e far funzionare i vecchi software. Con vecchi software ovviamente intendo anche i videogame.
Con l’avvento di Internet il mondo dell’emulazione videoludica a costo zero è esploso. Ma chi paga tanta abbondanza? I vecchi videogame, anche se inutilizzati e inutilizzabili, sono spesso ancora coperti dai diritti d’autore. Le copie digitali delle vecchie cartucce (le cosiddette Rom, read only memory) il più delle volte non sono legali. È vero che, chi è in possesso delle cartucce originali, potrebbe legittimamente voler realizzare un backup ma, nella stragrande maggioranza dei casi, basta una semplice ricerca in Internet per reperire qualunque Rom.
È qui entra in scena l’ufficio legale di Nintendo.
Nel tentativo di tutelare il proprio patrimonio intellettuale la società di Kyoto è stata la prima a dare battaglia in tribunale alla diffusione delle Rom e dei programmi di emulazione dei suoi sistemi di gioco. Nonostante diverse cause vinte da Nintendo l’impressione è che si tratti di una guerra persa in partenza. I progetti di emulazione interrotti cambiano server e ripartono da capo, così pure i siti che forniscono Rom.
Oggi, curiosamente, la stessa Nintendo utilizza un sistema di emulazione sulla sua ultima console (Nintendo Switch) per permettere ai propri clienti di giocare, su abbonamento, ai vecchi classici del passato.
Ma quali sono i limiti della tecnologia dell’emulazione? La fedeltà all’esperienza di gioco originale. Chi ha giocato gli originali non ha dubbi: la differenza c’è e si sente.
La guerra dei cloni
Nintendo Entertainment System Classic Mini, Super Nintendo Entertainment System Classic Mini, Mega Drive Mini 1 e 2, Pc Engine Mini, NEO GEO Mini, Atari 2600 mini, Commodore 64 Mini. Quasi nessuna macchina da gioco del passato è sfuggita alla moda, inaugurata da Nintendo nel 2016, di riproporsi in versione miniaturizzata, con una selezione ristretta di giochi. È la conferma della grandissima popolarità e potenzialità commerciale del retrogame.
Per i collezionisti duri e puri del retrogame queste operazioni sono fumo negli occhi. Certo, per i neofiti possono essere soluzioni interessanti: tutte le “mini console” sono pronte per essere collegate via Hdmi ai moderni televisori, non è richiesto setup di nessun tipo e nessuna competenza hardware e software.
L’alternativa è costruirsi una “mini console” da soli. Detta così sembrerebbe una follia che solo un esperto di elettronica può fare, in realtà si tratta di una soluzione di media difficoltà che richiede modeste capacità di bricolage.
La chiave di tutto sono i computer a scheda singola della serie Raspberry Pi: nati nel 2011 per fornire computer a bassissimo costo per i Paesi poveri (costano circa 170 euro) hanno la potenza di calcolo necessaria per gestire la stragrande maggioranza degli emulatori disponibili, collegarsi a Internet, collegarsi ai moderni televisori e naturalmente ai controller di gioco Bluetooth. Ma si tratta pur sempre di emulazione.
Lo step successivo in questa ricerca dell’alta fedeltà videoludica passa attraverso una tecnologia nata nella seconda metà degli anni 80, quella dei Field Programmable Gate Array (Fpga), in parole povere dei processori capaci di imitare alla perfezione altri processori tanto da rendersi indistinguibili dall’originale.
Un progetto interessante basato su questa tecnologia è quello dall’azienda californiana Analogue che produce macchine capaci di leggere le cartucce esattamente come avrebbero fatto le console per cui erano stati pensate. Un design minimalista e moderno rendono i loro prodotti talmente richiesti da costringerli a creare liste d’attesa di anni.
La scena “indie”
Nell’era del ritorno in auge del vinile anche il mondo dei videogame vive un ritorno al passato. I supporti fisici, che sembravano archiviati dall’avvento del digitale, tornano al centro della scena. È il caso di Limited Runs, azienda statunitense specializzata in riedizioni da collezione di alcuni selezionatissimi videogame – quasi tutti classici per 8 o 16 bit – in formato rigorosamente fisico, con la classica scatola di cartone, il manuale di istruzioni ricco di illustrazioni e spiegazioni (rarità nei videogame moderni) e tutta una serie di gadget del tutto inutili ma imperdibili per gli appassionati.
Riedizione, recupero ma anche pubblicazione di novità. Il mondo del retrogame è forse l’unico in cui vengono sviluppati nuovi videogame per console dismesse da decenni. Succede, per esempio, al Commodore 64, glorioso home computer che ha avuto il merito di diffondere i rudimenti dell’informatica nelle case della classe media. Per questa macchina escono videogame nuovi ogni mese.
La scena indi legata al retrogame e alla pixel art – corrente grafica che ha saputo fare tesoro delle limitazioni video imposte dalle vecchie console – non è mai stata così attiva, è tutto un fiorire di progetti interessanti che hanno fortissimi legami con il passato. Progetti che spesso hanno un successo commerciale pari alle produzioni più costose e moderne. Le parole d’ordine sono: minimalismo grafico, gameplay semplice e immediato, audio evocativo, narrazioni ricche e suggestive.
Debiti verso la Fantascienza e 5 suggerimenti di gioco
Il debito del retrogame verso Fantascienza è enorme. Questo genere letterario è sempre stato uno dei principali ispiratori dei primissimi videogame. Le invasioni aliene da sconfiggere in sala giochi sono state la base su cui è nata e si è consolidata la game colture, di nicchia nel secolo scorso ma ormai predominante e diffusissima. Si può tranquillamente dire che senza la fantascienza la stragrande maggioranza dei videogame del passato (e del presente) non esisterebbero.
Ecco una breve (e personale) selezione di cinque retrogame imperdibili per gli appassionati di fantascienza. Da recuperare per chi li ha già giocati, da scoprire per chi non li ha mai visti.
Galaga (1981 – Arcade). A mio avviso preferibile al capostipite del genere “Space Invaders” per il comportamento degli alieni da abbattere che qui danzano sullo schermo e procedono verso la nostra astronave con movimenti aggraziati e letali.
Zak McKracken and the Alien Mindbenders (1988 – Commodore 64). Gli alieni stanno risucchiando l’intelligenza del genere umano con una macchina che funziona sfruttando il telefono (ricorda qualcosa?). A difenderci un eroe improbabile: un giornalista stanco del suo lavoro per una testata scandalistica.
Dune II: The Battle for Arrakis (1992 – Ms Dos). Chi controlla la Spezia controlla l’universo ma la Spezia va raccolta e difesa dai vari contendenti al controllo dei pianeta Arrakis. Nei panni di una delle casate del ciclo di Herbert dovremo stare attenti ai vermi delle sabbie e a non perderci nel gioco – un “Risiko” planetario – dimenticando tutti gli altri impegni quotidiani.
Elite (1984 – Apple II). Piccolo prodigio tecnologico, la programmazione procedurale – Fantascienza all’epoca – era in grado di generare milioni di sistemi stellari, ognuno con proprie caratteristiche, tutti da esplorare a bordo della propria nave stellare.
Star Trek: 25th Anniversary (1992 – Amiga). Uno dei rari casi di videogioco riuscito tratto da “Star Trek”. La storia si dipana per episodi come in una ministagione della serie classica, si guidano i personaggi storici a bordo dell’Enterprise, sul ponte di comando oppure in missione sui vari pianeti. Raramente si ricorre alla violenza la chiave per vincere è sempre l’intelligenza.
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