Philip K. Dick ha cercato, attraverso la sua narrativa intrisa di speculazione religiosa e filosofica, di scompaginare la realtà che lo circondava e destabilizzare il suo e il nostro orizzonte percettivo. Un tratto che è visibile nella caratterizzazione psicologica dei personaggi dei suoi romanzi, come in Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (1968, conosciuto anche con il titolo Il cacciatore di androidi), da cui e stato tratto il film Blade Runner del 1982, di cui quest’anno ricorrono i 40 anni dalla prima uscita al cinema. Una pellicola che ha segnato uno spartiacque nella storia del cinema di fantascienza, che ha contribuito enormemente a far conoscere lo scrittore americano al di fuori della cerchia della science fiction, ma la cui realizzazione è stata anche travagliata.
Iconico, poi, è diventato il monologo finale, recitato da Rutger Hauer:
«Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire».
La trama è altrettanto nota. Siamo a Los Angeles, anno 2020. Nell’immensa megalopoli sono giunti quattro replicanti tipo “Nexus 6” dalle colonie extramondo, esseri artificiali uguali in tutto e per tutto agli esseri umani, ma con soli quattro anni di vita perchaé normalmente utilizzati in lavori pericolosi e pesanti. Rick Deckard, ex “blade runner”, l’unita incaricata di dare la caccia ai replicanti, viene richiamato in servizio e costretto a “ritirare” questi esseri. Deckard si reca cosi da Tyrell, il geniale creatore dei Nexus 6, dove utilizza il test Voight-Kampff, un sistema per capire se ci si trova davanti a un umano o a un replicante, su Rachael, la segretaria di Tyrell. La donna non lo sa, ma anche lei e una replicante, eppure tra i due nascerà una storia d’amore. Deckard riesce a uccidere tre dei replicanti scappati, mentre l’ultimo, Roy Batty, avrà la meglio su Deckard, ma, prossimo ormai alla morte, risparmierà l’ex blade runner, come un ultimo inno alla vita.
Il film – che vanta un cast importante, con Harrison Ford, Sean Young, Rutger Hauer, Daryl Hannah, Edward James Olmos e Joanna Cassidy – è un capolavoro assoluto, assurto a film cult nel corso degli anni, ma all’uscita nelle sale americane fu accolto molto tiepidamente dal pubblico e
dalla critica. La pellicola di Ridley Scott, in realtà, prende alcuni degli elementi centrali, ma costruisce una storia noir e decisamente originale rispetto al testo di Dick.
Poi, ci furono interventi pesanti della produzione (la voce off fu imposta al regista per “spiegare” quello che succedeva ed è uno degli elementi che caratterizza il film); Sean Young (la replicante Rachel), che sul set era ingovernabile, a causa dell’alcol; il non brillante esordio al botteghino: realizzato con un budget di 28 milioni di dollari, fu distribuito in 1.295 sale, ma nel primo week-end si piazza solo al secondo posto degli incassi con $ 6.150.002, per essere poi superato nelle settimane successive da La cosa, Star Trek II – L’ira di Khan e E.T. l’extraterrestre; per non parlare del fatto che esistono diverse versioni della pellicola, pare sette, compresa la director’s cut con il finale che voleva Scott e non con quello a lieto fine voluto dai produttori.
Ed è proprio questa scena finale che è un cult nel cult. Il film per Scott, infatti, terminava con Deckard che prende da terra un pezzo di origami, guarda Rachael, fa un cenno con la testa, cammina verso l’ascensore e fine. Un finale che i produttori contestarono. Ecco, allora, che in uno dei colloqui che Scott aveva con Stanley Kubrick venne fuori che quest’ultimo aveva girato molte scene dall’elicottero per Shining, in cui si vedono montagne e panorami. Kubick regalò a Scott 17 ore di girato, che il regista di Blade Runner utilizzò per mostrare i due protagonisti della scena finale che vanno via insieme in auto.
Philip K. Dick morì prematuramente il 2 marzo 1982, poco prima dell’uscita nelle sale del film. Pare ne avesse visionato alcune scene del girato e ne fosse rimasto entusiasta.
Gli ingredienti c’erano tutti perché diventasse uno dei più grandi fiaschi della storia del cinema, invece siamo qui a celebrarlo, dopo 40 anni, come uno dei più iconici film della storia della fantascienza e del cinema.
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