Lana/Larry Wachowsky, nel 2005 disse: “Siamo cresciuti con i fumetti e la trilogia di Tolkien, una delle cose che ci interessa è portare la fiction seriale al cinema. Sarebbe molto eccitante avere un film dove dopo un’ora e mezza aspetti il fatidico colpo di scena e invece ti trovi a non immaginare nemmeno dove va a parare.” E Lilly/ndy aggiunse: “Pensiamo che i film siano abbastanza noiosi e prevedibili. Vogliamo scombinare le aspettative del pubblico”.
Beh, nel maggio del 1999 di sicuro ci riuscirono. Dopo un thriller di decente fattura (Bound–Torbido Inganno) i Wachowsky sconvolsero il mercato cinematografico con Matrix.
Penso che siamo tutti d’accordo nel definirlo uno dei punti di svolta della cinematografia degli anni 2000, fosse anche solo per l’introduzione del bullet-time che rivoluzionò definitivamente l’uso del ralenti.
La sola sequenza iniziale, quella in cui Carrie Ann Moss/Trinity affronta una intera squadra SWAT ci fece pensare ad un film di supereroi, salvo poi tuffarci nella storia di una umanità sottomessa alle macchine e ridotta a pile energetiche chiuse in capsule che sogna/vive in una realtà virtuale (e qui altra ottima intuizione portando all’estremo il conflitto macchine uomo già raccontato in altre saghe come Terminator) che, attenzione, non rappresenta un mondo idilliaco e perfetto, ma una realtà dove si fatica per vivere/sopravvivere e nulla è scevro da conflitti.
Il film si chiudeva con la sfida del protagonista (Keanu Reeves/Neo) alle macchine (e il pezzo dei Rage Aganist The Machine che chiudeva il film era ancora più emblematico) e la speranza della liberazione di tutti gli umani dai loro bozzoli.
Al film si associarono fumetti, cortometraggi animati, giochi su piattaforme e PC autorizzati dalla produzione ufficiale, ma fu anche l’occasione per una fiammata di successo di libri cospirazionisti come quelli di David Icke (nelle librerie il suo Figli di Matrix vendette parecchio) e per un aumento di lavoro per psicologi e psichiatri che ne condivisero l’impatto sulla salute mentale di chi aveva disturbi border line riguardo al proprio rapporto con la realtà.
I Wachowsky proseguirono con altri due film che terminavano la storia con il sacrificio di Trinity e Neo allo scopo di ottenere non l’ennesimo reboot della sottomissione uomo/macchina (come narravano i due episodi), ma un nuovo corso nel quale gli umani desiderosi di trovare una nuova vita potevano intraprenderla liberamente senza dover per forza distruggere le macchine.
E, venne dichiarato sempre dai Wachowsky, tutto finiva lì.
Ma il 2022 ci ha portato Matrix Resurrections. I diciotto anni trascorsi da Matrix Revolutions hanno visto i Wachowsky provare a raccontare nuove storie con alterne vicende, ricordiamo i film Speed Racer del 2008, Cloud Atlas del 2012 e Jupiter Ascending del 2015 e la serie Sense8 per Netflix chiusa nel 2018. Questo mentre gli autori iniziavano e concludevano il loro percorso di evoluzione che li ha portati diventare Lana e Lilly, nonché ad affrontare il lutto per la perdita dei due genitori.
Marginalmente consideriamo anche la carriera di Keanu Reeves che lo ha portato a interpretare l’iconico John Wick il cui aspetto è diventato quello del “nuovo” Neo.
Prendiamo tutto questo, mixiamolo con la paura/pigrizia hollywoodiana di osare nuove strade (argomento sul quale ironizza lo stesso nuovo episodio) e otterremo Matrix Resurrections. Siamo sessant’anni dopo la fine di Revolutions e, come ovviamente dichiara il titolo, nessuno è morto davvero. L’accordo macchine/umani ha portato, infatti, ad un forte indebolimento delle risorse energetiche sfociato in un conflitto tra le macchine stesse, alla distruzione di Zion (la città degli umani) e la fondazione di una nuova cittadella: Io. Tra le macchine stesse si è creata una ala scissionista, che ha generato degli ibridi uomo/macchina che tendono a collaborare con gli umani per trovare un nuovo equilibrio di coesistenza. Il nuovo “apicale” di Matrix, l’Analista, attribuisce molta più importanza alle tensioni sentimentali/psicologiche nel mantenimento della matrice e per questo scopo, ritenendo la relazione Neo/Trinity come il più potente archetipo di questa tensione, ha letteralmente ricostruito i corpi dei due per reinserirli anche nella simulazione.
Le loro due resurrezioni e il loro rapporto, dunque, sono al centro del film, coronato dal lieto fine (non del tutto definitivo), che chiude la storia con un cambio di prospettiva interessante, visto che su questo finale è la metà femminile Trinity a spiccare il volo e non quella maschile Neo.
L’intero progetto del film posa sulle sole spalle di Lana visto che Lilly ha scelto altre strade creative per la propria carriera, e la stessa Lana non fa mistero di aver scritto e diretto il film come operazione terapeutica nell’elaborazione del lutto dei genitori, dichiarando che desiderava raccontare una storia dove “due persone tornavano in vita”.
Il film si giova anche del linguaggio metatestuale che attenua abbastanza l’ormai inevitabile fan service insito in operazioni di questo genere e, inoltre, si avvale di una scena post credit di forte carica ironica e autocritica.
Non si può non pensare che l’energia del primo Matrix, il suo profondo senso di oppressione che esplodeva nel desiderio di liberazione da una vita falsa ma rassicurante fosse emblematico della situazione di vita dei Wachowsky, alle prese con l’elaborazione e l’avvio dei propri percorsi di evoluzione così come questo nuovo episodio è legato alle loro nuove vicende.
Ridley Scott, Zack Snyder, George Lucas, tanto per citarne alcuni, sono altrettanti esempi di registi che hanno dovuto fare i conti con la loro vita privata quando eventi particolari quali lutti, separazioni e nascite si sono intromessi nel loro lavoro creativo mostrandoci come sia allo stesso tempo facile e difficile distaccarsi dalla comfort zone dei propri universi creativi che possono essere utilmente terapeutici oppure distrattivi per loro stessi.
Quindi se andando al cinema cerchiamo qualcosa di potente così come fu il primo Matrix, non è qui che lo troveremo, e, forse, nonostante l’enorme quantità di proposte al cinema e in streaming, non sarà nemmeno facile trovarlo per davvero. Ma vogliamo augurarci che questa Resurrections possa indicare la possibilità per Lana Wachowsky di voler riesaminare la sua creazione da una visuale esterna e nuova magari allo scopo di raccontare altre storie per ora tenute in ombra da quella di Neo e Trinity, magari non rivoluzionarie ma appassionanti.
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