Marco Passarello è giornalista, traduttore, scrittore e curatore editoriale. Vive a Bolzano, dove lavora come redattore della TGR RAI. Si è laureato in ingegneria aeronautica al Politecnico di Milano con una tesi sui satelliti a filo. È stato redattore delle riviste di informatica Computer Idea e ComputerBild, e ha a lungo collaborato col settimanale scientifico Nòva 24 de Il Sole – 24 Ore e con la rivista Urania Mondadori. Ha curato una rubrica di fantascienza per il mensile XL, e si è occupato di musica e libri per Rolling Stone e Repubblica Sera. Insieme alla moglie Silvia Castoldi ha tradotto diversi romanzi, tra cui la serie Virga di Karl Schroeder per i tipi di Zona 42. Ha pubblicato numerosi racconti di fantascienza su riviste, fanzine e antologie. Come curatore ha all’attivo l’antologia Fanta-Scienza, uscita nel 2019 per Delos Digital, di cui quest’anno è uscita Fanta-Scienza 2, sempre per l’editore milanese. Passarello ha chiesto a nove scrittori di ispirarsi liberamente ai colloqui con ricercatori dell’Istituto Italiano di Tecnologia, realizzati sempre dal curatore. Lo abbiamo intervistato in merio a questo suo nuovo lavoro editoriale.

Partiamo dalla prima antologia Fanta-Scienza: com’è nata l’idea di intervistare degli scienziati e chiedere poi agli scrittori di ispirarsi alle loro ricerche per trarne una storia? 

Non sono stato il primo ad avere l’idea di far collaborare scienziati e scrittori di fantascienza, anche se probabilmente sono il primo ad aver usato la formula delle interviste agli scienziati affiancate ai racconti che hanno ispirato, forse perché la mia professione primaria è quella del giornalista.

Lo spunto mi venne quando Repubblica Sera (supplemento digitale di Repubblica da tempo scomparso) mi chiese di scrivere un articolo su Hieroglyph, antologia di fantascienza curata da Neal Stephenson che si basava su discussioni tra gli autori dei racconti e gli scienziati dell’università dell’Arizona. Per scrivere l’articolo intervistai diversi scrittori di fantascienza, tra cui Bruce Sterling, che aveva scritto un racconto per Hieroglyph. Lui mi disse che non solo l’idea era buona, ma che qualche università italiana avrebbe dovuto prendere spunto per fare lo stesso.

Sul momento mi parve del tutto irrealistico che un’istituzione scientifica italiana volesse “contaminarsi” con la fantascienza. Cambiai però idea quando mi ricordai di avere intervistato per Il Sole 24 Ore Roberto Cingolani, non ancora ministro e direttore dell’Istituto Italiano di Tecnologia. Per spiegarsi gli capitava spesso di citare autori di fantascienza come Iain M. Banks, e mi resi conto che poteva essere la persona giusta per appoggiare un progetto del genere.

Così qualche tempo dopo mi feci avanti, e lui mi rispose positivamente e mi mise in contatto con gli otto ricercatori che fornirono le basi per il primo Fanta-Scienza.

Come è stata accolta Fanta-Scienza dai lettori? 

Direi molto bene. Il libro ha venduto bene, specie considerato che non ha avuto una distribuzione regolare in libreria e che poco dopo l’uscita è esploso il covid, che ha impedito quasi del tutto di svolgere presentazioni dal vivo. Anche le recensioni ricevute dai lettori sono unanimemente positive. Di persona qualcuno mi ha detto che ha apprezzato le interviste anche più dei racconti. Il che, se da un lato mi ha lasciato perplesso, perché sono i racconti il fulcro dell’opera, dall’altro mi ha fatto piacere, perché vuol dire che sono riuscito a rendere le interviste interessanti, cosa a volte non facile data la complessità degli argomenti.

Quali sono i campi di ricerca che sono oggetto delle interviste ai ricercatori del IIT in Fanta-Scienza 2? 

Ovviamente la robotica ha molta importanza, dato che è uno dei campi di punta dell’IIT: parliamo di robot “soffici” e di collaborazione tra uomini e robot. Affrontiamo poi la genetica, con i misteri nascosti nel cosiddetto “DNA spazzatura”, e un campo molto particolare della medicina, quello dei farmaci contro le malattie del neurosviluppo. E ci sono l’ingegneria dei materiali, con il grafene e altri materiali bidimensionali, e l’ingegneria elettronica con le interfacce tra macchine e cervello umano.

Questi sono temi affini a quelli presenti nel primo volume dell’antologia, ma ci sono anche delle novità particolarmente interessanti, cioè la sostenibilità energetica, le tecnologie a sostegno della disabilità e le tecnologie per la conservazione dei beni culturali. Soprattutto per le ultime avevo qualche dubbio che potessero fornire la base per un racconto avvincente, ma gli autori hanno prontamente dissipato i miei timori.

Tu sei l’autore di tutte le interviste, qual è il settore scientifico o la ricerca che più ti ha colpito dal punto di vista di una possibile ricaduta sulla vita quotidiana? 

Premesso che tutte le interviste, nessuna esclusa, permettono di fantasticare su mondi possibili pieni di meraviglia, ho trovato particolarmente affascinanti le interfacce cervello-macchina di Luca Berdondini, e infatti mi sono accaparrato questo tema per scrivere il mio racconto. L’idea che una macchina possa leggere i nostri pensieri per ricevere ordini o per registrarli apre infinite possibilità, e nel racconto ne esploro diverse (la comunicazione diretta tra le menti delle persone, la comunicazione con gli animali, il pilotaggio di macchine antropomorfe, e così via), ma ci sarebbe materiale per scrivere vari romanzi.

