Che cosa era accaduto durante la giornata al dottor Maggioli? Qualcosa di lieto certamente, perché in quella sera lo vedemmo entrare in salotto così arzillo e così allegro da irradiare il suo buon umore su tutte le persone colà raccolte.

– Sentiamo il suo parere – gli disse la baronessa Lanari. – Ma già lei lo ha espresso anticipatamente con la pratica; non ha preso moglie. Il cavalier Borrelli sostiene che artisti e scienziati dovrebbero restare celibi; non si può servire a due padroni, egli afferma.

– Sarei giudice e parte nella quistione – rispose il dottor Maggioli. – Per ciò riferirò soltanto come credeva di averla risoluta un luminare della scienza tedesca.

Nessuno, meglio del chiarissimo professore Jonath von Schwächen della piccola ma celebre università di Entmannt nello Schwarzburg, nessuno ha sperimentato meglio di lui la verità di quel proverbio. E nel suo caso c'era l'aggravante, come direbbe un avvocato, che, invece di due padroni, egli doveva servire due padrone: la moglie e la scienza.

«Avrebbe potuto scegliere!» direte. Eh, no! oramai la scelta non era più possibile. Fatta la sciocchezza di prender moglie – e vi assicuro che non era stata una sciocchezza, perché la signora von Schwächen rappresentava quel che c'è di più grazioso, di più roseo, di più biondo e nello stesso tempo di più solido nel tipo viennese – fatta, come suol dirsi, la sciocchezza di prender moglie, il povero professore non aveva altri mezzi di mantenere la sua cara metà all'infuori di quelli che poteva apprestargli la scienza; scienza a cui aveva consacrata tutta la sua giovinezza, vivendo di patate e di birra per parecchi anni, e di castagne in alcuni mesi dell'anno, intestato di riuscire una celebrità nel ramo della neurologia, scelto non so perché, ma certamente non a casaccio.

A trent'anni infatti, egli era già additato come una delle glorie più luminose di questa nuova branca della antica fisiologia; le sue scoperte si contavano a dozzine; e due o tre di esse avevano sconvolto da cima a fondo scienza e scienziati, aprendo larghi spiragli di verità neppur sospettati fin allora.

Come il giovine professore, conquistato meritamente un alto posto nella piccola, sì, ma celeberrima università di Entmannt, avesse conosciuta, conquistata e sposata la bella e spiritosa signorina Elsa Meizen, non importa raccontare, quantunque sia assai interessante. Mi menerebbe troppo lontano e poi insinuerebbe qualcosa di leggero e di voluttuoso in questa narrazione che tenta di spaziare nella più seria e più elevata atmosfera scientifica. Basti sapere che i tormenti intellettuali del professore nella terribile lotta coi più complicati misteri della vita animale, erano eguagliati dai tormenti del marito che voleva – e chi può biasimarlo? – rimanere unico e assoluto possessore del tesoro di grazia di Dio che la sua buona sorte gli aveva concesso. Non già che la signora von Schwächen gli avesse dato il minimo pretesto di farlo sospettare della di lei purissima virtù; no, mai! Ma la bella e dolce signora non poteva impedire che gli sfaccendati di Entmannt, e specialmente i giovani studenti, non la perseguitassero con la loro troppo visibile e troppo significativa ammirazione, tutte le volte che ella accompagnava il marito nei giardini pubblici e nelle birrerie della città e dei dintorni; e il professore non era così assorto dagli esperimenti e dalle scoperte scientifiche da non accorgersi delle insidie che venivano tese alla sua felicità maritale.

Fino a un certo tempo egli si era difeso da ogni possibile malanno con l'interdire alla moglie e interdirsi qualunque relazione di società e d'intima amicizia, calcolando anche un po' su la lentezza degli istinti amorosi dei suoi compaesani, che sogliono divagarsi troppo a lungo per via, dietro il poetico e il sentimentale, prima di arrivare al positivo. Figuratevi dunque la maraviglia e lo stupore di tutta la piccola, sì, ma pure pettegola cittaduzza di Entmannt, quando si seppe che «l'orso di Düsseldorf» come era chiamato il professore perché nativo di colà, si era ammansato tutt'a un tratto, e frequentava le riunioni e riceveva in casa sua e dava fin pranzi per far ammirare, diceva, l'abilità culinaria della sua giovine signora.