Qualcosa mi dice che questo tipo di tecnologia, almeno in una forma embrionale, diventerà presto di uso comune, e la useremo in modo naturale senza vederci nulla di strano, così come oggi facciamo con un telefono cellulare.

L’antologia si apre con un racconto di Bruce Sterling. Come sei riuscito a coinvolgerlo in questo progetto editoriale? 

In realtà non è stato necessario alcuno sforzo, ha fatto tutto da solo! Pochi giorni dopo l’uscita del primo volume di Fanta-Scienza mi ricordai che, come ho detto prima, era stato lui a darmi l’idea, quindi gli spedii una copia digitale dell’antologia con dedica. Pochi giorni dopo ricevetti diversi messaggi sul telefono, e dicevano tutti: “Guarda che Bruce Sterling sta parlando di te a Lucca”. E in effetti Bruce, in un suo intervento pubblico a Lucca Comics, espresse un giudizio molto positivo sul libro. Un paio di giorni dopo mi recai a Lucca anch’io e casualmente lo incontrai. Andai a ringraziarlo, e lui mi disse: “Se fai un secondo volume voglio esserci anch’io!”. E devo dire che il principale motivo che mi ha spinto a fare un secondo volume è stata proprio la possibilità di collaborare con Bruce. Il quale non si è tirato indietro, e mi ha fornito il bel racconto che apre l’antologia, ispirato alle ricerche del roboticista Antonio Bicchi.

Visto che il titolo delle antologie è formato dalle parole Fanta e Scienza divise da un trattino, qual è a tuo avviso oggi il peso delle conoscenze scientifiche nella narrativa di fantascienza? 

Non lo sopravvaluto, nel senso che ritengo sia possibile scrivere un bel racconto di fantascienza senza riempirlo di dati scientifici. Alla fine la fantascienza non deve raccontare la scienza (per quello basta la saggistica!), ma raccontare le reazioni degli esseri umani di fronte alla novità e all’ignoto. Ci sono autori come Fredric Brown che hanno scritto racconti di fantascienza immortali con ben pochi contenuti scientifici. Inoltre, come ho sentito dire da Joe Haldeman a una delle ultime Worldcon, “Tra un racconto di fantascienza scientificamente corretto ma noioso e uno scientificamente errato ma avvincente, il lettore preferirà sempre il secondo”.

Detto questo, però, credo che un buon autore di fantascienza debba conoscere bene la scienza. In primo luogo perché fornisce spunti sempre nuovi. Lo ha detto anche Bruce Sterling in occasione della presentazione di Fanta-Scienza 2 a StraniMondi: ispiratevi alla scienza e scriverete cose che nessuno ha ancora scritto, se scrivete dei soliti argomenti scoprirete di sicuro che qualcun altro ha già fatto meglio di voi. Inoltre sono del parere che errori scientifici non siano ammissibili; in nessun libro, e in particolare non in un libro di fantascienza. Si può giocare come si vuole con l’ignoto, ma quello che già conosciamo non si può ignorare.

Devo dire che oggi purtroppo vedo un certo declino della quantità di scienza nella fantascienza, e me ne dispiace. Non ho nulla contro le contaminazioni e i sottogeneri, ma mi pare che a volte il contenuto speculativo di certi racconti che vorrebbero essere fantascientifici sia troppo scarso. Spero che Fanta-Scienza 2 funga anche da stimolo per andare in direzione contraria.

Capita spesso che uno scienziato o un astronauta abbia affermato di fare il mestiere che fa perché da bambino ha letto storie di fantascienza. A tuo avviso, qual è stato storicamente parlando il ruolo della fantascienza nell’avvicinare l’uomo comune alla scienza? 

Maggiore di quanto si pensi. Nel corso delle mie interviste ho visto che molti ricercatori, anche se non tutti, conoscono e amano la fantascienza. Io stesso penso che la passione per la fantascienza abbia avuto un grandissimo peso nella direzione che prese il mio percorso di studi (sono laureato in ingegneria aeronautica). La fantascienza aiuta a vedere la scienza con curiosità e non con timore. In Cina si sono accorti di questa cosa, e infatti il governo cinese sponsorizza molto la fantascienza, non perché abbia un contenuto intrinsecamente didattico, ma perché spinge i giovani a interessarsi alla scienza.

Credo inoltre che la fantascienza sia un genere che permette di portare nella letteratura temi scientifici che altrimenti ne rimarrebbero fuori. Troppo spesso si dimentica che due dei principali scrittori italiani del Novecento, Italo Calvino e Primo Levi, hanno scritto anche molta fantascienza. Purtroppo in Italia non mi pare abbiano avuto molti epigoni negli ambienti letterari. All’estero invece le cose sono diverse, e ci sono autori come Katsuo Ishiguro, Jennifer Egan, George Saunders e altri che non disdegnano di usare gli strumenti della fantascienza nella loro produzione (anche se a volte sono restii a chiamarla tale).

Sono curioso di sapere quale è stata, in generale, la reazione dei ricercatori che hai intervistato alla lettura del racconto scaturito dal proprio lavoro? 

Devo dire che inizialmente temevo molto la loro reazione. Temevo che qualcuno potesse risentirsi, ritenere che le proprie ricerche fossero state usate in modo erroneo o caricaturale. Ma erano timori infondati: tutti (perlomeno tutti quelli che mi hanno fatto sapere la loro opinione) hanno apprezzato molto i racconti e il punto di vista insolito che gli fornivano sui temi che costituiscono l’essenza del loro lavoro.