Dirò subito di che si trattava. Il gran neurologo – per caso, come accade sempre, ed egli non voleva accrescere, nascondendolo, il merito della sua scoperta – il gran neurologo, tormentando cavie e conigli e altri simili animali condannati dal destino alla vivisezione, si era accorto che certe sue operazioni intorno a non so qual paio di nervi, precisamente a sinistra della spina dorsale, producevano nei suoi soggetti di studio una rapida quanto durevole estinzione della facoltà amatoria, senza nessun pregiudizio delle altre funzioni vitali, anzi con evidente benefizio della salute. L'operazione poteva venir fatta con tale semplicità di mezzi, con tale sicurezza di riuscita, che non è da maravigliarsi se nel cervello del professore, continuamente agitato dal timore di perdere per lo meno l'esclusività del possesso del suo tesoro coniugale, nascesse subitanea la diabolica idea di servirsi di quella scoperta unicamente per sua personale difesa, finché durava il pericolo, prima di abbandonarla all'universale patrimonio della scienza.

Ed ecco come cominciò a procedere e continuò per due anni a Entmannt il terribile difensore del suo diritto di marito. Adocchiato il più assiduo e il più intraprendente dei corteggiatori di sua moglie, lo invitava a pranzo e lo ubbricava. Appena l'infelice, designato a esser vittima del fatale bisturi, cascava col capo su la tavola, il professore, aiutato dal servo, lo trasportava nella stanza dov'era già preparato un letto per riceverlo. Con la scusa di vegliar l'amico, egli si chiudeva per pochi minuti con l'addormentato suo ospite, lo rovesciava bocconi, metteva a nudo quel punto che la sua scoperta gli aveva additato, faceva la invisibile puntura… e tutto era finito! La mattina dopo, colui si svegliava, oh quantum mutatus ab illo! E così lo sterilizzato personaggio – come egli con moderno vocabolo scientifico lo chiamava – poteva rimanere assiduo frequentatore della casa e dei pranzi, senza che la virtù della bella e seducente signora von Schwächen corresse pericolo. Il delitto scientifico – bisogna qualificarlo tale – rimaneva, non che impunito, ignorato, perché le povere vittime non erano in caso neppur di supporre d'onde poteva essere derivata la loro disgrazia; e avevano il più grande interesse di non divulgarla.

Se non che c'è nel mondo, a quel che sembra, una giustizia assai più oculata e più tremenda della pretesa giustizia umana! E, tardiva ma inesorabile, essa raggiunse il colpevole al suo ottavo o nono delitto.

Ermanno Hart era uno dei più bravi discepoli del professore, e suo aiuto in molte delicatissime esperienze. La giovinezza, la natura estremamente vigorosa, anzi eccessiva, lo spingevano a lusingarsi di poter essere anche aiuto del professore in certe intime funzioni, che questi, da buon marito, pretendeva di eseguire da solo. Quando si accorse delle mostruose intenzioni del prediletto discepolo – mostruose, perché rivelavano la nera ingratitudine di cui egli era capace – il professore non poté frenarsi dal prorompere in eloquentissimi sfoghi contro la precoce perversità dei giovani moderni; ma il suo sdegno si centuplicò allorché poté accertarsi che la sua fin'allora impeccabile metà incoraggiava, forse inconsapevolmente, gli slanci amorosi dello studente con occhiate e sorrisi in modo insolito prodigatigli ogni volta che quegli veniva a trovare il professore in casa o lo accompagnava nelle passeggiate e nelle diverse stazioni alle birrerie assieme con la sua bionda metà.

Occorreva provvedere e subito; e per ciò Ermanno Hart ricevette, da lì a due giorni, un invito a pranzo, pel quale non seppe nascondere la grandissima gioia e la immensa soddisfazione. Lo studente, a tavola, non ebbe bisogno di incitamenti a bere e a ribere. Era già di sua natura bevitore poderosissimo; e il fuoco dei begli occhi della signora von Schwächen gli produsse quel giorno tale irritante senso di aridità alla gola, che egli vuotò più bottiglie di vino e più scioppi di birra in due ore che non avesse mai fatto in un mese. Cadde quant'era lungo, come morto, per terra, nel punto che voleva alzarsi dalla seggiola per propinare alla salute della bionda signora del suo professore. Il quale, mal dissimulando la infernale contentezza, lo raccolse, aiutato dal fido servitore, e lo trasportò nella solita stanza, dove poco dopo si chiuse, solo con lo studente, per procedere alla premeditata operazione sterilizzatrice.

Fosse però il turbamento che il delitto desta sempre, anche nei cuori più induriti; o avesse il professore ecceduto nel bere per dare il buon esempio alla sua futura vittima, fatto sta che l'occhio e la mano non solamente non furono fermi e sicuri come le altre volte, ma il caso se ne mescolò forse per far fare al chiarissimo neurologo una scoperta in opposizione a quella malefica e sterilizzante.

Sia che egli abbia operato la puntura nel lato destro invece che nel sinistro, o in un altro impercettibile punto non ancora scrutato dalla scienza, il resultato fu terribile. E prima ad accorgersene fu la dolce signora von Schwächen, che il marito, chiamato per non so quale seduta coi suoi colleghi di università, aveva dovuto lasciar sola a guardia dell'addormentato.

Ella era entrata nella camera, assai commossa dal caso; e si era permesso un castissimo gesto di carezza alla fronte del giovane, quando lo vide saltar giú dal letto… Ah Signore Iddio! E non ebbe tempo di indignarsi, di gridare al soccorso. Non aggiungerò altro, – s'interruppe il dottor Maggioli, a un vivissimo gesto della baronessa – quantunque, se veramente avesse voluto, nelle tre ore che passarono – egli soggiunse subito, sornione – prima che il professore fosse tornato a casa, la onesta signora avrebbe potuto indignarsi, gridare al soccorso e fare ben altro!

Il professore trovò il giovane già desto, un po' abbattuto, e gli sorrise col più ipocrita dei sorrisi che mai labbro umano avesse abbozzato. E sicuro del fatto suo, trionfante, sprezzante, da quel giorno permise che il giovane Hart rinnovellasse più frequentemente le visite alla signora, e acconsentí anche che l'accompagnasse qualche volta, e solo, al passeggio.

La signora von Schwächen scoprì un giorno, fra gli appunti dei cartolari scientifici del marito, la spiegazione della sua sicurezza e della sua tranquillità, e fu indignata dell'infamia commessa contro quei poveri otto o nove timidi adoratori di lei. Palesò la scoperta al suo Hart; il quale sospettando quel che doveva essere accaduto con lui, si dié segretamente a fare esperienze che lo condussero a verificare, in modo assolutamente scientifico, quel che il caso aveva fatto operare al ferocissimo sterilizzatore. I due amanti, per ciò, stimandosi troppo protetti dalla sicurezza del professore, non presero più, da allora in poi, tante precauzioni nelle loro gioie, e un bel giorno si fecero sorprendere.

Ma allora si vide quel che può la passione scientifica in un alto intelletto. Invece di buttarsi addosso al vituperatore del suo talamo e strozzarlo, il professore von Schwächen volle persuadersi come mai la sua operazione fosse fallita. Si mise a discutere con lo scolare, quasi niente di male fosse accaduto, quasi si trovassero rinchiusi nel laboratorio. Il professore espose la sua scoperta e le sue otto o nove esperienze in anima vili; Hart riferì i resultati opposti, ottenuti per via delle ricerche da lui iniziate, e addusse in prova se stesso. E di accordo, come contratto di pace, professore e scolare stabilirono di non propalare le loro rispettive scoperte.

«La mia è malefica!» conchiuse il professore. «La mia è peggio; è superflua!» conchiuse il discepolo.